Francesco scuote la Chiesa parlando con i giornalisti di ritorno dal viaggio negli Emirati Arabi: “Anche dei vescovi hanno commesso questi abusi”. Per il Pontefice è Benedetto XVI il modello da seguire.
Il Papa solleva il velo degli abusi sessuali sulle suore commessi da preti e vescovi. A bordo del volo di ritorno dal viaggio negli Emirati Arabi, papa Francesco ammette che le violenze del clero ai danni delle religiose sono “un problema nella Chiesa su cui già si sta intervenendo, sospendendo i colpevoli”, anche se “bisogna fare di più”.
Nel faccia a faccia con i giornalisti, Bergoglio non esclude di sciogliere quelle congregazioni nelle quali “è entrata la corruzione, anche sessuale”. Sul punto porta ad esempio positivo la decisione del predecessore, Benedetto XVI, di prendere provvedimenti restrittivi nei confronti delle Francescane dell’Immacolata le cui consacrate, secondo alcune denunce, erano costrette a prostituirsi dallo stesso fondatore della comunità.
“Dentro la Chiesa – dichiara papa Francesco, trattando degli abusi sessuali del clero sulle religiose – ci sono stati dei chierici che hanno fatto questo, in alcune civiltà in maniera più forte di altre. Non è che tutti fanno quello: ci sono stati sacerdoti, anche vescovi che l’hanno fatto. E credo che si faccia ancora”.
Il Papa riconduce questo fenomeno così scottante entro una cornice culturale, più generale, ostile al sesso femminile. “Il maltrattamento delle donne – argomenta – è un problema culturale. Oserei dire che l’umanità non è ancora maturata, la donna è considerata di ‘seconda classe’”.
Complice l’onda lunga della campagna internazionale MeToo, che ha dato forza a inchieste giornalistiche ad hoc (come quella dell’estate scorsa pubblicata sul quotidiano francese ‘Le Parisien’), è indiscutibile che l’attenzione dei vertici ecclesiali sul dramma delle suore violentate sessualmente dal clero è salita di livello. Prova ne sono le misure adottate dalla Santa Sede contro presuli accusati di abusi. A settembre è stato rimosso il vescovo indiano di Jalandhar, Franco Mulakkal, accusato di aver stuprato più volte una ex superiore di una congregazione religiosa; una decina di giorni fa l’ex Sant’Uffizio ha rimosso dall’incarico (nelle more di un processo canonico ancora in corso) il teologo austriaco, Hermann Geissler, fino ad allora capo ufficio dello stesso dicastero. Su di lui pende una denuncia (trasmessa in Santa Sede nel 2014) di una giovane tedesca, Doris Wagner, che, nel 2009, prima di lasciare il velo e sposarsi, sarebbe stata molestata da Geissler in confessionale.
L’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg), l’organismo di vertice delle suore a livello mondiale, nel novembre scorso non ha esitato a invitare le religiose a denunciare, alle autorità civili e a quelle canoniche, qualsiasi forma di abuso subito da chierici. Una presa di posizione coraggiosa che tuttavia non ha trovato un’eco adeguata da parte della maggioranza delle singole congregazioni femminili. Paura di ritorsioni, prudenze, il persistere nell’immaginario collettivo cattolico dell’idea della donna tentatrice (come Eva) sono possibili chiavi di lettura per spiegare la posizione di chi, all’interno della Chiesa, vuole mantenere questo tema sotto traccia.
Da trent’anni a questa parte, ossia da quando suor Maura O’Donohue e suor Marie McDonald, in due distinti rapporti riservati alla Santa Sede (sarà la rivista americana ‘National Catholic Reporter’ a diffonderne i contenuti nel 2011), per la prima volta accessero i riflettori sulle violenze inferte a religiose (africane) da predatori sessuali che le ritenevano più “sicure” dal punto di vista del rischio di contagio da Hiv. Quattro anni fa toccò a suor Rita Mbosho Kongo, teologa congolese, sollevare, in un seminario internazionale promosso dall’Osservatore Romano (lo stesso quotidiano nell’ultimo numero del suo supplemento femminile approfondisce la materia delle consacrate molestate), l’orrore della religiose costrette a vendersi o abusate da ecclesiastici e poi abbandonate dalle loro congregazioni.