Il tema del rapporto tra Gesù di Nazareth e la preghiera ebraica costituisce uno degli aspetti più interessanti per la comprensione delle valenze del dialogo ebraico-cristiano contemporaneo, dal momento che affronta la questione dell’ebraicità di Gesù e le radici ebraiche dell’ecumenismo. La questione dell’ebraicità di Gesù è stata oggetto, soprattutto in questi ultimi anni, di numerosi studi che, alla luce di una rilettura delle fonti sul giudaismo tra il I° secolo avanti Cristo e il II° secondo secolo dopo Cristo, hanno messo ben in evidenza la profonda continuità dell’insegnamento di Gesù e, in parte, delle prime comunità cristiane con questo mondo per i contenuti e per le modalità; questi studi sono stati utili anche per comprendere come questa continuità è stata non solo negata per secoli da tanti cristiani ma anche rimossa facendo perdere delle ricchezze alla tradizione cristiana, ponendo la questione di una riconciliazione delle memorie con il popolo ebraico.
Al tempo stesso questa nuova stagione di studi sull’ebraicità di Gesù ha portato a un ulteriore approfondimento della riflessione sulle radici ebraiche del dialogo ecumenico. Proprio questa riflessione, che prende corpo all’indomani della conclusione della II Guerra Mondiale e rappresenta un aspetto sul quale il movimento ecumenico si è a lungo interrogato, suscita, tuttora, nonostante anche i recenti documenti, in particolare “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche, pubblicato dalla Santa Sede il 10 dicembre 2015, commenti e questioni nell’universo cristiano, dove permangono le voci di coloro che vorrebbero derubricare questo dialogo a dialogo interreligioso e non come un elemento fondamentale e irrinunciabile del cammino ecumenico.
Allora verrebbe da dire: “Abbiamo scherzato”! È stato un equivoco, un malinteso, un fraintendimento. Improvvisamente, con un colpo di spugna, duemila anni di persecuzioni antiebraiche non hanno più un motivo, una ragione, una causa. Non hanno più neanche il nome e il nesso, quei farisei “ipocriti” “presuntuosi” e “traditori”. In un recente convegno internazionale, infatti, autorevoli studiosi cristiani ed ebrei, da diversi paesi del mondo, hanno finalmente ricercato una percezione diversa delle fonti dimostrando che i farisei non sono più solo ipocriti, una razza di vipere o sepolcri imbiancati, né dovranno solo temere la condanna della Geenna, come enunciato nel Vangelo e ripetuto mille volte nelle omelie. Nelle intense giornate di studio, accanto alle antiche e certificate fonti evangeliche, sono emerse nuove piste di ricerca, che hanno chiarito al pubblico esterrefatto che una certa teologia cristiana ha portato a “un fraintendimento sostanziale dell’ebraismo e del movimento farisaico e della successiva teologia rabbinica”, come si legge nel comunicato conclusivo.
Proprio per il rilievo del tema appare particolarmente importante e utile il volume, “Gesù e la preghiera ebraica nel racconto dei vangeli”, di Teresa Scarsa, dottorando in giudaistica presso l’Università di Losanna, collaboratrice della rivista ‘Colloquia Mediterrannea’, membro della Comunità di ricerca storico-religiosa del Centro Studi per l’Ecumenismo in Italia. In questo volume Teresa Scarso propone una lettura della preghiera di Gesù, così come viene proposta dai vangeli, all’interno dell’orizzonte delle preghiere ebraiche in modo da offrire da un parte un quadro sintetico, sufficientemente chiaro e scientificamente fondato, delle preghiere ebraiche al tempo di Gesù e dall’altro una lettura degli elementi di continuità, su un aspetto tanto rilevante per la vita di una comunità di credenti, cioè il suo rivolgersi a Dio Padre, tra il mondo ebraico e le prime comunità cristiane. Il volume, che si legge con grande facilità per la sua chiarezza e semplicità, con numerosi riferimenti che non appesantiscono il testo ma lasciano intravedere tante possibili piste di approfondimento, costituisce un utile strumento per conoscere sempre meglio il mondo nel quale Gesù e le prime comunità vissero e operarono, per leggere, con una prospettiva diversa, le Sacre Scritture nella loro totalità e per approfondire la dimensione spirituale del cammino ecumenico.