Pur dovendo ammettere con Dostoevskij che “la bellezza è difficile giudicarla”; noi non ci siamo ancora preparati e che “la bellezza è un enigma”, tuttavia il periodo estivo riconosce che la Bellezza non si nasconde, non si difende, ma si dona, e lo fa attraverso uomini e donne che donano il proprio talento e con le loro mani esprimono Bellezza, diventandone artigiani.
Ce lo ricorda Anselm Grün, quando scrive: “Anche noi siamo creatori di bellezza. Possiamo rendere bello il mondo, lasciarvi un’impronta di bellezza”. Una Bellezza che, come primo canale per comunicarsi, utilizza i sensi.
Ed è la Bellezza che definiamo espressa a giungere alla persona facendosi sentire. Bellezza espressa è un’opera d’arte, frutto del talento e delle mani umane che prendono forma in una scultura o in un’opera pittorica. Non c’è scultura che sia puramente tattile senza voler essere anche contemplata; né pittura soltanto visiva, perché la velatura di colore è pur sempre materia dotata di spessore, per quanto sottile esso sia, soprattutto quando uno scultore o un pittore con la sua opera comunica quella che Handke definirebbe l’“essere-in-pace”.
Davanti ad un quadro di Czénne, egli dice: “Il quadro comincia a vibrare […]. Una liberazione, che io possa lodare ed esaltare qualcuno”.
Bellezza espressa è un’opera musicale, frutto del talento e della mani umane che seminano note sul pentagramma definendone ritmo e armonia. Non c’è musica che è soltanto uditiva, ma essa è fatta di vibrazioni che hanno origine dal tatto del musicista le cui mani fanno riecheggiare nell’aria le forme eleganti di un’arpa o di un violino, con pizzichi belli e sinuosi a vedersi e a sentirsi.
Il poeta irlandese John O’Donohue definisce la musica “uno dei doni più belli che l’uomo abbia portato sulla terra”. Un dono di cui lo stesso Mozart ne comprende la responsabilità quando, scrivendo al padre, dice che “la musica, persino nella situazione più spaventosa, non deve mai offendere l’orecchio, bensì dilettarlo”.
Bellezza espressa è un’opera letteraria, frutto del talento e della mani umane che lasciano segno di inchiostro sul bianco di una pagina consegnando parole che si fanno racconto e poesia. Non c’è pagina scritta che è soltanto ascolto di suoni, ma è anche profumo di inchiostro e di carta, calore che cambia in base al timbro di voce che la pronuncia. E dietro ad ogni pagina scritta c’è il sentore della festa, del ringraziamento per ciò che si è e si vive, come esprime chiaramente Handke: “La mia preoccupazione e al contempo la mia gioia in fondo non vogliono altro che far corrispondere la lingua, la più chiara e limpida possibile, a tutto ciò che vedo e vivo intensamente”.
Bellezza espressa è una tradizione popolare, frutto del desiderio sociale di ognuno trasformato in racconto ed esperienza, spesso di festa. E non c’è festa che non sia un miscuglio di sensi dove il suono della musica non si intreccia col profumo del piatto tipico e i colori delle luci non si intingono tra le strette di mani e gli abbracci di paesani ritrovati.
Bene esprime il senso di questa Bellezza Marcel Proust quando scrive: “Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente, e solitamente nascosta, delle cose sia liberata, e il nostro vero io che, talvolta da molto tempo, sembrava morto, anche se non lo era ancora del tutto, si svegli, si animi ricevendo il celeste nutrimento che gli è così recato”. Bellezza espressa, non sembri ardito definirla così, sono le forme d’arte quotidiane che consistono nel bere e nel mangiare, frutto anche queste del talento e delle mani umane.
Versare il vino delizia l’udito, quindi l’occhio lo vede nel suo candore o nel suo rossore e il solo afferrare il calice tra le mani comunica una sensazione di calore e allegria, prima ancora di farsi profumo e sapore. Come ricorda Enzo Bianchi, quando racconta che “erano le serate dei giorni in cui si era fatto un buon raccolto – il grano a giugno, l’uva a settembre – che lasciava intravedere un futuro meno ansioso e cupo. Allora il padre, con il cuore rallegrato dal vino nel bicchiere e dal mosto nel tino, riusciva a trasmettere con arguzia quella sapienza monferrina […]. E come grappoli d’uva nel cesto, la sapienza si raccoglieva attorno ad alcuni comandamenti, massime da imparare per vivere una vita buona”.
Bellezza espressa è, per la comunità cristiana, la liturgia che offre il modello di questa esperienza totale che muove i cinque sensi “ad maiorem Dei gloriam”: gli occhi osservano gesti e colori, mentre l’olfatto si nutre di incenso, il tatto coinvolge tutto il corpo tra inchini e genuflessioni, così come l’udito si culla tra canti e silenzi. Persino il gusto viene santificato, diventando la porta attraverso cui il Signore stesso si fa cibo sotto le specie del pane e del vino.
Lo esprime Benedetto XVI quando, in Sacramentum caritatis, scrive: “La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. […] La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. [..] La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione”. E la Bellezza arriva spesso a guarire i sensi troppo spesso sconnessi tra loro. “Il bello, infatti, porta l’essere umano a contatto con quanto, nella sua anima, è integro e bello. Il bello è benefico per la nostra anima”.
Ed è la Bellezza espressa il primo linguaggio utilizzato dal turismo conviviale e che giunge alla persona attraverso le forme, i colori, i profumi, i suoni e la attraversa, facendo assaporare la bontà e la verità di qualcosa che percepisce bello. Dai sensi, infatti, prende le mosse la percezione, intesa come “interpretazione degli stimoli elementari e delle sensazioni basilari”. Si tratta soprattutto della percezione di un’armonia in una vera e propria esperienza estetica, intesa come “processo riguardante la risposta cognitiva e affettiva di un individuo […], risultato dell’azione coordinata di diversi processi mentali quali: percezione, attenzione, memoria, immaginazione, pensiero ed emozione”.
L’emozione che segue alla percezione del bello è estremamente positiva e per questo vi è una ricerca e un’attenzione, conscia e inconscia, di tutti noi verso tutto ciò che ci appare bello, in quanto provoca una immediata sensazione di gioia e di appagamento. Lì dove c’è Bellezza, la persona è invitata ad attivare una sorta di percezione empatica e a percepire se stessa come soggetto attivo di vissuti, emozioni, relazioni che abbiano ricadute positive sul proprio stato d’animo. Dalla percezione prende le mosse la comunicazione tra la fonte che esprime Bellezza e la persona che la ospita e che è chiamata ad ascoltare un messaggio e a trovarne il significato più prossimo alla propria esperienza, non dimenticandosi mai dell’ermeneutica dell’inespresso: esistono tanti significati quante sono le persone che qui e ora entrano in relazione con un determinato messaggio.
È il momento più generativo in cui il turismo conviviale si pone come possibilità di attuazione: la persona raggiunta dalla Bellezza ne attribuisce il senso, nel qui ed ora del suo momento e movimento esistenziale, per la alimentare la vita e la speranza.
La Bellezza, “accordando all’uomo la possibilità di uscire dalla realtà in cui vive e di cui lui stesso è costituito per trasferirsi nella sfera irreale della rappresentazione, gli concede uno dei dono più preziosi che possa conferire, ossia la sua pace. La realtà eccita, urta contro la volontà, provoca alla reazione. Qui invece ci sono produzioni di inesauribile pienezza e di profondissima vita, ma solo rappresentate. Esse scuotono, suscitano nostalgia, rallegrano senza attirare nella lotta dell’esistenza reale […] allora si effonde dappertutto una pace particolare che si dischiude solo qui”.