18 NOVEMBRE 2020 – Incontro dei collaboratori pastorali delle Missioni cattoliche italiane in Germania
“Due cose vorrei dire: cercare di tenersi sempre aggiornati sulla situazione sociale, sulla situazione religiosa. Secondo, cercare di essere vicino alle persone: i contatti con i carcerati, le visite agli ospedali, i vari gruppi di incontro, c’è molto da fare. Non possiamo sederci e dire ‘ma una volta si faceva così’, occorre mantenere i valori che sono andati persi, nello stesso tempo bisogna utilizzare quello che è necessario oggi”. Sono parole di Laura Teresa Mosconi al primo incontro dei collaboratori pastorali assunti, lo scorso 18 novembre. Laura Mosconi ha una lunga carriera lavorativa alle spalle, 75 anni di lavoro, festeggiati il 25 novembre. Dal 1976 lavora alla Missione di Mainz, ora come volontaria (Sul prossimo numero del CdI pubblicheremo un’intervista a Laura Mosconi).
La lingua italiana permette di accogliere
A parte i problemi legati alla pandemia sono venute alla luce due aspetti: il grande lavoro di assistenza sociale e l’importanza di stretta collaborazione con la chiesa locale. Lucia Rossi, da dieci anni alla Missione di Mainz: “Abbiamo avuto una grande ondata di migrazioni di diverse età. Molti giovani e adulti sono venuti in Germania invitati da parenti, amici, conoscenti con la promessa di aiuto, addirittura di trovare lavoro e sistemazione per l’intera famiglia, poi molto spesso, arrivati qua si sono trovati abbandonati a se stessi. È uno standard che si è ripetuto tante volte in questi anni. Quindi queste persone si sono rivolte a noi per i bisogni essenziali, per esempio non sapevano dove andare a dormire”. Questa realtà la ribadiscono tutti: Stefano Saieva, da Colonia:” siamo in centro e tutti vengono a chiedere servizi di vario genere”; Martina Martens di Francoforte Mitte: “La comunità si trova vicino alla stazione, ci sono tantissimi giovani, uomini anche italiani che vengono qui con la speranza di cambiare vita e si trovano in situazioni molto difficili e spesso per strada. C’è un lavoro immenso dove cerchiamo di capire come coinvolgere volontari, di collaborare con la chiesa tedesca nel senso di pastorale”. Un lavoro sociale cresciuto soprattutto da quando la Caritas ha eliminato i servizi di consulenza madrelingua. Sonia Cussigh dalla Comunità San Martino di Stoccarda: “Arrivano anche qui da noi tanti che parlano italiano: sono musulmani, indiani, di altre origini e che in Italia hanno ricevuto la cittadinanza e diamo un aiuto della prima ora”. Conferma Flavia Vezzaro da quasi cinque anni in Germania, a Wuppertal: “La cosa bella è che la lingua italiana permette di aiutare anche persone non cristiane, non cattoliche. In questo periodo sto aiutando una famiglia musulmana che ha tre bambini piccoli, parlano benissimo italiano, sono cittadini italiani e hanno chiesto aiuto alla missione. E questo mi piace. La settimana scorsa sono andata con il bambino di sei anni a iscriverlo a scuola, c’era appena stato l’attentato a Nizza. Spero che questo bambino si sia sentito accolto anche dalla chiesa cattolica, che non si sia sentito rifiutato, perché un domani possa vivere diversamente”.
Quando la lingua non basta
Monia Morresi da sei anni in Germania, a Münster racconta che ci sono pochi bambini: “Volevo fare catechismo, attività ricreativa, ma i bambini non vengono portati in missione, forse perché sono integrati”. Poi sottolinea la distanza di mentalità con le generazioni più anziane. “Alcune persone che sono qui da tanti anni, da quaranta, cinquant’anni, avendo vissuto solo fra casa e lavoro, non si sono integrate qui né sono state al passo con l’Italia… hanno come un buco”. Flavia Vezzaro ha notato a volte anche nei giovani una mentalità che è rimasta a quarant’anni fa: “Con i ragazzi della Cresima dell’anno scorso, quindi tredici, quattordici anni, si parlava di libertà e una delle ragazze ha detto che se avesse una figlia femmina non le darebbe la stessa libertà che darebbe a un figlio maschio. Questo mi ha un po’ stupito, a Padova non me l’avrebbero detto, non me l’aspettavo. Ho trovato una missione molto avanti a livello ecumenico, nei rapporti con gli evangelici, con le altre culture con le altre religioni, ma piuttosto anacronistica per quanto riguarda le relazioni.
La pastorale coi ragazzi
Prime Comunioni e Cresime, come fare quando non ci sono abbastanza bambini per fare un corso? Si domanda Gwendolin Rojas-Tänzer, a Bad Homburg da un anno. “Mi chiedo perché offrire un corso di Cresima con solo una partecipazione. (…). Vedo il confronto di quando facevo la catechesi con i ragazzi tedeschi, erano di più e si potevano fare discussioni e organizzare tante belle cose per stare insieme”. Questa situazione a Wuppertal è stata risolta con la collaborazione con la chiesa locale attraverso corsi paralleli di cresima, attività in comune e una messa al mese alternativamente in tedesco e in italiano. Nella Comunità di Rottweil Maria Angela Mariano, figlia della seconda generazione ha visto cambiare sotto i suoi occhi la migrazione italiana: “La comunità si sviluppava e cambiava, la diocesi dava indicazione di lasciare i bambini della Prima Comunione nelle comunità tedesche. Le cresime le offriamo solo a coloro che devono sposarsi in Italia e che sono adulti”. Lei e Sonia Cussigh, lavorano anche per la chiesa tedesca (si veda l’articolo a pag. 19 sulle comunità italiane nella diocesi di Rottenburg-Stuttgart). Maria Angela invita a una più stretta collaborazione con la chiesa locale “perché si possono avere moltissime agevolazioni ed è per noi importante”: per esempio per le visite negli ospedali.
Le visite in ospedale
Infatti la legge sul trattamento dei dati personali del 2018 vieta le visite non autorizzate negli ospedali. “Le persone che sono ricoverate devono dare il loro consenso ma non so se viene loro chiesto. Riusciamo a fare visite in ospedale quando ci informano i parenti o i conoscenti”, così Elsa Alangi, da 12 anni nella Missione di Lippstadt. Manuela Martins suggerisce: “In tutti gli ospedali ci sono le Seelsorge evangeliche o cattoliche. Ci si può mettere in contatto con loro e far sapere loro che ci sono delle persone in missione che hanno a cuore la comunità italiana”. Fanno così anche a Wuppertal dice Flavia Vezzaro: “Oltre che con la Seelsorge tedesca cerchiamo di avere contatti con medici e infermieri italiani che parlano coi pazienti italiani che poi tramite la famiglia ci contattano”. Salvatore Tirenti, da un anno a Wiesbaden: grazie ai contatti con i Seelsorge, ci informano per una visita in ospedale o anche per un colloquio privato con don Giuseppe”.
La missione del collaboratore pastorale
Il primo incontro fra i collaboratori pastorali della Delegazione, rigorosamente in videoconferenza, lo dobbiamo alla pandemia, prima non si era mai riusciti a farne per motivi di tempo, di costi, di viaggi. Non ci si conosceva fra tutti, ed è stato un momento di scambio, di valutazioni, di confronto e di affermazione del significato teologico del lavoro, quello di essere missionario, ha sottolineato Tonino Caponegro, rappresentante dei collaboratori pastorali, da oltre trent’anni alla Missione di Mainz. E lo ha fatto citando il capitolo 33 della costituzione Lumen Gentium del 1964: “I laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato della Gerarchia a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l’apostolo Paolo nell’evangelizzazione. Hanno inoltre la capacità per essere assunti dalla gerarchia ad esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici ecclesiastici.”