…Il vangelo secondo l’evangelista Giovanni è detto anche il vangelo dell’amore, perché oltre alla trasmissione di tanti episodi della vita di Gesù esprime una conoscenza profonda del giovane apostolo con il suo Maestro. Egli stesso si definisce “l’apostolo che Gesù amava”, colui che ha posato il capo sul suo petto. Il prologo del quarto vangelo è un inno di altissimo valore teologico, cristologico, antropologico. Quest’ultimo aspetto risalta attraverso la facoltà che l’uomo ha di accogliere o di rifiutare il Verbo di Dio. E tanti sarebbero gli spunti che il vangelo di Giovanni offre per la meditazione, per l’approfondimento, per un’impostazione della vita completamente nuova. Vorrei quest’anno soffermarmi su nove parole dette da Gesù che rivelano la sua identità. Il giovane apostolo Giovanni le ha colte, evidenziate e trasmesse proprio perché ne ha fatto esperienza personalmente. Per ben nove volte Gesù parla di sé incominciando la frase con “Io sono”, in greco “ego eimi”, in latino ”ego sum”.
Il fondamento di questa espressione risale certamente all’Antico Testamento quando Mosè, inviato da Dio a liberare il popolo dall’Egitto, gli chiese: “«Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: «Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi». Mi diranno: «Qual è il suo nome?». E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»”. Solo Dio può dire in pienezza “Io Sono” ed è questa identità che Gesù desidera rivelarci per farci entrare sempre più in comunione con Dio, il Dio dei vivi, il Dio dei nostri padri, il nostro Dio. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio”: Gesù con la sua auto-presentazione manifesta il Padre, ci partecipa la sua unità col Padre, portandoci dentro all’ “Io sono”.
Ed ecco una prima auto-definizione molto significativa:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15,1-8).
Tutti, o comunque tanti, abbiamo l’esperienza della natura: un ramo non raggiunto dalla linfa si secca e viene gettato via. Gesù fa questo esempio per dirci che se non siamo uniti a lui, ci secchiamo, non portiamo frutti e veniamo buttati via. Se invece rimaniamo uniti a lui portiamo frutto. Il discorso è molto chiaro: se la nostra vita vuole portare frutti deve essere tralcio, cioè unita alla vite. Se ci guardiamo intorno, il movimento è tutto il contrario, si vuole in tutti i modi essere indipendenti, lottando per l’individualismo che ha come via d’uscita un’estrema chiusura in se stessi, e dimostrando che si può fare a meno di Dio, in nome di una libertà che ha come meta solo l’autodistruzione. Ricordiamo però che l’identità dell’uomo, così come il Creatore l’ha voluta, si può rintracciare nelle stesse parole di Gesù: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5c) … e penso che lo stiamo sperimentando a sufficienza! Nessuno, neppure i cristiani, è escluso da questo rischio. “Io sono la vite, voi i tralci”, dice Gesù: riflettiamo dunque sulla vite e i tralci e traiamone le conseguenze per la nostra vita.