Ha atteso la celebrazione del 50° di ordinazione presbiterale per concludere il suo mandato alla guida delle Missioni cattoliche di Ulm e Neu-Ulm.
Per 35 anni si è preso cura degli oltre diecimila connazionali residenti nelle due province di due diocesi (Rottenburg/Stuttgart e Augsburg) e di due Länder diversi, separati dal Danubio ovvero Baden-Württemberg e Baviera.
Nonostante il suo carattere spigoloso, a volte apparentemente burbero e scontroso ma mai offensivo o irrispettoso, don Giuseppe è riuscito a servire due padroni, due diocesi, due realtà economiche diverse, una sola comunità/la cui presenza risale a metà degli anni 50. Se in quel tempo servivano solo braccia in agricoltura ed edilizia, nei decenni successivi la presenza italiana ha preso piede un po’ in tutti i settori della fiorente economia, compresi i settori accademici della fisica, della biologia e della medicina nucleare.
Con la chiusura dei servizi sociali in italiano della Caritas, Don Giuseppe per 35 anni si è occupato di tutto, persino dei passaporti e delle carte d’identità, rendendosi disponibile per aiutare quei connazionali non in condizioni di recarsi agli uffici consolari di Stoccarda e/o di Monaco di Baviera, trattandosi di due distinte circoscrizioni consolari.
Don Giuseppe, quindi, si è dedicato sia alla cura delle anime che alla ricerca di soluzioni di problemi sociali.
È per questo che ha fortemente voluto festeggiare il suo 50° di ordinazione sacerdotale con la sua gente. Per la lieta ricorrenza, dalla diocesi di provenienza di don Giuseppe è giunto il Vescovo emerito di Brescia, S.E. Mons. Luciano Monari.
All’appuntamento della Messa solenne in St. Albert di Neu Ulm – Offenhausen e del successivo incontro conviviale nella Turnhalle della vicina Pfuhl non sono mancati i suoi confratelli di Monaco, Stoccarda e Francoforte, una trentina di sacerdoti delle due diocesi tedesche (Augsburg e Rottenburg/Stoccarda) ed un paio di centinaia di amici e conoscenti italiani e tedeschi.
Nel ripercorrere le tappe più importanti del suo apostolato, don Giuseppe ha ricordato le difficoltà dell’apprendimento del tedesco e la realtà umana e sociale che trovò, prima a Wolfsburg nella primavera del 1982 e poi nell’autunno dell’anno successivo a Neu Ulm.
Allora le missioni danubiane erano due. Soprattutto a Neu Ulm l’eredità lasciata da don Gianni Robino in Baviera non fu facile per il suo carattere espansivo, dinamicità e facilità di comunicazione e rapporti con bambini, giovani ed adulti.
Ad un grande comunicatore quale era don Gionni succedeva don Giuseppe, un uomo schivo, riservato ma che sapeva essere anche allegro.
Nel corso degli anni però don Giuseppe è riuscito a conquistare la meta dell’amicizia grazie all’aver preferito curare di persona i contatti con la sua comunità pur non nascondendo mai il suo disagio di capire le repentine trasformazioni sociali sia in Germania che in Italia. “Mi manca la comprensione per la nuova società. Non trovo la strada giusta per riuscire a parlare con la gente giovane” ha più volte ripetuto.
In effetti la prima generazione, quella degli anni ’40 e ’50, fa un po’ fatica a stare al passo con il consumismo veloce, con l’uso delle tecnologie che hanno stravolto il mondo della comunicazione sociale. Oggi i giovani smanettano continuamente con gli smartphone, whatsapp, facebook, youtube, email, messaggi e tante altre diavolerie.
Comunicano con tutto il mondo in tempo reale ma spesso sono soli, annidati da qualche parte o rinchiusi in una stanza.
E come don Giuseppe ha avuto modo di confidare “La mia patria di una volta cioè quella di Gussago sua cittadina di origine alle porte di Brescia non c’è più” , lui, come tanti suoi coetanei, vive di lontani ricordi. Richiama alla mente la sua famiglia che con altre 7 famiglie (35 persone) condivideva spazi e lavoro in una cascina (simile ad una masseria del Mezzogiorno dove vivono contadini e animali).
La comunità di oggi è formata da singoli soggetti che vivono nell’anonimato e spesso in isolamento.
E nei confronti di questa radicale trasformazione sociale negativa don Giuseppe nutre scetticismo ed anche tanta paura. Secondo lui, si è perso il senso dell’amicizia disinteressata e dell’aiuto reciproco.
Forse è stata proprio questa evoluzione sociale che nel 2002 lo spinse a sposare l’idea di Nico Alberino, originario di Venosa (PZ) città natale anche del grande poeta latino Orazio Flacco, di proporre alle comunità italiane di Ulm e Neu Ulm la rievocazione della Via Crucis Vivente per le vie delle due città danubiane. Forse è stata proprio questa spontanea necessitá di fede popolare il vero collante per unire le comunità italiane delle due sponde del Danubio. I 200 figuranti coinvolti nella spettacolarizzazione dell’evento religioso attirano annualmente oltre 15 mila fedeli e curiosi.
Per questo grande evento don Giuseppe non ha esitato a coinvolgere anche alti porporati della Chiesa Romana e autorità italiane e locali tedesche, stampa, radio e tv.
Ora, per quel discoletto che all’età di 4 anni si perse in montagna e che a 16 rischiò l’espulsione dal Seminario diocesano per indisciplina, è giunto il momento del meritato riposo.
Avendo trascorso ben 35 anni nella città di Einstein e del Münster col campanile più alto del mondo (161,53 metri), don Giuseppe farà molta fatica a rientrare definitivamente nella sua natia Gussago.
Come tanti della sua entità che hanno speso gran parte della propria vita in terra tedesca, pendolerà finché salute avrà.
Ad multos annos, caro don Giuseppe e grazie del tuo profuso impegno religioso e sociale in favore delle due comunità italiane di Ulm e Neu Ulm, ringiovanite da nuovi arrivi di intere famiglie dall’Italia.