Dalla parrocchia ospitante in Italia alla chiesa in uscita di Wuppertal
Quattro anni fa circa ho risposto sì alla proposta di ricoprire il ruolo di collaboratrice pastorale nella Missione Cattolica Italiana di Wuppertal Mettmann!
Non conoscevo neppure l’esistenza di queste città e non sapevo nulla del ruolo di una collaboratrice pastorale, ma fidandomi di un Dio che chiama, ho caricato la macchina e sono partita…
Entrare in una realtà che ha una storia lunga e sacra (nasce nel 1961) è un enorme privilegio, ci si deve togliere i calzari e porsi in un atteggiamento di ascolto rispettoso ed attento di una trama sacra formata da molte vite, storie e realtà!
In Italia eravamo parrocchia ospitante
In Italia, nella mia parrocchia, vi era un gruppo di cattolici di lingua nigeriana; conoscevo, dunque, la questione delle Missione di altra lingua madre ma la conoscevo da un punto totalmente diverso da quello che sto vivendo ora. In Italia era la mia la parrocchia ospitante che chiedeva integrazione e faticava a comprendere l’esigenza di “parlare con Dio nella lingua materna” pur apprezzando, e molto, la ricchezza che possedevano e portavano i nigeriani nella nostra Chiesa!
Poter dialogare con Dio nella propria lingua madre
Oggi, che sto imparando a pregare anche in tedesco, comprendo quanto sia essenziale e importante poter dialogare con Dio, celebrare la Santa Messa e ricevere i Sacramenti nella lingua che appartiene al cuore!
È evidente e chiaro che la realtà della Missione è estremamente “altro” rispetto alla mia esperienza di Chiesa in Italia. Vivere una parrocchia, una sola chiesa, un solo punto di riferimento (anche solo fisico) qui non è pensabile: la domenica la si trascorre in macchina, in pellegrinaggio tra una chiesa e l’altra, distanti decine di chilometri una dall’altra. Non esiste poi un solo gruppo giovani o un solo gruppo coppie ma uno in ogni diverso luogo. E se in Italia si organizza una festa di Natale per la propria comunità qui ne devi organizzare cinque o sei.
Siamo sempre ospiti
Non è la Missione il punto di riferimento centrale ma le case dei fedeli. Ci viene chiesto di andare quasi di casa in casa, coltivando relazioni, tessendo rapporti, arrivando nelle periferie di un territorio vasto… e ci viene chiesto di farlo da “ospiti”.
Sì, anche questa è una delle differenze più significative tra la realtà parrocchiale italiana e la mia Missione qui: siamo sempre ospiti! Amati, accolti, ben voluti per carità, ma sempre ospiti! Non possediamo una Chiesa nostra, una sala, un posto in cui accogliere, ricevere, ascoltare, catechizzare, festeggiare.
Certamente abbiamo gli uffici della Missione a Wuppertal (per i quali benediciamo Dio) ma è piccolina e, anche solo per la catechesi, dobbiamo chiedere sempre, anticipatamente, una sala alle parrocchie tedesche…andare a prendere le chiavi e riportarle non potendo, mai, rendere quella sala nostra personalizzandola un po’.
La Missione era un pezzo di Italia
Negli anni ’70 la Missione era davvero un piccolo pezzo di patria in terra straniera, non solo garantiva agli italiani la possibilità della Messa e della catechesi nella nostra lingua madre, ma era un perfetto luogo di aggregazione: vi era per esempio un piccolo bar in cui gli uomini giocavano a carte, dove si proiettavano settimanalmente film in lingua italiana e così via.
Ora, chiaramente, non è più così, non occorre venire in Missione per guardare un film in italiano, ma la richiesta di celebrare e vivere la Santa Messa e la preparazione ai Sacramenti nella nostra lingua è ancora forte.
Non siamo un’isola
Certamente è chiara dentro di noi la consapevolezza di non essere un’isola o una Chiesa parallela. Siamo inseriti, con tutta la nostra ricchezza e con tutti i nostri limiti, nella Chiesa tedesca. Soprattutto in questo tempo che stiamo vivendo, tempo così delicato e prezioso come è sempre il tempo di un Sinodo. Noi non siamo solamente a fianco della Chiesa tedesca che si interroga sul futuro, noi ci interroghiamo con lei. Siamo protagonisti richiesti e ascoltati e stimati.
Chiesa in uscita
È senza dubbio un’esperienza che plasma e forma essere una Chiesa in uscita, che non attrae a sé ma raggiunge le persone là dove si trovano, non possedere nulla ma farsi mendicante, è un’esperienza benedetta ma, lo ammetto, non è semplice.
Flavia Vezzaro: È nata in Eritrea 52 anni fa, ha vissuto a lungo in Kenya. Laureata a Padova in filosofia, ha fatto anche il baccellierato in teologia. Ha insegnato per molti anni in veneto nelle scuole di ogni ordine e grado. Da quattro anni è referente pastorale a Wuppertal.
Dice di sé: Ho le guglie del Duomo di Milano che mi pizzicano dentro. Il sole di Catania nel caffè. I colori d’Africa nel cuore nel quale ballano danzatrici masai. Ho l’acqua annoiata di Venezia che mi solletica nostalgie profonde. Ho un tramonto di eritreo davanti agli occhi, che mi fa male per quanto è struggente.