Una villa veneta del giardino di Venezia
La villa-fattoria
Appena usciti da Treviso, prendendo ad est, verso la Callalta, si giunge nella campagna di Carbonera. Se non si va di fretta, l’attenzione è subito colta da lontano da un duplice filare di alberi svettanti, che si prolungano verso sud, perpendicolari alla strada. Sono l’annuncio inequivocabile di una villa veneta. Giunti sul posto, lasciamo scorrere lo sguardo lungo il maestoso grande spazio alberato che si perde all’orizzonte e poi risaliamo verso nord, a traguardare la Villa fino alle prime propaggini delle Prealpi. Un insediamento, quello della Villa e di tutto il compendio, che ha segnato per sempre il paesaggio agrario, ingentilendolo e portando bellezza. L’attenzione è subito catturata dalla villa, villa Tiepolo-Passi di Carbonera, così denominata dai nomi delle famiglie che la fecero costruire nella prima metà del ‘600 (i Tiepolo) e che ne sono i proprietari più recenti (i Passi). Posta su un terrapieno e perciò ben visibile anche da lontano, si fa ammirare per la purezza delle linee architettoniche e per il perfetto inserimento nel sito; non concede nulla allo sfarzo, ma nulla perde in magnificenza ed in semplice maestosità.
Il sito, appunto. Come mai Almorò Tiepolo ha voluto la sua dimora di campagna qui e non in altri siti dei suoi possedimenti? È un piacere seguire le appassionate e convincenti spiegazioni del conte Alberto Passi, che pazientemente ci aiuta a leggere ed a capire la sua Villa come fosse un libro aperto. Così scopriamo la ricchezza dei corsi d’acqua del territorio, quasi una decina, in gran parte di risorgiva, in particolare il Melma ed il Piovensan, che lambisce la Villa e conserva ancora lungo il suo corso una ruota di mulino ormai abbandonata; ed ancora giungiamo a ricostruire la fitta rete delle strade, la Callalta già citata e la Claudia Augusta, con diramazione fino in centro a Treviso, e la più celebre Postumia, che attraversava tutta la val Padana. Acque che irrigavano i campi ed i giardini, che azionavano ruote di mulino e magli e segherie, che facilitavano le comunicazioni, come le strade, e quindi facevano transitare merci, mercanti, forestieri. Appunto i negotia per cui era stato pensato l’investimento fondiario ed era stata costruita la villa-fattoria, che doveva tendere prima di tutto all’utilitas. Palladio ne fu l’interprete più convinto ed efficace, predisponendo nelle ali di tutte le Ville o nelle immediate adiacenze una sequela di spazi funzionali, in cui ad ogni attività era assegnato “ un luogo atto, conveniente ed accomodato”. Costruzioni che però dovevano essere anche belle, e quindi obbedire alle regole della “bella forma”, delle simmetrie e delle proporzioni tra le parti. Perché, sempre secondo Palladio, l’opera che, per quanto funzionale e duratura, non fosse anche bella, non potrebbe essere lodata.
La villa bella
Villa Tiepolo-Passi, nonostante gli interventi successivi, conserva i caratteri della classicità palladiana nella struttura e nella facciata, resa solenne e celebrativa dal sovrastante timpano ad arco e dalla grande trifora centrale a poggiolo.
Nella grande aja antistante la Villa, un tempo riservata al fervore di attività della fattoria agricola (un centinaio di persone vivevano stabili nelle adiacenze ), c’è un elegante giardino all’italiana con siepi di bosso geometricamente disegnate, fontana di pietra e peschiera, mentre ai lati si estende un parco all’inglese, con montagnole, grotte e piante secolari, senz’altro più consoni ai tempi della villeggiatura in villa.
Richiamano i tempi della meditazione e dell’otium letterario anche due interessanti e misteriose statue, ai lati della Villa, i busti di due filosofi greci, Democrito (il filosofo del riso) ed Eraclito (il filosofo del pianto), che rappresentano l’uno la vita e l’altro la morte.
Riservato alle attività della fattoria era anche il pianoterra della Villa, una specie di “portego” o di fondaco veneziano, necessario tramite per i passaggi dalla “corte nobile” alla “corte rustica” (dietro la Villa), con locali destinati alla “bottega” ed alla contabilità. Ma a tener presente che ci si trovava sempre nella dimora del Conte c’erano e ci sono alcuni grandi quadri, che rappresentano le glorie della famiglia Tiepolo, due dogi, un patriarca, un Provveditore alla flotta e soprattutto Ermolao (Almorò), Procuratore di S. Marco, colui che portò a termine la costruzione della Villa. Personaggi storici, ma che incarnano quelle virtù, la prudenza, la giustizia, la sobrietà, che dovevano regolare l’azione dello Stato come la vita della famiglia.
Ed un grande albero genealogico è stato dipinto anche nel salone di rappresentanza e da ballo del piano superiore, dove si celebravano gli eventi ufficiali dei nobili proprietari, affrescato dopo la metà del ‘600, da Pietro Antonio Cerva, quadraturista della scuola di Bologna, che “molto travagliò nel grandioso palazzo dei Tiepolo”, racconta un cronista del ‘700. È il trionfo del barocco veneziano con figure allegoriche, finte architetture e commistioni con elementi vegetali e floreali. Dove sembra di avvertire ancora, in qualche pausa di silenzio, le note di un minuetto.
Degna di particolare attenzione è anche la Cappella gentilizia, ricostruita attorno al 1775 dopo l’incendio della precedente, e dipinta da Giambattista Canal, uno dei più ricercati “frescanti” di chiese venete. È dedicata alla Madonna del Rosario e munita da papa Pio VI del privilegio dell’indulgenza plenaria. Ancor oggi continua ad essere luogo di culto per la popolazione in occasione della Festa del Rosario.
La villa oggi
Il grande merito della conservazione e della valorizzazione della Villa va alla famiglia Passi, entrata in possesso della Villa per via ereditaria ancora nell’800, ed in particolare al Conte Alberto, presidente dell’Associazione Ville Venete. Le sue continue cure consentono a tutto il compendio di produrre bellezza anche oggi. E, grazie agli spazi da lui ricavati e preparati (alcune stanze ed un appartamento), è possibile assaporare ancora il piacere del vivere in villa, tra arte, cultura, storia e natura.