A nord-est del Ponte di Rialto, nel sestiere di Cannaregio, vagando per calli strette e poco frequentate, potresti sbucare in un campiello silenzioso e trovarti all’improvviso davanti ad un gioiello quasi piovuto dall’alto ed incastonato per incanto nella fitta trama urbana della città. Sarà per quella forma a bauletto, per le dimensioni piccole ma sapientemente proporzionate o per i colori tenui di quegli incredibili rivestimenti marmorei, ma la sorpresa, lo stupore, la meraviglia sono inevitabili. Oggi come ieri, quando verso la fine del ‘400 ancora “fiammeggiava” il gotico veneziano, un cambio di stile così netto ed altrettanto leggiadro e bello, come quello proposto dalla chiesa di S. Maria dei Miracoli, doveva avere un impatto formidabile.
Erano già sorti alcuni edifici portatori del nuovo “verbo” rinascimentale, prima di tutti la chiesa di San Michele in Isola (1468-1479), opera di Mauro Codussi, destinato a dare l’avvio, assieme ad altri architetti lombardi, come Antonio Rizzo e soprattutto Pietro Lombardo, ad una delle stagioni più proficue ed interessanti dell’arte veneziana (ultimo ventennio del ‘400), che doveva consegnare al patrimonio artistico di Venezia le chiese di S. Zaccaria, S. Maria Formosa, S Maria dei Miracoli, la Scuola Grande di S. Marco ricostruita, i palazzi Corner-Spinelli, Vendramin-Calergi, Dario di S. Vio ed i monumenti funebri al doge Malipiero, al doge Nicolò Marcello, al doge Pietro Mocenigo nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.
Il loro era uno stile rinascimentale, detto “lombardesco”, che portava in laguna le novità di Brunelleschi, Leon Battista Alberti e Michelozzo, rivisitate attraverso il Donatello di Padova e la cultura figurativa veneziana. In particolare Pietro Lombardo era riuscito a formare una bottega di lapicidi e di scultori di assoluto prestigio, ricercata sia per la fornitura di materiali sia per la scultura delle parti decorative, in grado di monopolizzare le più importanti commesse fino a fine secolo.
Ma fu nella progettazione e nella costruzione di S. Maria dei Miracoli, che Pietro Lombardo si giocò il suo prestigio e le sue fortune d’artista.
Tutto ebbe inizio nel 1480…
Già all’inizio del ‘400 Francesco Amadi, un ricco mercante di sete di origine toscana, si era fatto dipingere l’immagine di una Vergine col Bambino Gesù e l’aveva fatta affiggere in una piccola teca di legno al muro di una casa vicina, di proprietà della famiglia Barozzi, per eccitare alla devozione verso la Madonna. Accadde che una vedova, particolarmente devota a quell’immagine, la sera del 23 agosto 1480, venisse nei pressi assalita a tradimento e pugnalata da un congiunto e lasciata a terra semiviva. Subito si alzarono le sue invocazioni strazianti alla Madonna, che ben presto fecero accorrere gente. Ma quale fu la sorpresa, quando la ritrovarono spaventata, ma salva ed illesa. E subito gridarono al miracolo.
La notizia si diffuse rapidamente e in pochi mesi cominciarono a far visita all’immagine storpi, ciechi ed infermi, molti dei quali, secondo le cronache del tempo, dopo preghiere ed invocazioni a Maria Vergine, ottennero la guarigione. Al punto che Angelo, nipote di Francesco Amadi, prima decise di ricoverare la piccola teca in una cappella di tavole e poi ottenne il permesso di erigere una piccola chiesa.
Già l’8 dicembre dello stesso anno si giungeva alla posa della prima pietra e l’anno seguente iniziava la costruzione dell’edificio sacro. I Procuratori nominati per condurre a termine l’intrapresa pensarono anche a chi avesse potuto tessere in quella chiesa notte e giorno le lodi a Dio ed invocare la divine benedizioni e fecero costruire un monastero, affidandolo alle monache di Santa Chiara di Murano.
La stupefacente realizzazione del capolavoro
Attorno all’opera ed alla fama della “Madonna dei miracoli” si erano create tante attese, da parte del papa Sisto IV, che aveva esteso la protezione di S. Pietro sulla chiesa esentandola da ogni altra giurisdizione, da parte del Patriarca Maffeo Gerardi, che aveva accompagnato in festosa processione l’immagine della Madonna in quella che era ancora una cappella, e da parte dei nobili e del popolo, che assicurarono all’opera offerte sempre più cospicue.
Pietro Lombardo, da parte sua, mise in gioco tutta la sua arte, la sua scienza costruttiva e decorativa, i suoi figli Tullio ed Antonio, già scultori ed artisti affermati, e la sua prestigiosa bottega per portare a termine in soli otto anni (1481-1489) un autentico capolavoro, un edificio fatto sorgere ex novo, situazione rarissima a Venezia, isolato su tutti i lati, dall’originale forma “a bauletto”, rivestito di opere in pietra ed in marmo di straordinaria leggerezza e di raffinata eleganza.
Ancor oggi non si può non rimanere incantati, ammirando esternamente l’armonia degli spazi e delle linee, la policromia dei marmi, incrostati a foggia di croci, tondi ed ottagoni, l’eleganza unica e ricercata di quello “scrigno”.
Appena entrati colpiscono subito lo sguardo l’inattesa sopraelevazione del presbiterio, che pone in posizione dominante l’altare con l’immagine dipinta della Vergine miracolosa, e soprattutto quel tripudio di bellissimi bassorilievi, autentici ricami lapidei che rivestono con le decorazioni marmoree tutta la chiesa. Imponente è la volta a botte, decorata a cassettoni dorati che definiscono 50 riquadri, ciascuno con una mezza figura di santo, opera di Pier Maria Pennacchi.
Un coro univoco di lodi
Meritò subito la stupita ammirazione dei contemporanei:
– Felice Fabri, un frate domenicano di Ulma, di ritorno dalla Terrasanta nel 1484, a chiesa non ancora ultimata, così si esprime: “È di tale magnificenza che a vedersi è qualcosa di meraviglioso. Nessun principe in Germania potrebbe permettersi una tale costruzione”.
– Marin Sanudo: “Quivi è sta’ fatto d’elemosina, non è 5 anni, una bellissima chiesa tornata di marmi, lavorata all’antica, con porfidi e serpentini, coperta di piombo”.
– E il Sabellico: “Un’opera magnifica che, ad eccezione della Chiesa d’oro (San Marco), supera tutte per fattura, costo dei materiali e bellezza”.
– E nel ‘500 il Sansovino: “Ricca, bella e culta chiesa, incrostata di fuori di finissimi marmi e di dentro il simile per terra e per tutto, con bellissimo soffitto in vòlto messo a oro con molta ricchezza e nella fronte ornamenti di porfidi e serpentini posti con mirabile artifitio”.
E le lodi si aggiunsero alle lodi, fino al giudizio di Ezra Pound, che non esitò a definirla “un piccolo scrigno”, consacrandola come l’esempio più interessante e finito del Rinascimento a Venezia.