La cinta muraria
Non molto lontano dal territorio delle Ville presentate finora, a sud-est di Treviso, il turista interessato alla storia ed all’arte non può non imbattersi in un’autentica sorpresa: una cinta muraria con tanto di torri e fossato che compare improvvisa al centro del paese di Roncade, lungo la strada che da Treviso porta al mare.
Storicamente la presenza di un luogo fortificato era più che giustificata: dietro il castello scorre il fiume Musestre, affluente del Sile, importante via di comunicazione fluviale con Venezia, e poco lontano passavano a sud la via Annia, che univa Padova ad Aquileia, e la via Claudia Augusta, che assicurava, attraverso il territorio trevigiano, il feltrino e la val d’Adige, le comunicazioni tra Altino (e quindi Venezia) e la bassa Baviera (Augsburg), collegando uomini e merci tra l’Adriatico e le pianure danubiane.
Ma, ad un’osservazione più attenta, nonostante le tipiche merlature a coda di rondine, le strutture stesse delle mura ed i torrioni rotondi non consentono di associarle alle classiche mura medievali. La dedica, poi, ben evidente, dei due torrioni che presidiano la porta d’ingresso, quello di sinistra a Giustiniano e quello di destra ad Agnesina, personaggi del primo ‘500, denunciano l’epoca di costruzione. Lo confermano le fonti disponibili: si tratta della ricostruzione, nei primi decenni del ‘500, di un precedente luogo fortificato, appartenente alla famiglia Sanzi, distrutto secondo alcuni storici da Cangrande della Scala nel corso della sua conquista del Trevigiano. Quindi si tratterebbe di “un’espressione di potere e di aspirazioni di classe dal valore simbolico” da parte di Girolamo Giustinian, patrizio veneto, e della moglie Agnesina Badoer, portatrice in dote di tutti i beni di famiglia, comprese le estese proprietà di Roncade.
Infatti quelle mura, edificate in tempo di pace, non avevano certo una funzione difensiva, costruite in un’epoca in cui le potenti armi da fuoco del tempo avrebbero con pochi colpi aperto brecce irreparabili su quelle cortine di mattoni. Dovevano soltanto recingere la principesca casa di villeggiatura, che stava sorgendo in quegli stessi anni, e conferire al complesso un’immagine di maestosità e di imponente severità.
La villa ed il giardino
Immagine che, una volta varcata la porta d’ingresso, si dissolve subito per lasciar posto, in lontananza, alla fine del viale, a quella della villa, di austera eleganza, che “si erge su un alto podio, come un classico tempio, cui si accede per ampia scalea”. Palladio non aveva ancora dato vita concreta alla sua idea di villa né codificato i suoi moduli costruttivi. E villa Giustinian si presenterebbe in tutta la sua raffinata semplicità, se non fosse per quella sorprendente apertura centrale, in aggetto, di porticati e di aerei loggiati, sostenuti da colonne in pietra d’Istria, e per quel coronamento delle due condotte fumarie a torre (a richiamo delle torri d’ingresso), che ne fanno una delle più emblematiche architetture pre-palladiane del primo ‘500.
Dalla severa cinta muraria “medievale” si passa così alla tranquilla residenza di campagna, attraversando un giardino dominato da quattro alberi monumentali, due magnolie grandiflore e due cedri del Libano, e profumato da rigogliose fioriture di rose, mentre l’occhio scivola lungo le ampie barchesse laterali, che ospitavano un tempo attrezzi, magazzini ed animali, ricordando l’originaria vocazione agricola e commerciale della tenuta. In origine, al posto del giardino, c’era la grande aja, dove razzolavano gli animali da cortile, ed attorno, sotto i portici delle barchesse, erano attive alcune botteghe artigiane e si teneva un mercato settimanale di prodotti agricoli.
Stupisce questa singolare villa-castello, per di più di autore ignoto (raro esempio di arte lombardesca, forse vicina ai modi stilistici del Codussi o dei Lombardo), e, nella quiete apparente del giardino, aggiungono stupore a stupore le vigili presenze di una trentina di statue di soldati dell’esercito della Serenissima, detti “Schiavoni”, dai lunghi baffi spioventi ed armati di archibugio, assoldati, dice la leggenda, dal conte per custodire in sua assenza la virtù della moglie. Fiducia tradita proprio da loro e punizione esemplare da parte del conte, che, ricorrendo alle arti di un mago, li fece trasformare in statue.
Gli interni abitati
Luminoso ed elegante l’ingresso della villa, che immette nel grande salone passante, un tempo adibito a luogo di incontro e di rapporti commerciali, aperto sia sul giardino che, sul lato opposto, sul brolo e sulla campagna circostante; ai lati sono disposte simmetricamente due stanze, destinate ad ufficio, a salotto o a camere da letto, al piano superiore, dove la struttura è replicata. Soffitti in legno, con travatura squadrata, e, lungo le pareti dei saloni, una fascia monocroma con putti e medaglioni ed effigi di imperatori romani e di illustri personaggi della famiglia; per il salotto, arredi settecenteschi, soffitto in legno laccato e pareti a stucco. Il tutto ispirato ad una composta sobrietà, non priva di un’austera eleganza. Evidentemente non erano ancora i tempi delle “smanie della villeggiatura”.
Di particolare interesse, nella cappella privata del Castello, i busti in terracotta dei primi proprietari, i già citati Girolamo Giustinian ed Agnesina Badoer, lei ritratta nell’atteggiamento di una matrona romana, che si addiceva bene a quella che fu la grande protettrice della proprietà di Roncade e vietò con disposizione testamentaria ai figli di vendere od alienarne una parte. Ed i Giustinian abitarono la villa-castello per quasi quattro secoli, fino a che il loro ramo andò in estinzione e la proprietà passò a parenti, che la lasciarono andare in decadenza.
Per fortuna nel 1930 fu acquistata dal barone Tito Ciani Bassetti, che provvide al restauro del Castello e diede una nuova vita a quelle proprietà, rilanciando la coltivazione della vite e la produzione di vini di qualità. A Roncade il barone trovò le vigne, le cantine sulle barchesse ed una prestigiosa dimora, ed egli portò dal Trentino il gusto delle cose belle, la sua esperienza sul settore e nuovi vitigni, che consentirono poi ai suoi eredi di valorizzare i terreni e di sviluppare le produzioni. Ora il nipote Vincenzo e suo figlio Claudio si dedicano alla conservazione dell’importante bene artistico, aperto ad una fruizione internazionale ed impreziosito da quei vini di eccellenza, che esaltano l’accoglienza e l’ospitalità della famiglia.