Come ogni anno dal 1901 ad ottobre vengono assegnati i Nobel, Onorificenza di valore mondiale attribuita a persone distintesi nei diversi campi dello scibile, apportando «i maggiori benefici all’umanità» per le loro ricerche, scoperte, invenzioni, opere letterarie, impegno in favore della pace mondiale. In questa edizione 2017 per la Medicina il premio è stato attribuito ai ricercatori americani Jeffrey Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young per lo studio dei meccanismi molecolari che controllano i ritmi circadiani. I tre ricercatori hanno sostanzialmente scoperto che l’organismo umano è regolato da un orologio biologico. Come facciamo ad adattarci al ritmo della rotazione terrestre? A sincronizzarci con l’alternanza giorno-notte, a “sapere” quando è ora di dormire e di svegliarci? Hall, Rosbash e Young, hanno chiarito come le piante, gli animali e gli esseri umani adattano il loro ritmo biologico in modo che sia sincronizzato con le rivoluzioni della Terra. Utilizzando le mosche della frutta come organismo di modello hanno isolato un gene che controlla il normale ritmo biologico quotidiano. Dimostrando che questo gene codifica una proteina che si accumula nelle cellule durante la notte, e poi viene degradata durante il giorno.
Successivamente, hanno individuato ulteriori componenti proteici di questo meccanismo: ora sappiamo che l’orologio biologico “funziona” con gli stessi principi nelle cellule di tutti gli organismi multicellulari, compresi gli esseri umani.
Il nostro orologio interno adatta la nostra fisiologia alle fasi più diverse della giornata, regolando funzioni cruciali come comportamento, livelli ormonali, sonno, temperatura corporea e il metabolismo.
Il nostro benessere soffre quando vi è una disallineazione temporanea tra il nostro ambiente esterno e questo orologio biologico interno, ad esempio quando viaggiamo in diverse zone temporali e sperimentiamo il “jet lag” ma non solo, un disallineamento cronico tra il nostro ‘timer’ interno e lo stile di vita comporta un aumento di rischio per diverse malattie tra cui i disturbi del sonno e i disturbi dell’umore.
Il modello cognitivo di insonnia proposto da Harvey (Harvey, 2002; 2005; Espie et al. 2006) afferma che l’insonnia è sostenuta, da una “cascata” di processi cognitivi presenti sia di notte che di giorno:
1. Gli individui con insonnia soffrono di pensieri intrusivi spiacevoli ed eccessiva paura durante il periodo di pre-addormentamento
2. Paure ed eccessive ruminazioni scatenano arousal fisiologico/emotivo e stress (stato ansioso)
3. Lo stato ansioso determina un restringimento del focus attentivo che porta a sovra-monitorare stimoli interni (sensazioni fisiche) o esterni (stimoli ambientali) che minacciano il sonno. Le chances di percepire stimoli che minacciano il sonno aumentano
4. Gli individui sovrastimano l’entità del disturbo del sonno (di notte) del deficit di performance (di giorno). I processi di sovra attenzione e sovra stima del disturbo (punti 4-5) incrementano lo stato di paura iniziale.
5. Credenze erronee sul sonno e comportamenti di compenso contribuiscono ai processi di mantenimento del disturbo.
E che si rinforzano con l’abitudinarietà e con l’estrema ossessione nel:
• Attenzione selettiva verso il sonno
• Intenzione di dormire a tutti i costi
• Sforzo per dormire
In generale per la cura dell’insonnia ci sono due strade fondamentali, quella farmacologica e quella cognitivo-comportamentale, terapia quest’ultima, vista la recente scoperta, di elezione.