Ludwig Wittgenstein nacque a Vienna il 26 aprile del 1889. La famiglia Wittgenstein, di origine ebraica, era emigrata in Austria dalla Sassonia. Il nonno si era convertito al protestantesimo. La madre di Ludwig esercitò una forte influenza artistica su tutti i figli facendo della famiglia un centro di attività musicale; tra gli amici più intimi della famiglia c’era pure il compositore Johannes Brahms . Ludwig era il minore di cinque fratelli e tre sorelle. La natura fu prodiga con tutti i figlioli dei Wittgenstein, ma certamente era Ludwig a possedere un genio incommensurabile, constatato il fatto che questo filosofo fosse privo di quella vanità che si palesa nel desiderio di apparire diverso, ed era inevitabile che emergesse nettamente sugli altri. È vero che, con ogni probabilità, egli visse rasentando “la malattia mentale”, quel timore di scivolare nella follia che lo perseguitò nel corso della sua vita. Come sappiamo dai manuali di storia della filosofia contemporanea, il filosofo austriaco frequentò per 3 anni la Realschule a Linz, una scuola statale che oggi definiremmo a indirizzo tecnico-meccanico (fu nella stessa scuola con Adolf Hitler, coetaneo, ma due classi indietro; secondo Kimberley Cornish quest’episodio ricopre una complessa problematica politico esistenziale insospettata). Terminò la scuola e si iscrisse alla Technische Hochschule di Berlino-Charlottenburg. Rimase a Berlino fino alla primavera del 1908. In seguito si trasferì a Manchester per proseguire gli studi di ingegneria aeronautica, ma poi decise di lasciarli per dedicarsi alla logica e alla filosofia. Si recò a Jena per studiare con Gottlob Frege, ma fu proprio il matematico logico tedesco, ad invitarlo a recarsi Trinity College di Cambridge, per studiare con Bertrand Russell, poiché riteneva il filosofo matematico inglese una delle menti più brillanti contemporanee.
Solo dopo la pubblicazione dei “Principia Matematica” Russell venne a conoscenza di essere stato anticipato proprio da Frege , nelle grandi linee, in “Grundgesetze der Arithmetik”, tradotto come Principi dell’aritimetica, che prima di Russell non ebbe nessuna rilevanza nel mondo intellettuale. Russell fu il primo a coglierne la sua reale importanza logico-filosofica. Il primo problema cruciale che si poneva nei Principi era come dare una definizione logica del numero; il matematico tedesco Frege era ricorso alla nozione di classe, definita come estensione di un concetto. Sicchè al concetto “uomo” corrisponde la classe degli uomini, a quella di un “tavolo” la classe dei tavoli e cosi via. Ma Russell fece notare come questa teoria delle classi dava luogo a contraddizioni. Per esempio: La classe di tutte le classi è a sua volta una classe, e pertanto non appartiene alla propria estensione. In questo modo si potrà formare “la classe delle classi che non contengono se stesse come elementi”.
Dal che sorge la domanda questa classe appartiene a se stessa oppure no? Dal canto suo Russell cerca di sfuggire alla contraddizione con un epifania filosofica, ma pagando lo scotto di introdurre nel sistema una specie di un provvedimento speciale. Lo stesso Russell non si mostra molto soddisfatto della propria soluzione, e il suo libro chiosa cosi: Non sono riuscito a scoprire quale possa essere la completa soluzione, ma poiché essa interessa proprio i fondamenti del ragionare, io ne raccomando lo studio a tutti coloro che si interessano di logica. Wittgenstein era come il destinatario ideale di questo invito. Dedicò due trimestri del suo soggiorno a Manchester, a studiare i “Principia Matematica” di Russell, e poi i Principia dell’aritmetica di Frege, tanto che ancor prima dell’aprile del 1909 il filosofo austriaco inviò subito a un amico di Russell, lo storico della matematica Philip
Jourdain, la possibile soluzione alla contraddizione. Alcuni pensano che il motivo per cui Ludwig mandò la soluzione a Philip Jourdain era che essa non era proprio stata elaborata in modo perfetto. Ma nel seguito constateremo che l’intuzione geniale di Ludwig si rivela quella che costituirà la base del suo successo mondiale, cioè il “Tractatus-logico-philosophicus”, quaderni 1914-1916, nella topologia dell’opera si può riassumere che consta di due parti, afferma lo stesso filosofo austriaco, una di ciò che è scritto qui, e di una tutto ciò che io non ho scritto. È proprio questa seconda parte è quella importante. In originale è : Mein Werk besteht aus zwei Teilen: aus dem, der hier vorliegt, und aus alledem, was ich nicht geschrieben habe. Und gerade dieser zweite teil ist der Wichtige.
Secondo i miei studi e le ricerche sul filosofo austriaco da cui ho redatto un ampia dissertazione sulla figura dell’intellettuale ebraico-austriaco, ho analizzato una particolare struttura nel suo primo libro sulla logica il Tractatus, che consta di 526 proposizioni ovvero in tedesco Sätze ordinate gerarchicamente. Le sette proposizioni gerarchicamente più alte hanno numero intero constante di un’unica cifra , tutte le altre 519 proposizioni recano un numero decimale. Ecco il testo del Satz 7 (l’enunciato più famoso della filosofia occidentale contemporanea): “Wovon man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen” (Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere). Secondo i miei studi su Wittgenstein, credo che il suo pensiero sembra attraversare diametralmente il corpo di problemi sollevati dalle quattro relazioni: dalla definizione fondamentale del concetto di numero a quella di numero reale, dalla possibilità di dimostrare la coerenza di un sistema, alla critica severa del concetto di infinito. Devo ammettere che un certa storiografia, fin troppo condiscendente alle suggestioni del biografismo, ci ha abituati ad un immagine del Wittgenstein tutta iscritta nella sua vicenda individuale. Diametralmente il pensiero di Wittgenstein subisce diverse epifanie che incontreremo nel suo libro postumo “Ricerche filosofiche”, che conclude che “il più grande fallimento del linguaggio è stato il mio grande successo” – ovvio che questa frase o enunciato si riferisce al suo primo libro il “Tractatus-logico-philosophicus”. Certamente per dirla con Ray Monk, Ludwig Wittgenstein è un filosofo senza aver mai studiato i grandi pensatori del passato, allievo prediletto, e poi controverso, di Bertrand Russell, eremita in Norvegia, maestro elementare, architetto avarissimo di scritti (un solo libro pubblicato in vita). Il filosofo austriaco è senza dubbio una delle figure intellettuali più singolari e affascinanti del Novecento. Penetrare completamente il suo pensiero è impresa ardua, che ha impegnato molti interpreti e critici. Ancora più ardua è la scommessa di spiegarne e chiarirne i rudimenti in un’introduzione di base comprensibile anche al lettore non specialistico. Per quanto riguarda la mia esperienza di studioso e ricercatore posso affermare che solo due figure contemporanee sono riuscite a comprendere fino in fondo il filosofo austriaco, e si tratta di Marino Centrone (filosofo della scienza all’Università di Bari, ora in pensione), l’altro è il filosofo e scrittore britannico Ray Monk (15 febbraio 1957). Dal 1992 insegna presso l’Università di Southampton. Si interessa, oltreché degli studi wittgensteiniani, della filosofia della matematica, della storia della filosofia analitica e degli aspetti filosofici della scrittura biografica. Opere: ”Ludwig Wittgenstein: The Duty of Genius”, London, Jonathan Cape, 1990. (tr. it. “Ludwig Wittgenstein.
Il dovere del genio”, traduzione di Piero Arlorio, Milano, Bompiani, 1991.) Una scommessa senz’altro vinta da Ray Monk, che nei suoi libri fa una guida alla lettura del pensiero di Ludwig Wittgenstein. Filosofo a sua volta, esperto di filosofia analitica e autore di quella che è diventata la biografia di riferimento su Wittgenstein.
Lo studioso Ray Monk riesce a conciliare il rigore filologico, proponendo e commentando nei sui libri un ordine cronologico brani rilevanti degli scritti di Wittgenstein, con il racconto di aneddoti illuminanti tratti dalla sua vita movimentata.
La filosofia è un’esperienza di vita, che deve essere affrontata e si comprende come una persona, un brano musicale, una poesia. Un approccio rivoluzionario, che la felice mano di Ray Monk chiarisce e avvicina in questo eccezionale “faccia a faccia” con una delle menti più interessanti e particolari del nostro tempo.