Uscendo da Piombino Dese per l’antica via che porta a Mogliano Veneto e quindi a Venezia, nessuno si aspetterebbe, ad appena 5-6 chilometri di distanza dalle ville di Piombino e di Cavasagra, di incontrare un’altra grande villa, anche se, una volta attraversato il centro abitato di Levada, la sua presenza è annunciata da una macchia di alberi svettanti, che continuano accoppiati in fila verso sud. In ogni caso è una felice sorpresa. La luminosità della facciata, preceduta da un ordinato giardino all’italiana, l’armonia delle ricercate simmetrie e proporzioni, la semplicità delle linee architettoniche, incantano fin dal primo approccio.
Il corpo centrale si articola in due piani: quello superiore, scandito da semicolonne ioniche, alternativamente singole e binate, e concluso da un semplice timpano, coronato da statue; quello inferiore, reso a bugnato, che si prolunga, con alcune arcate a tutto sesto, a legare le barchesse laterali in un unico, maestoso compendio.
È stata ed è la dimora di una grande famiglia nobile veneziana, quella dei Marcello. Lo si coglie subito rilevando sulla sommità del magnifico cancello d’entrata l’immagine del corno ducale, prerogativa di chi ha avuto un doge in famiglia, e sul vertice del timpano della facciata la statua di un console romano (Marco Claudio Marcello), proposto come leggendario capostipite.
Le funzioni del sistema di villa
A distoglierci dalle immaginazioni, che la visione ci suggerisce, ci pensa il proprietario, conte Vettor, che, accompagnandoci nella visita, tenta di riportarci alle funzioni originarie della villa-fattoria, operazione difficile per un occasionale visitatore, ma che a villa Marcello è ancora in parte possibile.
Quindi ci fa riandare, passeggiando sul parco, alla scelta del luogo favorevole per la fertilità dei terreni e l’abbondanza delle acque, da irreggimentare e da navigare, al terreno argilloso con cui fabbricare i mattoni necessari per le costruzioni, ed, una volta scavato, da trasformare in peschiera, all’edificio centrale cinquecentesco molto più semplice, privo di abbellimenti e decori, abitato dal signore solo nel tempo della raccolta dei frutti della terra (vedi facciata posteriore, quasi intatta); e poi allo spazio anteriore ridotto a cortile, sul quale affacciavano le barchesse con le stalle, i ricoveri degli attrezzi, le abitazioni dei contadini; ed ancora ai boschetti di essenze locali, in grado di fornire legna da ardere e legname da lavoro, ed inoltre ai prati, necessari per far pascolare i cavalli, ed alla “colombera”, elegante costruzione a torre per l’allevamento di una razza particolare di piccioni, provvidenziali per l’alimentazione del personale di villa.
Quindi niente giardini “di parata”, né essenze esotiche da esibire, né giochi d’acqua nelle fontane, né ambienti dedicati alla villeggiatura, ma impianto di villa-fattoria, com’è stata Villa Marcello fino alla metà del ‘700.
Le splendide trasformazioni del ‘700
Sempre più si sentì l’esigenza di soggiornare in villa e di concedersi all’ozio, agli svaghi ed al contatto con la natura, che solo quelle dimore potevano consentire. Ed allora si decise un importante rinnovamento degli ambienti, a metà del ‘700, da parte dei nuovi proprietari, i Maruzzi, banchieri greci, prima di tutto della facciata nella reviviscenza dello stile palladiano, legando il corpo centrale alle barchesse, non più centro dell’attività agricola (spostata in un fabbricato adiacente), ma destinate ad ospitare carrozze e cavalli, cedrerie (nuove essenze venute dall’oriente) ed inservienti di villa. E poi marmorini, ornamenti pregiati e statue sulla Villa e un giardino antistante, animato da acqua viva, con fontane e ruscelletti e statue di soggetto mitologico che spuntavano un po’ dappertutto, anche lungo i viottoli che s’inoltravano nel parco dalle folte ombre tutt’attorno alla Villa, ricco di originarie essenze locali (carpino, faggio, rovere, tiglio) ma anche di piante rare e preziose e di vivai di fiori da taglio, dove potevano con piacere e sollievo condursi i passi di dame e damigelle, accompagnate da nobiluomini di rango o da borghesi arricchiti in cerca di svago e di spensieratezza.
Così la Villa diventò “luogo di delizie” e di esibizione, da parte dei proprietari, delle loro illustri ascendenze familiari o della loro ricchezza e generosità, messe ancor più in evidenza nella profusione decorativa degli interni. A villa Marcello furono sempre i Maruzzi a provvedere agli affreschi ed alle decorazioni del salone da ballo (in occasione del matrimonio di Alessandrina Maruzzi) e delle stanze adiacenti del piano superiore, affidandoli dal 1750 al 1755 ad alcuni degli artisti più alla moda del momento.
Venne scelto Giovanbattista Crosato (1697-1758), già pittore e decoratore di corte dei Savoia (Palazzo Reale di Torino e Palazzina di caccia a Stupinigi), distintosi anche a Venezia (salone da ballo di Ca’ Rezzonico), che a villa Marcello diede la prova più matura della sua arte con un ciclo di affreschi dedicato alle gesta di Alessandro Magno. In quelle scene dipinte si ritrovano, nelle forme lievi e teatrali del rococò, il felice cromatismo, gli accordi tonali, la raffinatezza, la fantasia scenografica, la vivacità narrativa, che in quel secolo venivano riconosciute in modo eccelso a Giambattista Tiepolo. Mentre nella celebrazione di Alessandro c’è tutta la cultura del tempo, che si propone di esaltare i valori e le virtù attribuite al personaggio storico, combattente pietoso (di fronte al cadavere di Dario), sovrano magnanimo (davanti alla famiglia implorante di Dario), amante generoso (favorendo l’amore tra Campaspe, sua favorita, ed il pittore Apelle), sposo amorevole (matrimonio con Rossane) ed infine assunto nell’Olimpo degli dei (affresco del soffitto). Tutte scene rese con sapienti campiture scenografiche, in cui domina e trionfa la luce, pervase da quell’aria di minuetto che sembra il naturale sottofondo del salone da ballo e delle stanze da letto adiacenti, arredate con raffinatezza e decorate con stucchi di mirabile fattura (alcuni su disegno di Giuseppe Zais), raffiguranti personaggi mitici o animali o scene campestri, atte a dilatare i sogni e le fantasie degli ospiti.
Difficile staccarsi da quel mondo, ma il conte Vettor ci ricorda, concludendo la visita, che se, dopo la splendida stagione settecentesca delle feste e delle spese folli, non ci fossero stati l’avo Girolamo a rientrare in proprietà della villa, a metà Ottocento, ed i suoi successori a restituirla al suo splendore, non avremmo oggi la possibilità di condividere la bellezza di una delle ville venete meglio conservate.