La ex prima ministra Jacinda Ardern ©Von Newzild, commons.wikimedia.org

Il 15 febbraio scorso si è dimessa la prima ministra della Scozia, Nicola Sturgeon, qualche settimana prima lo aveva fatto la prima ministra della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern. Entrambe ricoprivano da anni una posizione di primo piano, di grande responsabilità, entrambe hanno lasciato il posto al comando non perché sfiorate da scandali ma perché hanno sentito che era giunto il momento di andarsene per dare più spazio alla vita privata.

Così facendo hanno compiuto un gesto di responsabilità, innanzitutto nei confronti di se stesse, dimostrando di conoscere le proprie forze e i propri limiti, andare oltre i quali si rischia l’incolumità fisica e psichica. Conoscere i propri limiti è segno di forza interiore non ammissione di debolezza. Sturgeon e Ardern hanno compiuto un gesto di responsabilità nei confronti della collettività comunicando onestamente di non essere più grado di lavorare con la stessa intensità, con lo stesso impegno. È l’esercizio della pratica del ricambio, principio sacrosanto in politica, almeno nei sistemi democratici.

Le dimissioni di Sturgeon e Ardern hanno fatto riflettere molto la stampa sui modelli di potere. Queste due donne incarnano un’idea di potere lontana da quella che siamo abituati a vedere e a subire: di attaccamento viscerale al potere, dove addirittura la persona viene a coincidere con la posizione di potere. C’è un modo maschile e uno femminile di intendere il potere? Non lo so. Non amo questo tipo di generalizzazioni, sono pericolose, ci inscatolano in schemi. Sappiamo poi, e gli esempi non mancano, che ci sono donne attaccate al potere, si pensi a Margaret Thatcher. Vero è che i modelli di comportamento, di ruoli, e quindi anche di stile di potere sono stati introiettati da uomini e donne, ma questo non significa che non possano cambiare o che ci sia un modo maschile o femminile di intendere ed esercitare il potere.

Ma c’è un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi. Nicola Sturgeon e Jacinda Ardern con le dimissioni rifiutano un modello nel quale il potere, inteso come servizio, debba essere vissuto fino al sacrificio di sé, fino a diventare una rinuncia ad altri aspetti della vita, fino a diventare svuotamento di sé. Questo succede quando l’identità della persona si identifica con il servizio ricoperto, appunto. E questa concezione di servizio si proietta ovviamente oltre l’ambito della politica o del ruolo pubblico delle donne per estendersi al lavoro, al volontariato, alla famiglia. Questa idea di servizio, di completo darsi di se stesse, fino alla negazione della propria identità, è femminile? Direi di no, ma è arrivato a noi donne da molto lontano, è un ruolo, riprodotto e tramandato nei secoli che, fortunatamente, non solo Sturgeon e Ardern mettono in discussione.

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