E’ venuto a mancare il celebre pilota di Formula 1 Niki Lauda. Reduce da un bruttissimo incidente, sorprese il mondo delle corse con il suo rapidissimo ritorno in pista. Ha subito due trapianti di rene e un trapianto di polmone. La triste notizia ci spinge a interrogarci se la forma mentis di uno sportivo abituato a gareggiare possa essere di aiuto nell’affrontare e superare le difficoltà della vita.
Introduzione: il trapianto d’organo
Il trapianto d’organo, essendo in grado di prolungare nonché migliorare la qualità della vita del paziente, rappresenta un’efficace terapia nel caso di specifiche gravi patologie. Di contro, il prelievo e la donazione di organi presentano problematiche di tipo biologico, psicologico, sociale, morale, come anche religioso. La fase pre-trapianto e la fase post-trapianto possono suscitare problemi di tipo emotivo nonché psicologico quali ansia, paura, angoscia, depressione, che possono sfociare in difficoltà relative all’immagine di sé, alla propria accettazione ed al reinserirsi nella propria vita familiare, sociale e lavorativa.
Affinché vi sia una miglior ripresa post intervento con conseguente miglioramento della qualità della vita, sono necessarie una valutazione della situazione personale, familiare e sociale del paziente nonché una preparazione psicologica della persona, in modo da poter programmare un percorso riabilitativo in base alle risorse ed ai limiti del paziente (Trabucco G. 2005).
In particolare, il rigido regime post-trapianto che la persona si trova a dover affrontare può interferire con l’andamento clinico e la qualità della vita della persona, influenzando negativamente la compliance dei pazienti trapiantati. Difatti, la fase post trapianto può far emergere alcune problematiche quali la difficoltà dei pazienti a seguire le indicazioni dategli nonché a mettere in atto strategie per fronteggiare al meglio tale fase. Si tratta di una sfida che la persona si trova a dover affrontare (Trabucco G. 2005).
Prendendo spunto dalla vicenda del pilota Niki Lauda, sottoposto a due trapianti di rene e uno di polmone in seguito ad un incidente nel 1976, mi sono domandata se l’abitudine alla sfida sportiva e, dunque, l’essere sottoposti alla ricerca continua di strategie per superare i propri limiti e il doversi adeguare ad un regime di vita particolare, possano contribuire a migliorare il coping delle persone trapiantate e, conseguentemente, ottenere una maggiore aderenza ai trattamenti e quindi un miglioramento nella loro qualità della vita.
La storia di Niki Lauda
Andreas Nikolaus Lauda, meglio noto come Niki Lauda, nasce il 22 febbraio del 1949 a Vienna. Dopo l’incidente del Nürburgring, Niki Lauda ha dovuto affrontare due trapianti di rene (il primo avvenuto nel 1997 con donatore vivente il fratello e il secondo nel 2005 con rene donato dalla moglie) ed un trapianto di polmone a causa di un alveolite emorragica trattata prima con ECMO, inserito nella lista trapianti, si è reso disponibile un organo ed è stato trapiantato il 1/8/2018 esattamente 42 anni dopo l’ incidente (Mensurati M. 2016)
Niki Lauda e l’incidente del Nürburgring
Lo scenario e quello del circuito del Nürburgring che si snoda intorno al Castello di Nürburg, in Germania, una pista di 22,8 chilometri piena di curve, in cui erano già morti 131 piloti di diverse categorie in meno di cinquant’anni.
Il l primo agosto del 1976, nel mezzo della stagione agonistica, la pioggia ha reso insidioso il circuito, Niki Lauda propose di non correrlo durante la riunione pre-gara dei piloti, spiegando che le condizioni della pista non erano ottimali a causa del maltempo e che i rischi erano molto alti. A maggioranza i piloti decisero però di gareggiare, bocciando la sua proposta.
Dopo il primo giro (erano necessari quasi sette minuti per farne uno) la pista si era relativamente asciugata e ci fu grande concitazione ai box per cambiare le ruote alle auto e mettere quelle da asciutto. La gara è un testa a testa fra Lauda e Hunt. Al terzo giro: poco dopo la curva Ex-Muhle e il tornante Bergwerk, Niki Lauda perde il controllo della sua monoposto, la Ferrari 312 T2 sbanda in una curva a sinistra a causa di un cedimento strutturale favorito dalle condizioni della pista. L’auto colpisce in pieno una roccia a lato del circuito e si ferma in fiamme in mezzo alla pista. Niki Lauda, privo del casco saltato via durante l’impatto, viene tamponato dalle auto di due piloti in arrivo, Harald Ertl e Brett Lunger e si incendia. Il pilota austriaco, ancora cosciente, viene così avvolto dalle fiamme (Ferrari opera omnia 2007).
Il punto dell’ incidente, lontano dai box non era presidiato da commissari di gara, sono pertanto gli stessi piloti, Ertl e Lunger, a soccorrere Niki Lauda, insieme con altri due piloti arrivati in zona. Guy Edwards, Brett Lunger, Harald Ertl e Arturo Merzario scendono dalle auto interrompendo la gara per soccorrere Lauda.
Prima di essere estratto, il pilota riporta ustioni di primo grado alle mani e di terzo grado al volto, una frattura dello zigomo, ma soprattutto è stato esposto ai fumi tossici spigionati dall’ incendio dell’autovettura che ha respirato per diversi minuti. Contrariamente a tutte le aspettative, appena 42 giorni dopo il rogo del Nürburgring, Niki Lauda si ripresenta in pista. Quell’anno avrebbe vinto il suo storico rivale James Hunt, ma la stagione successiva fu tutta per l’austriaco che vince il secondo dei suoi tre titoli mondiali (Marcacci P. 2017).
Il coping
Coping: “to cope with”, forse in modo un po’ troppo semplicistico e riduttivo, viene spesso tradotto con termini quali fronteggiare, reagire, affrontare, riferendosi a quelle strategie cognitive, emotive e comportamentali che l’essere umano mette in atto per far fronte e gestire eventi stressanti, reali o percepiti come tali (Spagna et, al. 2014).
Sebbene sia stato lungamente studiato, quello di coping è un concetto che a tutt’oggi non vede una definizione univoca. Termine di chiara matrice anglofona, è stato lo psicologo americano Richard Lazarus negli anni 60 del novecento ad introdurlo nel panorama della psicologia con una cospicua mole di ricerche volte a definirne le componenti.
In particolare, lo psicologo definisce le così dette strategie di coping (1991) come veri e propri sforzi cognitivi e comportamentali posti in essere dall’essere umano in merito a richieste specifiche, interne o esterne che siano, valutate come eccessive od eccedenti rispetto alle proprie risorse.
In tale processo, Lazarus (1966; 1968; Lazarus e Folkman, 1984) sottolinea l’importanza dei fattori cognitivi, riconoscendone la supremazia rispetto alle variabili genetiche ed ai contesti di natura socioculturale.
Altri autori hanno invece messo in evidenza i limiti di un approccio troppo individualistico, evidenziando che le situazioni stressanti sono vissute all’interno di un contesto interpersonale altamente articolato, in cui un ruolo di particolare rilievo è rivestito dagli “altri significativi” e che le loro risposte esercitano un’influenza non trascurabile sul modo in cui l’essere umano affronta una determinata situazione stressante (Manne e Zautra, 1989;Marin, Holtzman et al., 2007).
In presenza di una malattia ingravescente ed invalidante, ad esempio, gli “altri significativi” ed in particolar modo il partner non sono solo fonti di supporto (o all’opposto di ulteriore fatica), ma anche partecipanti attivi che influenzano il processo di gestione dello stress, a partire dalla valutazione della situazione fino alle strategie di coping che l’individuo può mettere in atto per far fronte a tutto ciò che la condizione di malato cronico comporta (Acitelli, Badr, 2005).
Quale delle due correnti di pensiero si assurge a discapito dell’altra?
È bene in questa sede sottolineare che nonostante gli studi e le ricerche abbiano visto il confronto e l’alternarsi nel corso degli anni dei due approcci distinti, il primo che ha posto l’accento sugli aspetti innati e stabili della personalità, versus un secondo filone di ricerca che ne ha invece enfatizzato i contesti situazionali, nessuno dei due si è affermato sull’altro in maniera marcata. Entrambi gli aspetti si configurano infatti come di primaria importanza e concorrono nel delineare tale costrutto, oggi considerato multidimensionale. Sulle strategie di coping influiscono infatti la personalità di chi le mette in atto e non da ultimo la natura dello stress ed il contesto in cui lo stesso si è verificato (Carver et al., 2010). Ed è proprio nell’evento stressante che è possibile rintracciare quel leitmotiv, un comune denominatore che accomuna il mondo dello sport e quello dei trapianti.
Sono ormai note ai più le esperienze di campioni ritornati a svolgere attività sportive professionistiche ad alti livelli dopo il trapianto, si citano in questa sede Niki Lauda, campione di automobilismo, Jonah Lomu (campione di rugby), Alonzo Mourning (giocatore di basket), Ivan Klasnic (campione di calcio). Non da ultimo, i pazienti con un trapianto di fegato che hanno scalato vette di seimila metri oppure trapiantati di cuore che hanno saputo completare manifestazioni di alto impegno agonistico, quali l’Ironman Triathlon (3,8 km di nuoto,180 km di ciclismo, 42,2 km di corsa) (Haykowsky et al., 2009).
Lo sport e lo stress
Se è pur vero che diversi studi hanno dimostrato che lo sport determini benefici sull’umore, riducendo gli stati d’ansia (Bodin, Torunn, Martinsen, Egil, 2004) e che, in generale, fin dai tempi antichi l’attività fisica viene considerata come parte integrante del concetto di salute, quando lo sport non è più fine a sé stesso ma diventa un lavoro o lo si pratica a livello agonistico, l’atleta dovrà in un certo qual modo confrontarsi con l’ansia e con lo stress nelle loro diverse declinazioni.
Nonostante siano spesso intrisi di significati negativi, ansia e stress sono al contempo connaturati di valenze positive e, nella pratica sportiva, possono aiutare gli atleti ad avere un buon grado di concentrazione nell’esecuzione della prova ed essere quindi funzionali al raggiungimento dell’obiettivo. A queste accezioni si affiancano quelle più controproducenti per l’atleta e che possono condurre ad un possibile decremento della sua prestazione. Per tali ragioni, ansia e stress sono i fenomeni più studiati in ambito sportivo. Edmonds et al. (2008) hanno effettuato una ricerca sugli aspetti emozionali delle gare automobilistiche utilizzando un simulatore di guida. Lo studio era finalizzato a verificare l’utilità e l’efficacia dell’apprendimento di strategie di autoregolazione emozionale prima di una competizione, mediante tecniche di biofeedback (Hanin, 2000) e con riferimento agli stati emozionali individuali. I risultati hanno confermato l’efficacia di tali strategie, ma al contempo è stata evidenziata la necessità di considerare approcci strettamente individualizzati.
Tra i metodi più usati dagli atleti per fronteggiare ansia e stress, affinché non inficino le loro prestazioni sportive ci sono le tecniche di rilassamento e meditazione corporea, che hanno dato negli anni i risultati migliori (Tamorri et.al., 2004). Nella maggior parte delle procedure utilizzate ci si prefigge l’obiettivo di eliminare gli effetti debilitanti dell’ansia e dello stress, cercando di abbassare il livello di arousal dell’organismo. Non sempre però tali metodiche sono in grado da sole di determinare gli effetti sperati, poiché questi dipendono anche e soprattutto delle reazioni soggettive agli stimoli stressanti. Pertanto, alle tecniche di rilassamento e a meditazione corporea si affiancano anche quelle di matrice somatica o cognitiva (Tamorri et. al., 2004).
È quindi assai variegato ed articolato il panorama dei programmi specifici di allenamento a cui gli atleti possono attingere per allenare le così dette coping skills, con l’obiettivo di riuscire a gestire meglio la loro performance, non solo durante le competizioni sportive ma anche e soprattutto quando si trovano a dover fronteggiare un evento di più ampia portata come l’infortunio ed a limitarne le conseguenze emotive negative post-evento.
Un “evento critico”, per definirsi tale, deve avere un impatto sufficientemente stressante, tanto da sopraffare la capacità di reazione di norma efficace di un individuo o di un gruppo. (De Felice, Colaninno, 2003).
Le principali caratteristiche di un infortunio o di una malattia ed i loro effetti fisici e psicologici vengono riuniti sotto il concetto di distress (Heinonen et al. 2005; Beanlands et al. 2003; Trask et al. 2002). Anche il processo di adattamento alla condizione di soggetto infortunato o di persona malata vengono studiati come reazioni di coping, ognuna delle quali pare inscriversi in un contesto intriso di storia e significati personali legati al soggetto interessato, sia esso infortunato o affetto da malattia (Kirsh, McGrew, Dugan&Passik, 2004; Watson et al.2004; Johnson, Vickberg et al. 2001).
Gli studi sul coping evidenziano il rapporto tra l’esperienza di malattia e l’efficacia delle strategie messe in atto dal soggetto per far fronte alla condizione di persona malata (Schulz-Kindermann et al. 2002). Un’altra serie di studi focalizza invece l’attenzione sui processi di interazione tra distress e coping (Holzner et al. 2001).
Conclusioni
Il trapianto d’organo si configura come un evento stressante per chi lo esperisce, le profonde implicazioni che comporta, con il conseguente impatto emotivo e psicologico dell’intervento, possono costituire una situazione traumatica che interrompe il senso di continuità e integrità personale, elicitando intense emozioni. È infatti possibile che si instauri una vera e propria crisi psicosomatica che esige dal paziente la mobilitazione di tutte le sue risorse nel processo di integrazione del nuovo organo estraneo, il quale può determinare un’alterazione della rappresentazione di sé e del senso di identità (Dew et al. 1999; Griva et al., 2002).
Per far fronte agli effetti psicologici dei vissuti traumatici, che l’esperienza del trapianto può comportare, è efficace l’aver acquisito esperienze positive di sé e degli altri, ciò consente infatti di utilizzare strategie per la riduzione dello stress (De Pasquale et al.,2014; Stukas et al., 1999).