Chi svolge un mestiere, deve sempre partire dal presupposto di poter sbagliare. Da giudice penale sono ben consapevole di poter condannare un innocente. E anche un meccanico, il più talentuoso ed estroso meccanico del mondo, non può escludere di commettere un errore che può rovinare il motore di una vettura e mettere magari in pericolo la vita di chi la guida. Lo stesso discorso vale anche per la Polizia: la Polizia può sbagliare. E quando sbaglia, bisogna dirlo chiaramente, dopo aver valutato i fatti e prendere le misure necessarie per evitare che l’errore possa ripetersi.
Il caso George Floyd, accaduto negli Stati Uniti, ha scosso tutta l’opinione pubblica: tutti ci chiediamo, di fronte alle immagini crudeli che ci sono pervenute tramite i notiziari, come mai i poliziotti abbiano agito con quella brutalità. Le immagini, tuttavia, si immortalano nelle nostre menti per un motivo ancor più palese della cruda brutalità manifestata: il motivo è l’assenza di umanità. La stessa assenza di umanità che ha messo fine alla vita di Jacob Blake in Wisconsin e che ha scosso nuovamente l’America. Quando un uomo è a terra e chiede, umilmente, di poter respirare, chiede perdono, scusa, si arrende, ogni proseguimento del potere, della violenza, del rigore è un atto di disumanità.
Ma quel che è accaduto negli Stati Uniti appare lontano ai nostri occhi. Sembra come se si trattasse di un problema americano, di un problema che risale al razzismo “dei bianchi contro i neri”. Non è così. Anche in Germania la Polizia sbaglia, anche qui ogni anno si spengono delle vite a causa della violenza esercitata dalle autorità: prendiamo il caso del greco Aristeidis L, avvenuto a Berlino il 12 gennaio 2019: il 36enne viene arrestato, cerca di divincolarsi, prova a resistere. I poliziotti iniziano a spruzzare dello spray al peperoncino e lo ammanettano ma, poco dopo, Aristeidis collassa e smette di respirare. Dopo due settimane di coma, Aristeidis muore in ospedale.
Un altro caso è accaduto il 17 agosto 2019 ad Aman A., un ragazzo afgano di 19 anni. Coinvolto in una lite tra coetanei in una casa per profughi a Stade, viene ucciso da due spari da parte di un poliziotto 27enne. Un anno dopo il caso viene archiviato: il poliziotto avrebbe sparato per legittima difesa. Il ragazzo afgano aveva una spranga di ferro in mano ed era risaputo che fosse schizofrenico.
Un fatto analogo è accaduto a Gelsenkirchen il 5 gennaio di quest’anno: il 37enne Mehmet B. prende a stangate una vettura parcheggiata dopo aver litigato con la moglie. Un giovane poliziotto, appena 23enne, lo ferisce con quattro colpi di pistola. Per l’uomo di origine turca non c’era più nulla da fare, muore pochi minuti dopo sul posto.
È ovvio che nessuno può affermare che la polizia abbia agito in malafede se poi, a conti fatti, mancano le prove. La presunzione di innocenza vale anche per le forze dell’ordine che si ritrovano dietro il banco dell’imputato: in dubio pro reo, si dice. La cosa che fa riflettere, tuttavia, è il silenzio – il silenzio “assordante” dei media e di tutto il palcoscenico della politica nei confronti di una realtà che mette in ombra lo Stato di diritto. Poche, troppo poche, sono le testate, i dossier, i notiziari che ne parlano e quasi inesistenti i politici che accendono i riflettori su queste vicende che continuano a ripetersi ormai da anni. Eppure i rimedi ci sono: le forze dell’ordine vanno addestrate affinché possano migliorare le qualità nel saper gestire anche le situazioni apparentemente difficili e pericolose. Inoltre, la Polizia dovrebbe sottoporsi continuamente a delle misure di monitoraggio: abbiamo agito bene? Abbiamo forse esagerato? Siamo riusciti nella nostra strategia di de-escalation? Tutto questo costa, ma se tutto questo può servire a salvare la vita anche di una sola persona, ne è valsa la pena – in nome dello Stato di diritto, che non è un’opzione ma un principio fondamentale della Costituzione tedesca.
Lo Stato di diritto funziona soltanto a due condizioni: in primo luogo se la violenza da parte delle autorità coercitive rimane sostanzialmente un tabù e la sua applicazione resta un’assoluta eccezione. Altrimenti la fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle forze dell’ordine rischia di svanire. E, in secondo luogo, se il quarto potere, vale a dire i giornalisti, puntano il dito ogni qualvolta lo Stato potrebbe aver sbagliato.