Il mondo di oggi offre al bambino una quantità di stimoli infiniti, è immerso in un mondo fluido, virtuale e iperconnesso.
Sin da piccolissimo il bambino ha il bisogno di essere connesso all’altro, prima con la madre e il padre, poi con i pari e il mondo esterno. Il cervello è stato programmato per connettersi e infatti da molti è considerato l’organo sociale del corpo, cioè quell’organo che ci consente di entrare in contatto con i sentimenti e le emozioni dell’altro e ci permette di relazionarci con lui.
Su questo bisogno di interconnessione si poggia il successo del mondo virtuale e dei social media, soprattutto nella pre-adolescenza e nell’adolescenza periodo in cui si ha la necessità strutturale di allargare il proprio mondo sociale.
Ma per il bambino piccolo, sotto i sei anni, l’utilizzo della tecnologia ha un rischio opposto e cioè quello di isolarlo, creando un vuoto di relazione in un momento in cui ha così bisogno del contatto psico-fisico con l’altro per creare le sinapsi che gli permetteranno di regolare le emozioni e le sensazioni.
Ma facciamo un passo indietro e andiamo a vedere quali sono le caratteristiche essenziali di una comunicazione profonda. Come dice il neuroscienziato Daniel Siegel nella comunicazione, oltre alle parole, ci sono 7 segnali importanti da considerare e che rendono la comunicazione ricca di senso.
I sette segnali sono:
1. il contatto oculare fra le persone che stanno comunicando
2. la condivisione delle espressioni facciali
3. la modulazione del tono della voce
4. la postura
5. la gestualità
6. il tempismo in ciò che si dice e si fa
7. l’intensità della risposta
Questi sette segnali sono tutti non verbali e danno un colore a quello che si sta dicendo (o non dicendo) e permettono al bambino di sintonizzarsi profondamente con quello che l’altro prova, permettendogli così di sviluppare anche l’empatia.
Inoltre tutta la comunicazione non verbale, che avviene solo quando due persone sono faccia a faccia, permette al bambino di rinforzare le connessioni dell’emisfero destro del suo cervello. Questo emisfero, oltre che ad essere quello più creativo, è deputato a ricevere e inviare i messaggi non verbali e lavora molto di concerto con il corpo nella creazione delle sensazioni e degli stati emotivi ad esse collegate.
Quindi meno tempo un bambino passa in una relazione “profonda” caratterizzata da questi sette segnali e meno riuscirà a connettersi con le sensazioni del suo corpo e a mediare le emozioni. Avrà quindi più difficoltà a riflettere sui suoi stati interni e sugli stati dell’altro perché non avrà allenato a sufficienza il suo emisfero destro.
Un modo per ottenere questo tipo di comunicazione più profonda si riesce ad avere nel momento in cui il genitore con il suo bambino si prendono un tempo per leggere una storia insieme. Cosa accade quando un adulto legge una storia ad un bambino? I due hanno un contatto oculare, condividono le espressioni facciali, c’è una modulazione della voce, il corpo si muove, vengono fatti molti gesti, ogni frase ha un suo tempismo e c’è un’intensità emotiva.
Quindi leggere una storia ad un bambino, oltre che a promuovere la crescita dell’emisfero sinistro del cervello che è impegnato a processare le parole e i significati, sostiene profondamente anche le connessioni dell’emisfero destro perché crea una relazione profonda e ricca di stimoli non verbali.
Quindi il problema sono le nuove tecnologie?
No, o meglio è l’utilizzo che ne viene fatto. Se i bambini trascorrono più tempo davanti Tv, Tablet e Smartphone che a impegnarsi in un’interazione con altri esseri umani, se le nuove generazioni di preadolescenti e adolescenti sono più impegnate a ricercare relazioni superficiali e virtuali piuttosto che relazioni profonde e faccia a faccia, abbiamo ed avremo un problema sociale importante.
Inoltre sempre più spesso i genitori utilizzano i tablet proprio come una “Tata”, facendo diventare questi strumenti il metodo predominante per calmare e distrarre il bambino davanti ad una frustrazione.
A lungo andare questi bambini, cresciuti a “pane e tablet”, saranno capaci di sviluppare meccanismi interni di autoregolazione e di gestione della frustrazione? Avranno acquisito le competenze relazionali e sociali per interagire in maniera sana con i propri coetanei? Avranno abbastanza empatia per mettersi nei panni dell’altro e comportarsi quindi con più compassione?
Infine molti studi dimostrano che, sotto i due anni, gli aspetti educativi “buoni” dei tablet non risultano significativamente differenti da chi inizia a utilizzarli più tardi e che comunque gli effetti positivi, nei bambini piccoli, si hanno soprattutto se i dispositivi elettronici vengono utilizzati insieme ai genitori.
Concludo dicendo che i bambini ormai sono culturalmente nativi digitali ma la vita in realtà li ha programmati al livello psico-fisico per essere nati per leggere