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La ricerca sperimentale proposta è stata improntata con il fine di rilevare le differenze tra giovani e anziani nella rievocazione di eventi, osservando, inoltre, come diversi stati emotivi possano influenzare la testimonianza resa dai soggetti.

I cambiamenti dell’invecchiamento

Nel corso dell’invecchiamento, sullo stato psicologico dell’individuo, hanno effetto una serie di fattori non psicologici come i cambiamenti biologici, sociali e gli eventi di vita. Tra i cambiamenti biologici si registrano modificazioni a carico di quasi tutti gli organi e apparati, in particolare del sistema nervoso, di quelli cardiovascolare, respiratorio, endocrino, scheletrico e muscolare, digestivo, urinario e genitale. Si tratta di cambiamenti geneticamente predeterminati, dovuti sia a cause ambientali, sia a comportamenti individuali. Particolare importanza hanno i vissuti relativi alla propria immagine corporea e alla sessualità. Tra i cambiamenti sociali i principali sono il pensionamento e i cambiamenti della struttura familiare, con la perdita, rispettivamente, del ruolo lavorativo e del ruolo di genitore. Queste perdite possono essere più o meno drammatiche a seconda della centralità che questi ruoli avevano nell’identità dell’individuo. Eventi stressanti come malattie possono comportare invalidità anche solo temporanea, ma possono indurre o far emergere forme di depressione. Infine, l’esperienza della morte di una persona cara comporta, attraverso una serie di passaggi, una lunga fase di elaborazione del lutto e nei casi positivi, il recupero della capacità di stabilire nuove relazioni affettive.

I cambiamenti cognitivi

L’invecchiamento è un fenomeno multidimensionale e multidirezionale, dove diverse dimensioni seguono andamenti diversi; questo dato è riscontrabile anche al livello cerebrale, dove solo alcune aree appaiono maggiormente sensibili all’avanzare dell’età, tra le quali la corteccia prefrontale. Grazie alla plasticità neuronale si assiste ad una riorganizzazione funzionale che permette all’anziano di mantenere adeguati livelli di prestazione nonostante il declino biologico.

L’attenzione

L’attenzione può essere definita come la capacità del nostro sistema percettivo di selezionare tra le moltissime informazioni che colpiscono i nostri organi di senso quelle a cui siamo interessati e che siamo in grado di elaborare. L’attenzione selettiva è la capacità di ignorare l’informazione irrilevante per gli scopi del soggetto e di mettere a fuoco quella rilevante, facoltà che sembra diminuire nell’anziano, come dimostrato in alcuni studi sull’ascolto dicotico, ovvero in situazioni in cui vengono trasmesse informazioni diverse ai due orecchi con l’istruzione di ascoltare solo un messaggio ignorando l’altro (Rabbit, 1965). L’attenzione distribuita entra in gioco quando si devono svolgere due compiti contemporaneamente, come conversare e scrivere un appunto, risulta anch’essa meno efficiente nell’età avanzata. L’attenzione sostenuta o vigilanza è la capacità di mantenere una adeguata prestazione in compiti monotoni per periodi relativamente lunghi; nell’invecchiamento subentra una maggiore distraibilità dovuta alla ridotta capacità di inibire le informazioni irrilevanti. Si ritiene che l’inibizione sia un meccanismo molto importante nei processi cognitivi e che nell’invecchiamento subisca un declino che spiegherebbe il rallentamento dell’anziano durante l’esecuzione di diversi compiti cognitivi in cui, appunto, perderebbe tempo in operazioni inutili, tant’è vero che spesso le prestazioni dell’anziano sono più lente ma più accurate (Rabbit, 1965). L’attenzione è coinvolta in modo differente nelle diverse operazioni cognitive. Secondo Hascher e Zack alcuni processi sono automatici, ovvero, richiedono poche risorse cognitive, sono poco influenzati dallo svolgimento di un altro compito, come pure da una forte attivazione emozionale o da affaticamento. Altri processi sono controllati, cioè richiedono un investimento maggiore di risorse cognitive, sono sensibili alle istruzioni del compito, all’interferenza di un compito contemporaneo e allo stress (Cornoldi, 1986). Una stessa attività può essere svolta con processi controllati nella fase di apprendimento e poi con l’esperienza può svolgersi attraverso processi automatici. Nell’invecchiamento, il declino delle capacità attentive influenza principalmente i processi controllati, mentre attività guidate da processi automatici possono essere svolte ad un buon livello.

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Apprendimento e memoria

Ratti e Amoretti (1991) hanno effettuato una rassegna delle ricerche sperimentali sulle prestazioni di memoria degli anziani. Da questa rassegna si evince che per quanto riguarda la memoria sensoriale non si riscontrano differenze con l’avanzare dell’età e anche per quanto riguarda la memoria a breve termine, la quantità di informazioni che può contenere non sembra variare con l’età, mentre quando l’informazione deve essere riorganizzata o resa disponibile per qualche scopo, le capacità degli anziani si mostrano peggiori di quelle dei giovani. Nell’invecchiamento la memoria a lungo termine è il sistema più danneggiato, in particolar modo, è più deteriorata quella che usiamo nella vita di tutti i giorni e che riguarda gli avvenimenti abbastanza recenti, mentre è più preservata quella che riguarda gli avvenimenti più remoti. Si è riscontrato un deficit che riguarda selettivamente la rievocazione, ovvero la ricerca di un elemento che si è appreso senza nessun aiuto o suggerimento esterno, mentre il riconoscimento è meno deteriorato e consiste nella capacità di distinguere l’elemento appreso se viene presentato in mezzo ad altri elementi nuovi. Questa situazione di divario è presente anche nei giovani, ma negli anziani è molto più accentuata e fa presupporre che la perdita di informazione avvenga a livello di recupero piuttosto che a livello di codifica. Inoltre, la tecnica di rievocazione guidata da suggerimenti dello sperimentatore sembra avvantaggiare più gli anziani che i giovani. Gli anziani mostrano un rallentamento della velocità della prestazione che è maggiormente presente nei compiti complessi. La prestazione degli anziani si avvicina a quella dei giovani nei compiti in cui ai soggetti non vengono date delle scadenze temporali. Inoltre è stata riscontrata negli anziani una difficoltà nell’uso spontaneo di strategie, sia nella fase di codifica e sia nella fase di recupero. È stata messa in evidenza negli anziani anche una difficoltà nell’elaborazione profonda degli item da memorizzare, come per esempio, un’elaborazione semantica invece di una visiva o fonetica, probabilmente dovuta a un problema di accesso alla memoria semantica. In aggiunta, è stato osservato che le situazioni sperimentali che studiano la prestazione dei soggetti anziani in compiti più simili ad un’esperienza d’esame che di vita quotidiana risultano, per l’anziano, particolarmente stressanti ed ansiogene, con l’effetto di far crollare la sua prestazione. Queste condizioni, ai giovani, risultano più familiari e frequenti, in quanto sono analoghe ai compiti scolastici e ai test di profitto. Inoltre, un alto livello di stress, un basso livello di motivazione al compito e una bassa autostima possono rendere l’anziano meno reattivo ed efficiente sul piano mentale.

La memoria autobiografica

La memoria autobiografica presenta, per chi la voglia studiare, un problema metodologico: non è quasi mai possibile riscontrare l’effettiva veridicità del materiale ricordato, non si può cioè valutare la correttezza del ricordo, dato che si tratta in gran parte di una ricostruzione sociale, in cui l’esperienza di un autentico ricordo è difficilmente distinguibile dalla narrazione che quell’evento ha subito nell’ambito familiare. Per questo nella ricerca si ricorre frequentemente a ricordi detti pubblici, come il Giro d’Italia, il presidente della Repubblica, il Festival di San Remo o un certo film. I ricordi autobiografici, compresi quelli pubblici, sembrano ben conservati nella memoria degli anziani. Andreani e collaboratori (1988) verificarono che esiste una perdita dei ricordi d’infanzia dopo i 70 anni. In generale la fascia d’età di cui si conservano meglio i ricordi è quella tra i 10 ed i 30 anni. Questo fenomeno può essere dovuto al fatto che in quegli anni accadono gli eventi più positivi e più emozionanti della vita, come l’indipendenza economica, le prime relazioni sentimentali importanti, la nascita dei figli. Oppure può essere dovuto dal fatto che i ricordi relativi a quegli anni siano stati codificati in corrispondenza della massima efficienza del sistema cognitivo dell’individuo, garantendo una migliore conservazione e possibilità di recupero dei ricordi anche dopo molto tempo.

Il linguaggio

Per quanto riguarda il lessico, la capacità di comprendere il significato delle parole sembra restare inalterata con il trascorrere del tempo, mentre la capacità di produrre le parole si riduce con l’avanzare dell’età. In particolare i processi più colpiti sono il ricordo di specifiche parole, la pianificazione di quello che si vuole dire, un rallentamento nella codifica e di conseguenza anche nella comprensione, soprattutto quando il materiale è sintatticamente complesso o con doppie negazioni dato che gravano sul la memoria di lavoro (MacKay, Abrams, 1996).

Emozioni

I processi cognitivi, sociali e affettivi sono intrinsecamente connessi. Pertanto, le emozioni hanno un ruolo decisivo nell’apprendimento, nella memoria, nelle motivazioni dell’individuo, in quanto facilitano o, al contrario, ostacolano tali processi, contribuendo al raggiungimento o meno degli obiettivi. Emozioni intense come la paura indotta da una minaccia per la propria vita, sono in grado di disturbare temporaneamente la capacità di ricordare dati, nomi, nozioni, fatti ed eventi autobiografici, ossia compromettono per breve tempo la rievocazione di ricordi che appartengono alla memoria dichiarativa nelle sue componenti semantica ed episodica. In generale, l’effetto prevalente delle emozioni sulla registrazione e la rievocazione dei ricordi è positivo. Infatti, in circostanze che suscitano delle emozioni, siamo in grado di fissare particolari e dettagli che altrimenti ci sarebbero sfuggiti. Inoltre il ricordo di episodi autobiografici rilevanti in termini affettivo-emotivi persiste molto più a lungo e ci appare temporalmente più prossimo di quello relativo a fatti e circostanze che abbiamo vissuto come neutri. Numerosi esperimenti hanno dimostrato che l’emozione accresce l’efficienza della percezione e dell’attenzione durante la codifica e aumenta la probabilità che un’informazione sia ulteriormente elaborata ed organizzata (Brown e Kulik, flashbulb memories 1977; Schonfield 1980; Carstensen e Turk-charles, 1994). Una mole, non meno cospicua, di prove sperimentali, sostiene l’evidenza di una modulazione emozionale positiva delle fasi di consolidamento post-codifica, consistente nel rendere estremamente più probabile che un evento sia ritenuto e conservato nella forma di una traccia stabile e durevole (LeDoux, 1996; Steca e Caprara 2007). Anche sulla rievocazione si è dimostrato un effetto di rinforzo da parte dell’emozione, che oltre ad accrescere la probabilità che un’informazione sia recuperata, determina la sensazione di essere in possesso di un ricordo più vivido, presente, incisivo ed in grado, a sua volta, di generare emozione. Inoltre, la riattivazione di ricordi espliciti è facilitata quando le condizioni in cui ci troviamo sono simili a quelle che erano presenti al momento della registrazione: ci si riferisce sia al mondo fisico composto da immagini, suoni ed odori, che al mondo interiore composto da stati della mente, emozioni e modelli mentali. Le emozioni sono il cuore delle nostre relazioni sociali e permettono di agire nei contesti famigliari, culturali o sociali. Ma come cambiano e quali sono le emozioni dell’anziano? Secondo la teoria selettiva socioemotiva di Carstensen (2006), le emozioni sono dei processi psicologici centrali, la cui regolazione, all’aumentare dell’età, diventa più sofisticata poiché cambiano gli obiettivi che gli anziani si prefiggono. Si privilegiano emozioni positive e si minimizzano quelle negative. Queste modifiche sono dovute all’esperienza che gli individui hanno acquisito con l’età e alla consapevolezza che il tempo che resta è breve. Secondo tale teoria, la ristretta rete sociale degli anziani viene interpretata non in termini di disimpegno, ma come selezione di quelle relazioni che sono importanti, gratificanti, significative e che li ricompensino emotivamente rispetto a quelle superficiali. Secondo la teoria cognitiva affettiva di Labouvie-Vief (1996) gli anziani tendono a regolare le emozioni più frequentemente e spontaneamente dei giovani per adeguarsi alle norme sociali, evitando inutili conflitti. Nel corso della vita si passa da un controllo primario, volto all’influenza diretta sul mondo esterno, ad uno secondario, centrato sul Sé e sui cambiamenti intraindividuali (Schulz, 1998). Più che di cambiamenti emotivi, con l’avanzare dell’età, si osserva una maggiore modulazione delle emozioni, ciò spiega la maggiore stabilità dell’umore, la diminuzione della risposta psicofisiologica e la ridotta ricerca di emozioni. Gli aspetti emotivi positivi nell’invecchiamento, in assenza di ansia o depressione, non declinano con l’età e si potenziano, sfatando il mito dell’anziano triste e brontolone. Ciò nonostante, una delle emozioni più studiate è la depressione, dato che è una delle maggiori cause dei disordini della memoria, infatti, più una persona è depressa, peggiori saranno le prestazioni di memoria. Per trasferire qualcosa in memoria dobbiamo dedicare una certa quantità di sforzo al compito e focalizzarci su di esso per elaborare il materiale, collegarlo ad altre informazioni dato che la qualità del nostro ricordo dipende da quanto abbiamo elaborato il materiale appreso. Ogni singola esperienza, quindi, non stimola solo una singola risposta emotiva, ma anche alcune emozioni correlate. Caratteristica della vecchiaia è proprio l’accumulo di molte esperienze emotive, alle quali la mente attinge. I compiti più difficili, per i soggetti anziani, specialmente se depressi, sono quelli che richiedono un maggior sforzo per organizzare ed elaborare il materiale. Quindi possiamo sostenere che le emozioni giocano un importante ruolo nei processi cognitivi legati alla memoria, in quanto la forza dei ricordi dipende dal grado di attivazione emozionale indotto dall’apprendimento, per cui eventi ed esperienze vissute con una partecipazione emotiva di livello medio-alto vengono catalogati nella nostra mente come importanti e hanno una buona probabilità di venire successivamente ricordati. Inoltre, il cervello interagisce con il mondo e registra le diverse esperienze in modo tale per cui gli avvenimenti passati influiranno in modo diretto su come e che cosa impariamo, anche se di tali avvenimenti non necessariamente abbiamo un ricordo conscio, mentre la riattivazione di ricordi espliciti è facilitata quando le condizioni in cui ci troviamo sono simili, in termini di mondo fisico (immagini, suoni, odori) o interiore (stati della mente, emozioni, modelli mentali), a quelli che erano presenti al momento della registrazione ordinaria.

Lo stress

Secondo Aldwin e collaboratori, in tarda età, si assiste ad un passaggio da stress episodici, tipici dell’età adulta, a stress cronici, che possono riguardare la perdita di persone care o l’insorgenza di malattie, che possono influenzare i processi di coping. Gli eventi, in generale, possono essere soggettivamente vissuti come molto stressanti e risultare molto destrutturanti. Labouvie-Vief e collaboratori hanno riscontrato che gli anziani usano una combinazione di strategie di coping focalizzate sulla regolarizzazione delle emozioni e sulla maggiore accettazione del proprio stato, come controllo e soluzione degli eventi stressanti. Le persone anziane si mostrano con maggiori capacità di adattamento alle situazioni di avversità.

La testimonianza

Le scienze cognitive hanno dimostrato come la memoria sia un fenomeno dinamico e largamente ricostruttivo che consiste di diversi processi (percezione, codifica, immagazzinamento e recupero) su ciascuno dei quali possono agire fattori di distorsione cognitivi, emotivi, relazionali e culturali. La testimonianza è un processo complesso e multidimensionale, specie quando essa riguarda eventi traumatici. Infatti, non bisogna mai trascurare gli elementi contestuali ed emotivi che accompagnano non solo il racconto, ma l’intero processo di acquisizione e consolidamento dei ricordi. Un esempio di come la testimonianza sia largamente influenzata dalle caratteristiche emozionali dell’evento oggetto del ricordo è costituito dal cosiddetto effetto weapon focus (Loftus, Loftus e Messo,1987; Steblay, 1992), ovvero quel fenomeno che accade quando un elemento saliente in una scena (ad esempio l’arma impugnata dal criminale) si impone sull’attenzione, ponendo sullo sfondo e quindi oscurando altri elementi e dettagli presenti nella scena che verranno per questo ricordati in modo peggiore. Le caratteristiche del weapon focus sono consistentemente riscontrabili durante l’esperienza di un evento traumatico, in cui i particolari che il soggetto registra al momento del fatto, e quindi sotto spinta emotiva, sono i soli che riesce a rievocare. Il nostro bagaglio di memorie, quindi, si sviluppa attraverso processi di codifica, immagazzinamento e recupero largamente ricostruttivi e interpretativi. Per quanto riguarda gli aspetti di codifica, da numerose ricerche sul campo è emerso che il materiale che ha un significato si ricorda meglio di quello che non ce l’ha, informazioni presentate lentamente si ricordano in modo migliore rispetto a quelle presentate velocemente, informazioni concrete si ricordano meglio di quelle astratte, eventi inusuali si ricordano più facilmente di quelli comuni (Roediger e Gallo, 2002). In altri studi sperimentali (Cristianson, Loftus, 1991) si è verificato come si tende a ricordare con maggiore precisione un numero più elevato di elementi nel caso di situazioni emotivamente più cariche rispetto ad altre neutre. Per quanto attiene al recupero di un ricordo, esso avviene attraverso una ricostruzione di elementi che non sempre sono ben collegati tra loro e che subiscono influenze ambientali, culturali ed emotive. Questo dato è particolarmente significativo quando si parla di ricordi di eventi traumatici siano essi fisici o psichici.

Chi desidera prendere contatto direttamente con la Dottoressa Bassanelli, per domande o proposte, può farlo scrivendo alla seguente e-mail: clabassi87@libero.it

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