Mai come in questo momento emergenziale, è importante proteggerci dall’invasione di informazioni da cui siamo costantemente bersagliati: fake news, ma non solo; anche le comunicazioni che ci arrivano da fonti ufficiali racchiudono messaggi che (giustamente) ci rimandano alla cruda realtà dei fatti, ma, contemporaneamente, contribuiscono ad aggravare il nostro naturale stato di malessere.
Esporci a una grande varietà di informazioni può avere un effetto tossico sulle nostre percezioni e sulla possibilità di attivare le nostre risorse e far emergere il nostro lato resiliente. Può essere utile, allora, riflettere su alcuni meccanismi alla base del nostro funzionamento mentale: costruiamo la realtà attraverso il linguaggio.
Le esperienze, di per sé, non hanno significato inequivocabile, altrimenti non si spiegherebbe come mai, a parità di condizioni, ognuno di noi assegna un diverso valore ed una diversa connotazione emotiva ai fatti che accadono. Facciamo un esempio semplice: una bella giornata di sole, tendenzialmente, potrebbe essere giudicata come un evento favorevole, che mette allegria, universalmente positivo. Cosa accade, però, se siamo costretti in casa per la convalescenza di una malattia (o in quarantena!), o siamo agricoltori e il nostro raccolto è compromesso dall’ennesima giornata di siccità?
Ogni nostra esperienza non è mai solo esperienza diretta, ma è mediata da un modello interno, una sorta di navigatore, costruito nel tempo della nostra esistenza, per rispondere, sostanzialmente, a due fondamentali esigenze del cervello: economia cognitiva e coerenza. Per questo, quando siamo esposti alle informazioni, usiamo dei filtri che setacciano le percezioni e guidano la nostra attenzione; questi filtri sono tendenze umane naturali e adattive, le quali ci permettono, appunto, di raccogliere velocemente ed “economicamente” i dati utili a indirizzare il nostro comportamento.
La nostra energia cognitiva è un “carburante” limitato, per questo il nostro cervello fa in modo di operare, dove lo ritiene possibile (in cui sente di poterselo permettere), inserendo il “pilota automatico”, in tutte quelle situazioni che ritiene già conosciute o consonanti con le nostre aspettative. Invece di utilizzare i sensi per costruire da zero l’esperienza che stiamo vivendo, in questi casi, la confrontiamo col nostro modello interno (attraverso il quale abbiamo plasmato un navigatore fatto di significati, credenze, convinzioni).
In generale, questa funzione è molto utile, perché ci preserva dal sovraccarico derivato dalla grande mole di dati e informazioni che, quotidianamente, altrimenti, dovremmo processare, e ci permette di conservare il carburante da utilizzare per apprendere cose nuove e per compiti più complessi.
C’è un’altra esigenza dell’essere umano: il bisogno di sentirsi coerenti, con sé stessi, con le proprie scelte, con le convinzioni su di sé (siano esse positive o meno) e sugli altri, pena un gravoso senso di dissonanza, che porterebbe ad uno stato interiore di malessere più o meno profondo. Se vogliamo darci la possibilità di far emergere la nostra resilienza (capacità di far fronte agli eventi difficili e traumatici della vita), nell’esporci alle informazioni che corrono sui social e attraverso i mezzi di informazione, teniamo conto che questi meccanismi innescano in noi intensi processi emotivi, i quali possono indurci a distorcere in maniera “passionale” le nostre percezioni.
In questi giorni, una frase che ricorre sul web è “nulla sarà più come prima”: concetto sicuramente vero, stiamo vivendo una situazione che, innegabilmente, ci sta esponendo a esperienze nuove, che verranno incorporate dentro di noi e alle quali assegneremo i nostri specifici significati e contenuti emotivi; ma il senso che il nostro cervello dà a questa frase (e le conseguenti immagini che, inevitabilmente, inizieranno ad animare il nostro mondo interiore), sarà influenzato dalla qualità delle convinzioni, dei valori e delle credenze che costituiscono il nostro modello interno (il “navigatore”): se sono convinto di non farcela e nutro poca fiducia nella possibilità di recuperare ciò che sembra perduto, probabilmente interpreterò tale frase di conseguenza, assegnandole un senso coerente e questo determinerà non solo i miei pensieri e stati d’animo, ma anche le azioni che deciderò, più o meno consapevolmente, di intraprendere o di non mettere in atto.
Se, al contrario, il mio navigatore è abitato dalla convinzione che, con impegno, ci si potrà risollevare, alla stessa frase assocerò immagini, pensieri e stati d’animo che avranno un effetto molto diverso sulla motivazione che muove le mie azioni e sul mio modo di reagire agli eventi. Combinando queste due attitudini (economia cognitiva e coerenza), il nostro funzionamento mentale segue un meccanismo di ricerca (e conseguente esposizione) selettiva di informazioni conformi al nostro modello interno, e un meccanismo di evitamento selettivo di quanto è discrepante con le nostre posizioni.
Tutto ciò avviene, in molti casi, in modo automatico e non consapevole. La mente umana, quindi, nei suoi giudizi, il più delle volte segue delle scorciatoie di pensiero, delle euristiche cognitive, le quali ci permettono di valutare velocemente la situazione e prendere decisioni al riguardo, senza troppo ingaggio in termini di tempo e impegno. Tra esse, a titolo esemplificativo, vediamo il funzionamento dell’euristica dell’ancoraggio e dell’euristica della disponibilità.
Utilizzare l’euristica dell’ancoraggio (teorizzata per la prima volta da Tversky e Kahneman) significa fare una stima partendo da un valore iniziale o dalla prima informazione che ci viene offerta (cioè da un dato già conosciuto che funge da àncora, valore di partenza), dal quale è difficile allontanarsi completamente. Questo è evidente, ad esempio, nel processo di acquisto, in cui il prezzo di un bene indicato inizialmente funge da riferimento per la valutazione di ulteriori proposte. Insomma, gettata l’àncora, è difficile far salpare la nave per dirigersi verso altre rotte! Questo principio vale tendenzialmente per ogni tipo di informazione iniziale a cui siamo esposti.
L’euristica della disponibilità (Tversky e Kahneman, 1974) si riferisce al fatto che, nel valutare la probabilità e la frequenza con cui si verifica un evento, o per assegnare un senso alle circostanze, ci basiamo sui dati che più facilmente emergono dalla nostra memoria (sono più disponibili). Cosa porta alcuni dati ad essere più disponibili nella nostra memoria, rispetto ad altri? La loro salienza, ossia la loro capacità di attirare la nostra attenzione: un messaggio che contiene una forte carica emotiva, o che appare particolarmente vivido rispetto al contesto, o che ci arriva da una persona vicina a noi e della quale ci fidiamo, per fare alcuni esempi. Una informazione di questo tipo rimane molto disponibile in memoria e guida la stima (quasi sempre lontana dai dati reali) che facciamo riguardo la frequenza di un dato fenomeno.
In definitiva, l’esposizione indiscriminata a una mole innumerevole di dati, informazioni, fonti, aumenta il rischio che la nostra mente imbocchi strade sdrucciolevoli, e il nostro benessere psicologico ne risulterebbe inevitabilmente compromesso; chiediamoci più spesso cosa è davvero utile al nostro equilibrio: la consapevolezza rende liberi di scegliere.