Intervista a don Gregorio Milone, nuovo delegato delle Missioni/Comunità cattoliche in Germania e Scandinavia, ed editore del Corriere d’Italia
Don Gregorio Milone dal primo luglio 2022 è il nuovo delegato nazionale per le Comunità cattoliche italiane in Germania e Scandinavia e contemporaneamente editore del Corriere d’Italia. Ci parli un po’ di Lei.
Permettetemi, innanzitutto, di rivolgere il mio primo saluto e ringraziamento a tutti i lettori del Corriere d’Italia. Il nostro giornale vanta di una lunga storia, apprezzato e letto da numerosissimi nostri connazionali (e non solo italiani) presenti qui in Germania. E il mio secondo ringraziamento va, pertanto, a tutti coloro che nel corso di numerosi anni hanno scritto e collaborato con il nostro giornale. In maniera particolare vorrei ringraziare la nostra direttrice Licia Linardi, impegnata in prima persona sempre con tanta passione e grande generosità, e tutto l’attuale consiglio di redazione che ho avuto il piacere di conoscere in videoconferenza prima della pausa estiva. Anche a loro va il mio ringraziamento di cuore per il tempo che trovano nell’arricchire con i loro preziosi articoli le pagine del giornale, affrontando tematiche sempre attuali e talvolta “spinose”. Tutto ciò rende il Corriere d’Italia un giornale sempre nuovo, innovativo, ambizioso e poco noioso per i nostri lettori. La carica di editore del Corriere d’Italia è sempre stata legata a quella della nomina del Delegato nazionale per le Comunità cattoliche italiane in Germania e Scandinavia. Assumo anche questo nuovo incarico in punta di piedi, consapevole del fatto di non avere molta esperienza nel campo del giornalismo. Mi lascerò guidare da chi ha molta più esperienza di me, ma sono fiducioso e speranzoso che lavorando insieme come una squadra, cercheremo di fare del nostro meglio nei prossimi anni per il nostro giornale.
Sono nato a Napoli nel 1973. Dopo aver completato il mio iter formativo con gli studi in filosofia e teologia, sono stato ordinato sacerdote in età molto giovane il 26 giugno del 1997. Ho celebrato infatti il mio primo giubileo sacerdotale (venticinquesimo) proprio quest’anno, il 26 giugno, nella cattedrale di Limburg insieme alla mia Comunità italiana. Incardinato come sacerdote diocesano per la diocesi di Pozzuoli, sono stato poi inviato a Roma dal mio vescovo per arricchire i miei studi ecclesiastici, conseguendo la licenza in Diritto Canonico presso l’Università Lateranense.
Rientrato in diocesi, sono stato prima segretario particolare per il mio Vescovo e poi parroco per otto anni di una della parrocchie più numerose della città di Napoli. Sono “approdato” qui in Germania un po’ per caso, dal momento che nemmeno ero a conoscenza dell’esistenza delle numerose comunità italiane presenti in Germania. C’è da dire che ho sempre avuto fin dall’inizio questo desiderio di volermi confrontare con “modelli di fede e culture alternative” che andavano oltre i nostri confini nazionali. Infatti, già da seminarista approfittavo della chiusura dell’Università teologica e della pausa estiva per recarmi in Sud America e poter così collaborare con i sacerdoti del posto. Sono stato 3 volte in Nicaragua, in situazioni anche rischiose per me a seguito di catastrofi naturali, poi Messico, Colombia, in Perù per conto della mia diocesi che voleva creare un gemellaggio con una delle diocesi di questo paese, ed infine in Paraguay dove, insieme ai fedeli della mia parrocchia di Napoli, abbiamo costruito una scuola per i bambini poveri che abitavano nella zona amazzonica. Queste numerose esperienze sono state per me tutte molto arricchenti a tal punto da spingermi a chiedere al mio vescovo, vista anche l’ottima conoscenza che ho accumulato negli anni della lingua spagnola, di voler fare un’esperienza come missionario in Sudamerica. La mia richiesta fu accolta benevolmente dal vescovo, ma poi certi incontri stravolgono i tuoi progetti o, se volete, dietro a certi incontri c’è la mano del Signore che ha pensato per te cose diverse da quelle che tu avevi programmato. Conobbi infatti, l’allora Delegato nazionale don Pio Visentin, il quale per la prima volta mi parlava delle comunità italiane presenti in Germania, di quanto bisogno si aveva, allora come oggi, di sacerdoti italiani e che, in qualche modo, anche quella in terra tedesca poteva considerarsi una missione. Mi lasciai convincere ma non senza perplessità e dubbi presenti nel mio cuore. Ed infatti, la mia prima settimana in Germania fu, come temevo, davvero drammatica.
Don Pio mi propose come prima destinazione la comunità italiana di Amburgo che, da diversi anni, mancava della presenza di un sacerdote italiano. Mai potrò dimenticare quella prima settimana di prova! Arrivai nella città di Amburgo in un settembre dove nebbia e pioggia si alternavano (per non parlare del freddo!); richiuso nella missione italiana, senza saper pronunciare nemmeno una parola di tedesco e senza essere consolato neppure dalle visite di fedeli italiani, se non dall’allora segretaria che svolgeva il suo lavoro per poche ore al giorno. Insomma, un’esperienza davvero catastrofica per me e che mi convinsero subito ad annunciare a don Pio che la Germania non era fatta per me. Ma don Pio fu perseverante, e mi propose subito una seconda alternativa, la comunità italiana di Esslingen nella diocesi di Rottenburg-Stuttgart, che era rimasta orfana del suo sacerdote da appena un mese. Volli tentare anche questa seconda volta, seppur con perplessità ancora maggiori vista l’esperienza di Amburgo. E devo dire che l’impatto fu completamente diverso.
Gli italiani della comunità di Esslingen organizzarono per questa mia prima visita una grande festa e mi accolsero davvero con tanta speranza e gioia. Ne fui colpito per la loro spontaneità ma anche per la loro grande umiltà e semplicità che forse è una delle constanti visibili dei nostri connazionali in terra straniera. Ma soprattutto la cosa che più mi fece tanto riflettere fu su quanto importante fosse per le nostre comunità la presenza del sacerdote che, in qualche modo, diventa il “collante” nelle relazioni fra gli italiani presenti su un determinato territorio. E l’esperienza ci insegna che, laddove viene a mancare la presenza del sacerdote, il che porta poi alla chiusura di quella comunità, gli italiani si disperdono, non avendo più la possibilità di sfruttare dei momenti di aggregazione che le comunità italiane offrono. Fui accompagnato in questo mio secondo viaggio in Germania, dal parroco della mia città, don Umberto, oggi ha la veneranda età di 90 anni, che mi ha visto crescere fin da bambino e che è stato per me sempre una figura di riferimento importante e lo è ancora. A conclusione di quella visita a Esslingen, gli chiesi: allora? Cosa ne pensi? E lui, nella sua semplicità e schiettezza mi rispose: “Io non ci verrei mai qui in Germania! Ma se a te piace… vedi tu!” Ma come potevo disattendere e deludere la speranza di quella gente che aveva riposto tanta fiducia in me? Fu questo che mi convinse ad accettare. E fu così che all’età di 32 anni sono arrivato in Germania, dove ancora oggi mi ritrovo dopo 17 anni, 14 dei quali trascorsi con la comunità di Esslingen e gli ultimi tre come parroco della comunità italiana di Limburg. Devo dire che i primi anni in Germania sono stati tutt’altro facili per me. Innanzitutto lo scoglio difficile della lingua tedesca. E mi rendo conto che ancora oggi esso rappresenta per tanti miei confratelli un ostacolo ancora difficile da superare. Ma voglio anche dire ai sacerdoti che non vantano tanti anni di Germania e incoraggiare anche quelli che verranno che, col passare degli anni, questa grande difficoltà linguistica migliora. Non siamo chiamati ad essere professori di lingua tedesca; quello che ci vien chiesto è stare vicino alla nostra gente ma ovviamente non si può prescindere dal contesto nel quale siamo chiamati a vivere la nostra missione e dal paese che ci ospita. Un minimo di conoscenza credo che sia un obiettivo raggiungibile da tutti i nostri sacerdoti. Una seconda difficoltà che ho dovuto affrontare è stata anche l’approccio con il modello culturale e religioso presente in Germania. Tante volte si parte prevenuti, pensando di essere noi dalla parte della ragione o pensando che sia soltanto il nostro il modello accettabile e funzionante. Questo errore l’ho fatto anch’io e l’ho vissuto sulla mia pelle. I primi anni nei confronti delle diocesi tedesche che ci accolgono mi arrabbiavo, mi sentivo incompreso, poco accolto, e tante volte ho messo in dubbio se fosse davvero necessaria la mia presenza qui in Germania, ma ho cercato sempre di resistere motivato soltanto dalla forza e dal gran bene che i miei italiani mi trasmettevano e che non mi hanno mai fatto mancare. Poi dall’impulsività che caratterizza molti in età giovanile, e che quindi caratterizzava anche me, si cresce, si matura, si guardano le cose in una prospettiva nuova e diversa. Anch’io penso di essere cresciuto e quei quattordici anni trascorsi a Esslingen sono stati per me davvero molto preziosi, sia come parroco, come coordinatore della zona sud della Germania che ho svolto per due mandati, ma anche come portavoce delle nostre comunità italiane presso la diocesi di Rottenburg. E anziché creare barricate che non portano a niente ma soltanto a far crescere le tensioni, forse queste esperienze vissute mi hanno fatto passare alla cultura del dialogo, l’unica percorribile nel nostro caso. Accettarsi reciprocamente, saper accogliere la diversità, ma non per questo rinunciare alla nostra identità come popolo italiano. Ovviamente questo funziona non a senso unico, e laddove le parti in gioco davvero lo desiderano, reciprocamente ci si lascia (perché no?) anche contagiare e stimolare da questa diversità. Il motto che più mi piace e che ben si presta alla nostra funzione di missionari in Germania è saper essere sempre costruttore di ponti.
Don Gregorio, lei diventa Delegato Nazionale in un momento in cui si ha carenza di missionari in servizio per la pastorale in lingua italiana in Germania. Circa una decina di missioni/comunità non hanno una guida spirituale. Come intende cambiare la situazione?
Ringrazio i numerosi confratelli e collaboratori pastorali assunti che hanno riposto in me la loro fiducia. Cercherò di non deluderli e fare del mio meglio, ma quando ho iniziato il mio mandato come delegato nazionale le prospettive future per la carenza di missionari erano e sono tutt’altro che rosee! Se ne rammaricava nel passaggio del testimone anche il mio predecessore padre Tobia Bassanelli, quasi dispiacendosene, per questa situazione che si è venuta a creare, forse mai avveratosi nella storia della nostra Delegazione. Ovviamente la mancanza di sacerdoti e le tante comunità che allo stato attuale sono senza una guida spirituale, non è certo imputabile a una cattiva gestione. È la Chiesa cattolica in generale che vive una profonda crisi di personale, e noi come comunità italiane, non ne siamo esenti. Sempre meno giovani esprimono il desiderio di arrivare al sacerdozio ministeriale e, nella situazione nostra specifica, tanti nostri missionari, divenuti anziani, rientrano in Italia o vanno in pensione e non abbiamo un ricambio generazionale! È una situazione davvero difficile. Ho cercato di affrontare subito e di risolvere il problema, avviando a una serie di trasferimenti interni tra sacerdoti già impegnati nella nostra pastorale qui in Germania, garantendo, per quanto mi è possibile, la presenza di nostri sacerdoti in zone o città tedesche dove è forte la presenza dei nostri connazionali. Sono cosciente che questo non risolve del tutto il problema. Trasferire un sacerdote da una zona ad un’altra, significa infatti anche garantire un successore a quella comunità che si vede privata del suo sacerdote. Per fortuna possiamo contare sull’aiuto di tanti sacerdoti stranieri che si rendono disponibili e sono assunti dalle diocesi tedesche (penso soprattutto alla diocesi di Rottenburg-Stuttgart) per lavorare nelle nostre comunità italiane e verso cui va il nostro grande ringraziamento. Nei prossimi anni, in collaborazione con la Migrantes, cercherò di sensibilizzare di più i vescovi italiani, soprattutto quelli delle regioni italiane più rappresentate con presenza di italiani in Germania (Sicilia, Puglia, Calabria, Campania, …) provando a renderli più “generosi” nel lasciar partire per la Germania quale loro sacerdote e a rendere tali vescovi italiani più partecipi del nostro problema anche con delle mie visite in Italia presso le loro diocesi, proponendo accordi o convenzioni rinnovabili nel tempo, tra le diocesi italiane con quelle tedesche. Capisco che i vescovi italiani stanno diventando sempre meno generosi rispetto al passato, anche a seguito della crisi di sacerdoti che si comincia a registrare anche in Italia, ma sono altresì convinto che un’esperienza in Germania, anche limitata nel tempo, di un sacerdote italiano concesso “in prestito” non può far altro che bene a quel sacerdote, arricchendone il suo bagaglio spirituale soprattutto nel mettersi a confronto con un modello di Chiesa tedesca diversa su molti fattori dalla Chiesa presente in Italia. Il volto di una Chiesa che cambia, una Chiesa sempre più multietnica, anche nelle nostre comunità. Dio ama chi dona con gioia e la generosità è sempre ricompensata dal Signore con benedizioni. Affidiamoci e preghiamo tutti il Signore, riponendo in lui la nostra speranza.
Quali linee intende dare al suo mandato?
Compito principale della nostra Delegazione è non soltanto quello di cercare e garantire la presenza di sacerdoti per le nostre comunità, che resta – comunque – una delle priorità nel tempo che viviamo, ma anche quello di organizzare e garantire formazione alle nostre comunità. Mi riferisco non soltanto alle già tante attività consolidate nel tempo come gli incontri di zona per sacerdoti e personale assunto, gli esercizi spirituali, il convegno per i laici, le scuole di teologia presenti nelle diverse zone, il meeting dei giovani, ecc., ma intendo, per il futuro, cercare di coinvolgere di più i membri dei consigli pastorali e i loro presidenti, con degli incontri programmati appositamente pensati per essi. In fondo, sono i consigli pastorali i soggetti attivi nella pastorale delle nostre parrocchie. Saperli ascoltare, anche nelle problematiche e difficoltà che si trovano ad affrontare ogni giorno, rappresenta per la Delegazione e il delegato, un’esigenza imprescindibile, che ci permetterà di osservare lo “stato di salute” delle nostre comunità, i punti deboli e quelli di forza, ma anche capire quelle nuove esigenze e prospettive per il futuro che in esse crescono e maturano con il passare degli anni. Se la Delegazione è chiamata a rappresentare le comunità italiane presso le diocesi tedesche, garantendone il loro bene soprattutto in un futuro così incerto che prevede trasformazioni e cambiamenti, allora bisogna passare attraverso “il vissuto” delle nostre comunità. Una delle priorità del mio mandato sarà quindi quello di visitare frequentemente le comunità italiane presenti su tutto il territorio tedesco, rendendole più partecipi anche delle nuove iniziative che la Delegazione intende realizzare. La rappresentanza delle nostre comunità attraverso la Delegazione, porta come altra priorità per me importante, quella di un legame più stretto e collaborativo con tutti i referenti di altra madrelingua presenti nelle diocesi tedesche. Non soltanto per questioni burocratiche, quando si tratta di assumere un nuovo sacerdote per una determinata parrocchia, ma anche per progettare insieme la pastorale delle nostre comunità e quale modello si intende seguire per il futuro. Altro punto centrale del mio mandato sarà quello di cercare di essere più presente e vicino ai nostri sacerdoti missionari, sia nei confronti di quelli che già da diversi anni lavorano in Germania che nei confronti dei nuovi arrivati perché non si sentano soli nella nuova esperienza che sono chiamati a vivere. Sapere di poter contare su una voce amica, che offra loro una parola d’incoraggiamento a sostegno del preziosissimo, ma talvolta difficile e complicato ruolo che si è chiamati a vivere, sono convinto che non potrà far altro che del bene ai miei confratelli. Sapersi ascoltare e confrontare tra noi offre, oltre alla condivisione dei problemi, anche nuovi slanci di entusiasmo per il nostro ministero sacerdotale. Abbiamo tutti dovuto affrontare in questi anni la drammatica pandemia da Covid-19 che ha portato con sé come effetto una ulteriore distanza tra noi. Ora sentiamo il bisogno di essere fisicamente più vicini, e non penso soltanto agli incontri di formazione ma anche saper creare occasioni di svago e di piacere che rafforzano indubbiamente la fratellanza sacerdotale.
Come vede il futuro della pastorale di madrelingua?
Credo che tra le domande che mi sono state rivolte, questa rappresenta la domanda chiave e centrale. Tutte le diocesi in Germania, hanno avviato una fase di “ripensamento” delle nostre comunità. Non esiste un modello unico di comunità di altra madrelingua valido per tutte le diocesi; le esperienze sono diversificate. E dico che è importante, a distanza di diversi anni, fare il punto della situazione su un determinato modello seguito da una diocesi. E poterlo fare con uno sguardo attento, analitico ma anche critico mi sembra ancor più importante. Sempre con uno spirito di collaborazione fraterna e reciproca. Le domande sono tante: quale modello finora adottato ha funzionato? Quali sono i punti critici? E quali quelli negativi? Le comunità straniere così come sono ad oggi strutturate, che tipo di contributo hanno portato nella vita spirituale dei nostri fedeli? I modelli esistenti sono ancora validi oggi? E se si avverte il bisogno di cambiare, cosa allora non ha funzionato? Quale futuro intendiamo dare alle nostre comunità in Germania? Forse non abbiamo una risposta a tutte queste domande, e allora il primo grande passo da dover fare è quello di dialogare, parlare, ma senza pregiudizi, sapendo che bisogna cercare insieme la strada migliore e sicuramente per un bene superiore che giustifica questo nostro sforzo. Dobbiamo garantire un futuro alle nostre comunità. E per garantire un futuro talvolta sono necessari anche dei cambiamenti strutturali. Certo, i cambiamenti fanno paura ma qualche volta è necessario anche far fronte alla paura e superarla attraverso delle scelte coraggiose. Se si è arrivati alla conclusione che è necessario un cambiamento, allora noi comunità italiane, insieme alle altre comunità di altra madrelingua presenti nelle diocesi tedesche, vogliamo poter costruire da soggetti attivi la nostra storia, il nostro futuro, e non semplicemente “accettare” qualcosa che ci viene imposto dall’alto. Questo lo dico perché nella mia lunga esperienza come parroco, quando ho avuto la possibilità di confrontarmi con altri sacerdoti italiani, ho sempre notato lamentele, rassegnazione, un certo “vittimismo” e passività. In questo clima caratterizzato da tanta negatività, ho sempre reagito domandando a me stesso e agli altri: “si, ma noi cosa stiamo facendo per cambiare? È troppo semplicistico e riduttivo per noi poterci rifugiare nel pensiero che, sebbene siamo stati accolti dalla chiesa tedesca in un paese che vive la cultura dell’accoglienza, solo il nostro modello di Chiesa è quello valido e che non offre possibilità di dialogo con altri modelli elaborati e vissuti da persone di altra cultura. Chi pensa in questo modo non può offrire collaborazione, ma soltanto chiusura, mancanza di dialogo e isolamento. Partendo dunque da questo presupposto, rivolgo a me stesso e ai miei confratelli, alcune domande critiche: ho saputo costruire relazioni anziché chiusura e isolamento? Fino a che punto mi sento integrato nella vita della Chiesa che mi accoglie? Ho saputo sfruttare per me e per la mia comunità tutte le strutture che la chiesa locale mette a disposizione dei suoi fedeli? Sono stato capace di offrire collaborazione attraverso un mio coinvolgimento personale nelle tante attività programmate dalla Diocesi? È davvero avvenuto, a cominciare da me stesso, un cambiamento di mentalità dove non è più possibile ridurre il mio ruolo a semplice “assistenzialismo” per gli italiani affidati alla mia cura pastorale? E fino a che punto sono stato capace di cambiare il volto della mia comunità, dando spazio alla formazione dei miei collaboratori, saperli entusiasmare, per poter costruire insieme a loro una comunità profetica? Potrei continuare a fare tante altre domande. Mi fermo a queste. E se vogliamo essere davvero sinceri, una plausibile risposta è che non ci siamo impegnati fino in fondo e che, forse, soltanto il 40% di quello che ci veniva chiesto, lo abbiamo fatto. Certo, una cosa è sicura: molto dipende da chi è chiamato a guidare la comunità, e mi riferisco a noi sacerdoti. Là dove noi sacerdoti italiani viviamo in prima linea la cultura del dialogo, dell’apertura e della collaborazione, sembra che le cose funzionino meglio. Personalmente sono grato alla Chiesa qui in Germania, per tutto quello che ho imparato e che, su alcune questioni, è stata anche capace di farmi cambiare opinione e mentalità. Ma la cultura dell’accoglienza e del dialogo non va in un’unica direzione! Perciò con questo spirito critico e, se volete, anche in maniera provocatoria, mi pongo anche altre domande: Siamo presenti nelle diocesi tedesche da più di 50 anni. Cosa queste hanno imparato da noi? Siamo realmente considerati fratelli e sorelle nella fede, e considerati alla pari delle altre comunità tedesche, oppure alcune volte la nostra presenza è soltanto tollerata? Le comunità locali tedesche sono a conoscenza del vissuto e delle iniziative che le nostre comunità vivono? E fino a che punto le comunità tedesche si lasciano coinvolgere da tali iniziative? Quanto realmente è importante il nostro contributo nella vita dei fedeli della chiesa tedesca? Io spero e mi auguro che per il bene e il futuro delle nostre comunità non manchi mai quello spirito di collaborazione fraterna e dialogo reciproco, dove soprattutto tutti quanti noi impariamo a saper ascoltare gli altri con umiltà. Siamo una Chiesa missionaria e plurietnica. Dal cuore di Cristo il suo messaggio si è diffuso in tutto il mondo passando attraverso culture e linguaggi diversi.
Lei è stato missionario prima a Esslingen poi a Limburg. Quali esperienze vuole portare nel suo nuovo incarico?
Il mio parroco in Italia mi ha sempre insegnato che i frutti del nostro ministero sacerdotale si apprezzano soprattutto quando si vive il nostro servizio per il popolo e stando in mezzo al popolo. Essere sacerdoti di “strada”, dove il rapporto constante con la nostra gente dona linfa vitale ed entusiasmo al nostro ministero. Personalmente ho sempre vissuto il mio sacerdozio in maniera semplice, cercando di non creare mai barriere con le persone che in questi lunghi anni sono state affidate alla mia cura pastorale. Essere ministri del Signore in mezzo al popolo significa comportarsi con spontaneità con chi ti è accanto, saper donare una parola buona a chi è nel bisogno, condividere la gioia con chi vive un momento felice della sua vita, saper piangere con chi è nel dolore e nella sofferenza. L’importante è che la nostra gente capisca che tu ci sei sempre, e comunque, in ogni circostanza, e che questa tua presenza è silenziosa, discreta, infonde fiducia a chi ti è accanto perché sanno di poter contare su di te. Da parroco, lo stile che ho avuto e seguito nei confronti dei fedeli a me affidati è stato sempre coinvolgente e partecipativo. Saper entusiasmare le persone nel realizzare una determinata attività per la tua comunità, significa dare a esse importanza non potendone farne a meno, per sottolineare che tu non puoi fare tutto da solo ma hai bisogno del loro aiuto. Vivendo questo tipo di rapporto con la comunità nascono iniziative belle come, nel mio caso, quelle realizzate nelle mie due comunità. Una fra tutte la Via Crucis vivente, dove mi sono lasciato coinvolgere in prima persona con la mia gente. Sono grato alle tante persone che ho incontrato in tutti questi anni e con cui ho vissuto un pezzo importante della mia vita perché mi hanno sempre dimostrato affetto e amore, apprezzamento per le cose realizzate, fiducia e sostegno nei momenti di difficoltà. In fondo, gli italiani che appartengono alle nostre comunità è tutta gente che vive in maniera semplice e spontanea la fede e dove ci vuole veramente poco per saperli coinvolgere ed entusiasmare. Con questo spirito voglio anche vivere questo nuovo incarico da delegato che mi è stato affidato. In “punta di piedi”, con semplicità, con umiltà, ma anche con entusiasmo consapevole del fatto che io non ho nulla da insegnare ai miei confratelli ma soltanto ricordare loro che io ci sono, che possono contare su di me e sul mio aiuto, mettendo a disposizione quell’esperienza che ho accumulato in questi anni.