A Roma per dedicare la vita al culto della bellezza
“Anzitutto salute e felicità! Il 18 novembre sono arrivato a Roma sano e salvo e contento dopo un viaggio di otto settimane”. Così Johann Winckelmann esordisce nella lettera scritta da Roma il 7 dicembre 1755 all’amico e collega bibliotecario Johann Michael Francke. E fa una rapida descrizione del suo viaggio non privo di incognite e di asperità. Tutto bene nel Tirolo, paesaggio “stupendo”, contadini encomiabili, locande pulite ed accoglienti. Un cenno particolare alla biblioteca del conte De Palm di Ratsbona, a conferma che sono gli archivi e le biblioteche ad attirare il suo interesse e la sua sete di sapere. Il resto non lo degna di particolare attenzione, abituato com’è a vivere tra i libri, nel silenzio e nella solitudine. Trova qualche difficoltà a sopportare compagni di viaggio singolari e rumorosi ed ancor di più “il cattivo stato delle strade” del Trentino. Conserva un bel ricordo della gente di Bolzano, “molto bella”, in particolare le ragazze:
L’itinerario è d’obbligo per quanti sono diretti a Venezia, diplomatici, mercanti, intellettuali, pellegrini: la val d’Adige, Trento, la Valsugana, passando per Bassano del Grappa e Castelfranco Veneto. Lo fa in carrozza e ci impiega oltre un mese, arrivando a Venezia a fine ottobre.
Non resta affascinato da Venezia
Winckelmann giunge in laguna sotto un cielo grigio, poco propizio, in giornate “troppo fredde”. Riesce ad apprezzare le chiese, “più belle di quelle di Roma”, dirà in seguito, con le facciate di marmo e molti dipinti, in prevalenza di scuola veneziana. Le case, però, sono “alte e molto brutte”, separate da strade “così strette da lasciar passare solo due o tre persone appaiate”, ad eccezione delle “belle dimore” che si affacciano sul Canal Grande. Trova alloggio proprio in riva al Canale, vicino al Ponte di Rialto, in una delle locande più prestigiose di Venezia, “Allo scudo di Francia”, di cui era proprietario un tedesco, Blankensteiner. Ma non la degna di una citazione. Come pure non degna di una visita la vicina Ca’ Farsetti, dove pochi mesi prima l’abate Filippo Farsetti aveva aperto una Galleria di calchi in gesso delle più celebri sculture classiche, che sarà poi molto apprezzata da Goethe. Si limita a “riguardare tutto quello che si può vedere senza grande spesa”. S’indispettisce non poco per non poter visitare la Biblioteca di San Marco, perché Anton Maria Zanetti, che Winckelmann dimostra di conoscere come erudito, storiografo e bibliotecario, “era a la campagna”. In particolare avrebbe voluto vedere le statue antiche nell’Antisala della Libreria. Fatto sta che a Venezia rimane solo cinque giorni. Il tempo per tranciare un giudizio un po’ troppo sommario e ingeneroso: “Venezia è un luogo che i primi giorni stupisce, ma questa meraviglia dura poco ”.
Forse sente in modo particolare, come è stato osservato, il contrasto “tra le arditezze gotiche ed i fasti orientaleggianti” dell’arte veneziana e “la nobile semplicità e la quieta grandezza” dell’arte degli antichi.
Una Bologna da apprezzare
Pregi artistici che invece apprezza nei dipinti delle chiese di Bologna; gli piace in particolare il “San Matteo” di Ludovico Carracci nella Chiesa dei Mendicanti. “Niente di più perfetto”. Era giunto in città dopo un’avventura di viaggio, che avrebbe potuto essere pericolosa: “Da Venezia mi sono imbarcato per Bologna. Si parte all’imbrunire, si attraversano le lagune fino al Po. Abbiamo avuto vento favorevole, ma verso la mezzanotte si è levata una violenta tempesta, tanto che siamo stati in pericolo. Dopo 3 giorni e 3 notti sono arrivato a Bologna”.
Viene ospitato da Angelo Michele Bianconi, fratello dell’archiatra di corte Giovanni Ludovico a Dresda, che gli fa pure da guida. Lo accompagna una lettera di presentazione, in cui il giovane Winckelmann viene così descritto: “È un bravissimo grecista, un povero ragazzo avvezzo al poco”. Si trova bene in città, può vedere due “belle biblioteche”, quella dei Canonici Lateranensi del Convento di San Salvatore e quella di San Paolo in Monte, convento dei Frati Minori Osservanti. Vorrebbe visitare “alcune gallerie nei palazzi”, ma si trova nell’opportunità di approfittare dell’ingaggio di un vetturino, diretto a Roma con un passeggero bolognese. Così lascia a malincuore Bologna dopo cinque giorni.
Un viaggio sulla “Sedia”
Da Bologna può raggiungere Roma o valicando l’Appennino, per la carrozzabile della Futa, ancora in costruzione (percorsa da Goethe nel 1786), o prendendo la via di Ancona e Loreto, come sceglie il suo vetturino. “Qui si viaggia in «Sedie» trainate da due muli napoletani, che sono bestie robuste e corrono bene”. La «Sedia», un derivato dell’antica portantina, è un calesse a due ruote e due posti, scoperto o con tettuccio. Inaspettatamente per Winckelmann quegli 11 giorni trascorsi in viaggio risultano “molto piacevoli”. Anche se lo disturba “il suo compagno di viaggio, un cittadino bolognese”, che non parla altro che il suo incomprensibile dialetto. Ma, commenta rassegnato, “Non bisogna essere schifiltosi viaggiando da queste parti”.
Trova, però, modo di divertirsi con i passeggeri di altre “sedie”, anche loro diretti a Roma, con cui si ritrovano a sera, a tavola. Tra di essi un carmelitano boemo, che “suona molto bene il violino e, quando il vino è buono, si balla”. Roma è vicina ed aumenta in tutti l’entusiasmo, complice un buon bicchiere di vino.
“Gli Italiani non credono noi Tedeschi capaci di bere tanto”. Ma subito si corregge: “La sera bevo «Vino d’Otranto». Una di queste bottiglie mi basta per tre sere”, anche perché costa 15 baiocchi la bottiglia, come il «Montepulciano». Per lui sempre un costo, anche se molto inferiore al prezzo che si pagherebbe in Germania (un tallero).
A Roma per una rinascita spirituale
Winckelmann sta diventando più accomodante, meno insofferente dei compagni di viaggio, più tollerante verso i “letti delle locande che fanno doler le scapole quando ci si alza”. Sta percorrendo, per l’ultimo tratto di 30 miglia, la via consolare Flaminia, che lo porta dritto alla Dogana di Roma, in Piazza della Pietra, dove trova una spiacevole sorpresa. “Siccome per tutto il viaggio mi ero imposto la regola di trattare la gente con sussiego, a Roma questo mi ha nociuto. Le mie cose sono state tolte ad una ad una dal baule e hanno sequestrato i libri che hanno trovato. Me li hanno restituiti tutti, tranne le opere di Voltaire, che sono rimaste alla Dogana per 3 settimane e che ho riavuto grazie ad un buon amico”.
Prende alloggio in una locanda e si reca subito dal Governatore, Alberico Archinto, già Nunzio apostolico a Dresda ed organizzatore con padre Rauch del suo viaggio a Roma. Il futuro cardinale cerca “di conquistarmi con allettamenti, preghiere, astuzie, con ogni mezzo, portandomi così alla decisione di non andarci più. Voglio vivere e morire da uomo libero e sono pronto ad affrontare tutto”. Cioè ad accontentarsi di quanto gli procura padre Rauch, che forse non gli sarebbe bastato per vivere a Roma.
E va subito per biblioteche. Frequenta per prima quella del cardinal Domenico Silvio Passionei, che, da vicebibliotecario della Vaticana, gli procura l’accesso a quei fornitissimi scaffali dalle ore 9 a mezzogiorno, nonché ad altre biblioteche, come la Barberiniana e l’Imperiali.
Quella che ritiene la sua grande fortuna è la lettera con cui il pittore di Corte Dietrich l’ha presentato ad Anton Raphael Mengs, pittore e studioso dell’antichità, boemo ma cresciuto a Dresda e formatosi a Roma, dove risiede dal 1751. Lo pregava di trattare Winckelmann da “amico carissimo”.
“Senza quest’uomo”, confida Johann all’amico Berendis il 20 dicembre 1755, “sarei stato come in un deserto. La sua casa è il mio rifugio e da nessun’altra parte mi sento a mio agio come da lui. Sono libero ed ho intenzione di rimanere così. Ho la possibilità di studiare, in particolare in Campidoglio, dove è raccolto il tesoro delle antichità di Roma, statue, sarcofaghi, busti, iscrizioni. Vivo da artista. Vado in giro in spolverino, che qui è di moda. Mangio con artisti tedeschi e francesi, ma rimpiango la cucina tedesca. Ci si può arrangiare abbastanza bene senza fuoco e di giorno tengo per lo più le finestre aperte. Ho visto il Papa, stavo per dimenticare questo punto importante”.
Così inizia l’avventura di Winckelmann a Roma ed in Italia, come studioso dell’antichità, un’avventura che durerà tutta la vita e lo porterà ad essere riconosciuto come il massimo teorico del neo-classicismo. [continua…]