Scriveva Helmut Kuhn nel suo saggio Der Staat:“La costruzione della struttura politica del potere deve procedere di pari passo con l’edificazione interiore, voglio dire l’educazione, certo non a servizio dello stato (in questo modo verrebbe invertito l’ordine tra fondamento e istituzione), bensì l’educazione al servizio dell’uomo, che come tale è anche membro della comunità politica”. In pratica questo oggi significa che per ogni singolo stato esso deve subordinare il suo particolare bene comune, su scala nazionale, al bene complessivo dell’intero genere umano.
Come si può quindi considerare gli Italiani all’estero ancora una volta dei cittadini di serie B?
Ecco quindi che con la puntualità della campana domenicale in vista delle prossime elezioni, arriva un nuovo attacco al voto degli italiani all’estero e agli eletti della circoscrizione Estero e quindi agli oltre 5.000.000 di italiani all’estero. In apertura del programma La Gabbia Open il giornalista Gianluigi Paragone ha lanciato un sondaggio: “è giusto o no che gli italiani all’estero votino”? Secondo lui non è giusto che chi non paga le tasse in Italia debba partecipare al cambio della Costituzione. In effetti Paragone non lo ha detto esplicitamente, ma lo ha fatto capire: fosse per lui toglierebbe il voto degli Italiani all’estero perché “le esigenze degli italiani all’estero sono secondarie rispetto ai problemi del Paese”. Cambiano le parole, ma la musica è sempre quella: il solito ritornello di un giornalismo culturalmente e politicamente senza costrutto, che non perde occasione per respingere un mondo che non conosce e di cui non si fida. Nessuna sostanziale novità, dunque, se non l’abissale e spaventosa ignoranza dei termini reali della questione. I cittadini italiani all’estero sono cittadini come tutti gli altri e nessuno gli può togliere il diritto di voto, che è il primo dei diritti di cittadinanza. Il voto dei cittadini italiani residenti all’estero è un diritto sancito dal comma 3 dell’articolo 48 della Costituzione italiana e nessuna legge elettorale (ordinaria) la può toccare. In Costituzione è indicato anche il numero dei parlamentari (12 alla Camera e 6 al Senato) per cui la stessa abolizione della legge sul voto degli italiani all’estero non cancellerebbe la rappresentanza, semmai ne potrebbe modificare le sole modalità di elezione.
I parlamentari eletti all’estero, gli unici – è bene ricordarlo – scelti direttamente dagli elettori con il voto di preferenza, nonostante l’ampiezza e la distanza dei loro collegi elettorali, sono stati più presenti e attivi della maggior parte dei parlamentari eletti in Italia. La cosa che più colpisce, tuttavia, non sono le castronerie giuridiche e lo stravolgimento dei più elementari principi di democrazia, ma l’affermazione del valore residuale degli italiani all’estero rispetto ai problemi del Paese.
Se l’economia italiana è restata a galla in questi anni di crisi lo si deve soprattutto alla proiezione del Made in Italy nel mercato globale e alla rete di sostegno assicurata dai cittadini all’estero e dagli oriundi che è stata determinante. Oltre, da non dimenticare, al contributo di immagine e di relazioni che il nostro retroterra emigratorio, vecchio e nuovo, assicura costantemente al Paese.
In gioco, dunque, non è il ruolo degli italiani all’estero ma la visione che si ha del presente e del futuro dell’Italia nel mondo. Un motivo in più perché gli italiani all’estero, nel momento in cui si dovranno pronunciare con il voto, assieme agli altri cittadini, sulle prospettive del Paese, possano riconoscere quali siano le forze di cui ci può realmente fidare per mettere in sicurezza il futuro dell’Italia nel mondo. Ci si aspettava che nel dibattito non si parlasse del voto – si o no – per gli italiani all’estero, ma di come migliorarlo e non di come distruggerlo.
Gli italiani nel mondo non sono cittadini di serie B, ma vivono e lavorano oltre confine non perché sono in gita turistica, ma perché la Storia li ha portati a fare delle scelte di vita lasciando familiari, amici e terra natia. Negli anni hanno contribuito a far crescere l’Italia, e non poco.
Ecco perché insieme alla propria razionalità la nostra Patria, come gli altri stati, deve comunicare anche la sua sorgente interiore e l’orizzonte di significato: la visione del Logos come fondamento di tutte le cose, la visione di quella verità che è insieme la misura del bene. Allora essa raccoglie in unità le grandi tradizioni del genere umano e la fa confluire in un dare e ricevere, nel quale tutto appartiene a tutti è nessuno per l’altro è un estraneo.
Certo è che come sempre in vista delle elezioni non si riesce a formulare una legge elettorale propria ma bisogna copiare sempre dai modelli esteri, l’esterofilia che fa comodo, quando si tratta dei propri concittadini all’estero invece poco interessamento o nulla.
I profondi rivolgimenti che hanno mutato il volto dell’Europa sono davanti agli occhi di tutti; davvero in Europa l’ideologia moderna, che al progresso tecnico e al benessere economico sacrificava ogni altra considerazione, ha lasciato il campo ad altri valori?
La storia reca in sé il sigillo del contrasto tra l’amore e l’incapacità ad amare: quella devastazione dei cuori, che ha luogo là dove l’uomo non è capace di riconoscere come valore e come realtà effettiva altro che i valori materiali, anziché le relazioni con i propri fratelli all’estero.
Ecco quindi che non si può e non si deve assolutamente negare il voto ai connazionali all’estero, se possono essere sempre più d’aiuto nell’adempimento delle sfide che l’odierno frangente della storia ci propone in Italia, in Europa, nel mondo.