La notizia lascia l’amaro in bocca: mercoledì 24 maggio, in diverse località delle Germania, le polizie locali – dirette dal Landeskriminalamt in Baviera – hanno dato il via a perquisizioni massicce nelle abitazioni di molti giovani attivisti per il clima. Parliamo degli aderenti a quella sigla, “Letzte Generation”, che in Germania abbiamo imparato a conoscere soprattutto negli ultimi mesi, da quando hanno incrementato le azioni di blocco dei raccordi anulari (le cosiddette “Sitzblockaden”).
Alcuni le definiscono “cretinate” – il cancelliere Scholz addirittura si è lasciato sfuggire un “völlig bekloppt” (“completamente scemi”) –, altri invece simpatizzano con i giovani attivisti che finalmente danno voce ad un’intera generazione abbandonata dalla politica. E poi ci sono, come sempre, gli indifferenti, quelli che si arrabbiano magari solo se restano bloccati in mezzo al traffico proprio a causa di una di queste azioni e ignorano totalmente il retroscena socio-politico.
In questo contesto, tuttavia, quel che preoccupa è la notizia che è stata diffusa ieri da parte del governo bavarese: le perquisizioni ai danni della “Letzte Generation” sono state motivate dalla Procura con l’accusa di essere una “organizzazione criminale” (“kriminelle Vereinigung”). Si tratta dell’art. 129 del codice penale, ovvero dello stesso articolo che dovrebbe essere applicato contro le varie cosche mafiose, come la n’drangheta, cosa nostra, camorra. Lo stesso articolo, insomma, che – insieme ad altri più specifici – in passato è stato applicato per indagare anche contro le cellule terroristiche di matrice islamica. Equiparare i giovani attivisti a mafiosi e altri criminali che si organizzano per commettere reati, non solo è strano, ma dal punto di vista giuridico è anche, a dir poco, azzardato: lo scopo degli attivisti non è sicuramente quello di commettere reati oppure arricchirsi illegalmente ai danni di qualcuno. Lo scopo è quello di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Punto.
Eppure l’indagine riguarda sette persone – dai 23 ai 38 anni – che vengono accusate oltretutto anche di “disturbo del servizio pubblico”: le perquisizioni sono state eseguite in tutta la Germania, soprattutto in Baviera. Negli scorsi mesi gli attivisti avevano organizzato azioni di sabotaggio di un oleodotto e una raffineria di petrolio a Schwedt. In primavera avevano cercato di interrompere il flusso di petrolio, cui sono poi seguite ulteriori azioni di protesta che in diversi casi hanno provocato l’interruzione di adduzione del petrolio. Anche per questo l’attenzione e le misure di repressione da parte dello Stato tedesco si stanno intensificando. Non a caso altri attivisti a novembre del 2022 erano stati indagati e perquisiti per ordine della procura di Dresda che li accusava di “danneggiamento” per essersi incollati le mani alla cornice di un dipinto.
I diretti interessati hanno replicato, ovviamente, parlando di “tentativo di intimidazione” e di “criminalizzazione” della libertà di riunione e protesta. La situazione rischia di degenerare, anche perché pare che le autorità abbiano congelato i fondi (all’incirca 1,4 milioni di euro) degli attivisti. Una criminalizzazione delle proteste per il clima non è soltanto sproporzionata, ma anche pericolosa. Si rischia un confronto diretto con una generazione che – nonostante i disagi e i disservizi che provoca con le azioni – vuole salvare un qualcosa che dovrebbe stare a tutti a cuore: il nostro pianeta.