IO CE L’HO FATTA – In occasione della presentazione, all’Istituto italiano di Cultura di Monaco, del suo ultimo libro, la scrittrice Simona Morani ci ha raccontato come nascono i suoi racconti e perché la letteratura non salverà il mondo
“Era un tardo pomeriggio di settembre. Simili a una banda di ubriachi, io, i miei genitori e mio nonno gironzolavamo avanti e indietro per la casa in preda all’agitazione, come se fossimo tutti in procinto di traslocare. «Non ritornare incinta!» è esploso mio padre, in un moto di disperazione. Da mesi non si dava pace. Il nonno lo ha guardato torvo mentre io trascinavo la valigia lungo i gradini che portavano al garage”.
Questo brano è un estratto dell’incipit di “Sopra ogni cosa”, l’ultimo libro di Simona Morani. Vi si narra la storia di Alina e Noah. Lei italiana lui siriano, si incontreranno in Germania, ognuno con il proprio fardello di sogni, speranze, paure.
Signora Morani, cosa L’ha portata a Monaco di Baviera e perché ci è rimasta?
Da neolaureata in Lingue, nel 2008 non riuscivo a trovare un lavoro in ambito culturale che fosse retribuito. Inviavo le mie candidature in Italia e ricevevo solo qualche proposta di tirocini non stipendiati o volontariato. Era frustrante. Ricordandomi della bellissima esperienza vissuta come studentessa Erasmus a Saarbrücken, ho iniziato a mandare CV anche in Germania e sono stata presa a Monaco. Anche quello era solo un tirocinio, ma era pagato e ho pensato che fosse un discreto primo passo. Sarei dovuta restare sei mesi, e invece, sono ancora qui.
Lei è insegnante di italiano e scrittrice. Qual è il Suo rapporto con la lingua italiana nelle due diverse vesti?
Sia quando scrivo sia quando insegno mi sento un ponte che, nel caso della scrittura, unisce la storia che ho scelto di raccontare ai lettori, e nel caso dell’insegnamento, unisce la mia madrelingua agli studenti stranieri. La lingua è uno strumento indispensabile in ogni campo, per difendere i propri diritti ma anche esprimere creatività. Si inizia a padroneggiarla quando si è in grado di costruire storie. Per questo da alcuni anni tengo corsi di scrittura creativa per stranieri, non facili ma molto divertenti.
Il Corriere d’Italia inserirà questa intervista nella rubrica “Io ce l’ho fatta!” È andata proprio così? Ritiene di aver raggiunto il successo?
Se guardo indietro, vedo un percorso in salita punteggiato di tante esperienze: di alcune sono soddisfatta e fiera, di altre posso dire che non erano adatte a me in quel momento ed è un bene che io me le sia lasciate alle spalle. Davanti a me però il percorso continua in salita, soprattutto nella scrittura ogni progetto è un salto nel vuoto, non sai mai se e come verrà ricevuto dall’editore e dal pubblico, puoi solo affidarti al tuo genuino bisogno di scriverlo e cercare di farlo al meglio, superando te stesso.
Ha scritto cinque libri. Nel primo i protagonisti sono allegri vegliardi, in “Sopra ogni cosa” ha scelto una ragazza e un ragazzo, con un salto generazionale notevole. Come individua i protagonisti dei tuoi libri?
Ai tempi di “Quasi arzilli” non avevo la percezione che scrivere di protagonisti della mia età potesse apportare benefici a me o agli altri lettori. Al contrario, traevo moltissima ispirazione da ciò che gli anziani intorno a me dicevano e facevano, dal loro modo di affrontare la vita. Volevo catturare quelle immagini e renderle raggiungibili a chiunque lo volesse. Ora che sono più grande posso osservare che ciò che ho vissuto io da giovane espatriata è molto simile a quello di tantissimi altri ragazzi, e insieme rappresentiamo quella generazione che ha plasmato gli ultimi decenni dell’Unione Europea, e penso meriti di essere raccontata e letta.
Alina e Noah sono coetanei, vivono in Germania ma provengono da mondi lontani e molto diversi. Cos’hanno in comune?
Alina è una ragazza italiana di provincia. Non ha le idee chiare su chi sia e cosa voglia diventare, schiacciata da due genitori controllanti. Per riuscire a emergere, “scappa” in Germania, ma si rende conto che anche lì il mondo del lavoro non è affatto facile. Noah, invece, vorrebbe fare il biologo marino ma il padre gli impone di studiare medicina in Europa per poi tornare in Siria e lavorare come chirurgo. Alina e Noah si conoscono in Germania, un paese straniero per entrambi in cui devono affrontare ostacoli simili. Questo li porta a sostenersi e a capirsi nonostante le differenze linguistiche e culturali.
L’amicizia nell’amore e l’amore nell’amicizia. Categorie assolutamente impermeabili?
L’amicizia vera contiene dentro di sé un certo tipo di amore, l’amore non è completo se non contiene anche la più sincera amicizia.
Essere migranti oggi, parlare lingue diverse e affrontare la sfida dell’integrazione… “Sopra ogni cosa” sfiora appena le grandi questioni aperte che tuttavia restano palpabili e pervadono la scena. Può un romanzo insegnare la tolleranza e la solidarietà?
Non amo molto l’idea di “insegnare” qualcosa a qualcuno, ed è per questo che poco fa parlavo di “ponte” sia nella scrittura che nell’attività di docente. Non pretendo né spero che i miei libri insegnino qualcosa, semmai che offrano una riflessione, un’emozione, un’empatia, una domanda. Quindi per me sì, le scelte di Alina e Noah ci dicono che è possibile amare sopra ogni cosa se siamo in grado di aprirci e accettare l’altro in tutte le sue sfaccettature, ma lascio la domanda aperta ai lettori.
Chi sono i Suoi lettori di riferimento, a quale pubblico rivolge la Sua attenzione?
Non ho un pubblico specifico di riferimento. Ogni volta cerco un compromesso tra il mio desiderio di affrontare una determinata storia e la possibilità che questa possa davvero essere interessante per altri. Ricevo ogni settimana email da lettori che vogliono recuperare miei libri passati e da altri che hanno già letto più di un mio libro e ci trovano un filo conduttore, un qualcosa in cui anche loro si identificano. Questo mi riempie di gioia e gratitudine.
Viviamo in epoca piena di contraddizioni, complessa e dominata dall’indifferenza. La letteratura salverà il mondo?
Purtroppo sono rimasta molto scottata dalla reazione della società occidentale negli ultimi tre anni. Ho capito quanto sia labile l’equilibrio di cui andavamo fieri e quanto sia facile anche per noi che viviamo (ancora, ma chissà per quanto) nella parte più fortunata del mondo, perdere le certezze su cui abbiamo fondato il nostro sistema dal Dopoguerra a oggi. Per cui no, temo che la letteratura non salverà il mondo. Però è già tanto se lo consolerà, se potrà donare conforto, incoraggiamento, sollievo, ispirazione. Tutto sommato, non è poca cosa, no?