Foto di Gherardo Ugolini

Si è spento lo scorso 27 maggio nell’ospedale di Bielefeld Orazio Giamblanco, un italiano residente in Germania, siciliano d’origine, pizzaiolo a Bielefeld e quindi muratore nella ex DDR, divenuto suo malgrado simbolo della violenza xenofoba. Non è un nome molto conosciuto, se non nell’ambito ristretto della comunità italo-berlinese, ma è importante tenere vivo il ricordo di quanto gli accadde.

La sera del 30 settembre del 1996 Orazio fu aggredito da un gruppetto di skinheads in un cantiere a Trebbin, nel Brandeburgo, paese di diecimila abitanti a una quarantina di chilometri da Berlino. Uno di loro lo colpì violentemente con una mazza da baseball alla nuca. La sua unica colpa era quella di essersi palesato come straniero. Credendolo morto, l’aggressore scappò via. Sui giornali dell’epoca l’episodio ebbe una certa rilevanza, ma finì col confondersi tra i tanti casi analoghi di xenofobia che negli anni post-unificazione hanno segnato la cronaca soprattutto nelle regioni orientali del Paese.

Orazio aveva allora 55 anni e miracolosamente sopravvisse ai colpi ricevuti, ma rimase gravemente menomato, con una paralisi spastica permanente e difficoltà di respirazione e di parola, oltre a dolori per tutto il corpo e una forma acuta di depressione. Sembrava destinato ad avere davanti a sé pochi anni di vita, e invece è arrivato a 83 anni, grazie alle cure della moglie, Angelica Stavropoulu e della figlia Efthimia, che hanno dedicato la loro esistenza ad assisterlo in tutti i modi possibili, anche lottando contro le ostilità della burocrazia (la cassa mutua non gli ha concesso la sedia a rotelle elettrica perché l’aggressione non era considerabile un incidente sul lavoro).

Il quotidiano berlinese Der Tagesspiegel promosse una meritoria campagna informativa pubblicando ogni anno, nella ricorrenza dell’aggressione, un servizio su Giamblanco e la sua famiglia, facendone un eroe martire della xenofobia, informando i lettori sulla sua esistenza e promuovendo raccolte di fondi per aiutarlo.

Nel 2006, dieci anni dopo la feroce aggressione, il colpevole (un ragazzo di nome Jan) che era stato condannato a 15 anni di carcere per tentato omicidio, ha deciso di pentirsi e ha scritto due lettere a Orazio chiedendo e ottenendo il suo perdono. In quelle lettere si autodefiniva «il più grande idiota del mondo» e si dissociava dalla sua militanza nei gruppi dell’estrema destra. Ottenne così una riduzione della pena di alcuni anni.

Nel 2021, quando le condizioni di Orazio si erano aggravate in modo preoccupante, il comune di Trebbin gli ha dedicato una piazza, Orazio-Giambianco-Platz, concedendoli un onore piuttosto inusuale per una persona ancora in vita. Ricordare Orazio significa rendere omaggio alle 10mila persone che sono state vittime, dagli anni Novanta ad oggi, di aggressioni violente da parte di estremisti di destra. Di queste 180 hanno perso la vita.