Storie di successi italiani in Germania. Un’interessante testimonianza storica della nostra emigrazione
„Io sono un tipo che non ha mai voluto capitolare“: in questa semplice frase sta l’anello di congiunzione fra i due libri e i due autori che presentiamo in questo numero, oltre la comune origine pugliese. Intervistiamo il sig. Lorenzo Annese, che è stato fra i primi italiani ad emigrare in Germania nell’immediato dopoguerra, dalla natia Alberobello. È stato pure il primo straniero a venire eletto membro della commissione interna di una fabbrica nella Germania Federale. Oggi è pensionato e vive nei pressi di Wolfsburg, e di recente ha fatto pubblicare un libro in cui racconta tutte le sue peripezie di Gastarbeiter nel corso di mezzo secolo di storia dell’integrazione europea: „Vita da Gastarbeiter / L’impegno civile di un emigrante in Germania“ Stilo Editrice.
Come sta, sig. Annese? Qual è la sua situazione attuale?
Io sto bene. Io sono pensionato dal ‘93, mi dedico al mio giardino, alla mia famiglia, ogni tanto mi chiamano per raccontare la mia storia alcune istituzioni, e questa è la mia vita attuale in Germania.
Per quale motivo è venuto in Germania?
In Germania venni nel 1958 perché nel dopoguerra in Italia, specialmente al sud, c’era la miseria. Io dovetti lavorare da bambino a 8 anni, fare il pastorello. Dopo diventato più grande ho cominciato a fare dei lavori un po’ pesanti, nelle campagne assieme ai muratori, a portar loro del materiale, ed arrivato a 13 anni non avevo ancora visto la scuola perché durante la guerra parecchi degli insegnanti erano rimasti al fronte. Io venni qua in Germania con un contratto di lavoro per l’agricoltura. Il motivo era che tutta la famiglia eravamo ammalati di tifo e questo perché non c’era acqua, non c’era niente. Io sono nato nel 1937 e ricordo bene la guerra. Mi ricordo bene come nel centro del paese addestravano i ragazzi, mio fratello maggiore, che adesso si trova a Buenos Aires, faceva gli esercizi con il fucile di legno. Ricordo quando gli americani e i tedeschi vennero da Taranto e andavano verso il Norditalia. Tutti i problemi della guerra, ancora li ho nelle ossa. Per la miseria: per questo fui costretto ad andare via. Io non avrei mai lasciato il proprio paese, i propri genitori, i propri parenti, ma purtroppo il problema era quello: non si poteva andare avanti così. Un ragazzo che vuole costruirsi un avvenire… Nei primi anni ho lavorato addirittura solo per il cibo che ci davano, non per soldi: solo per mangiare e basta.
Quando Lei è arrivato in Germania per la prima volta, che impressione ne ha avuto?
Devo dire che fui scioccato quando arrivai. Qui, già era venuto mio fratello prima di me con lo stesso contratto di un anno per l’agricoltura. Io vengo da Alberobello, che a quell’epoca contava diecimila abitanti, ed era un paese luminoso. Arrivo qui a Bokensdorf, dove ancora oggi vivo: era un villaggio di appena trecento abitanti, e non c’era luce, non c’era niente, tutto buio… Arrivai a mezzanotte e nel primo momento rimasi un po’ turbato. Pensai: caspita, hai lasciato un paese illuminato e vieni qua al buio. Però subito dopo, siccome all’epoca qui nella zona c’erano molti profughi venuti dalla Russia, dall’Ucraina, ed avevano subito gli stessi problemi che avevamo subito noi, avevano comprensione per i nostri problemi, quello che noi stranieri all’epoca qui trovavamo. E meno male che loro ci aiutavano un po’ a capire la lingua, ma anche a capire com’è la vita. Sono stati loro a darci un po’ di calore. Ma come ambiente, come clima, era un po’ triste, la situazione.
E poi come è riuscito ad acclimatarsi, tanto che ci è rimasto fino ad oggi?
Io sono un tipo che non ha mai voluto capitolare. Anche perché alcuni parenti miei sono andati all’estero e dopo poco tempo son ritornati. E allora venivano sfottuti dai cittadini: „Ecco, vedi, voleva conquistare il mondo, ed è tornato di nuovo qua“. Io non volevo subire questo, ed ho insistito, insistito, e questo è uno dei motivi per cui sono rimasto. Il motivo era l’orgoglio di non capitolare. Anche perché due giorni dopo che ero arrivato conobbi una ragazza che poi è diventata mia moglie. Ci siamo conosciuti, ci siamo frequentati, e sono rimasto.
Nel corso del suo lunghissimo soggiorno in Germania avrà vissuto anche dei grandi momenti. Quali sono state per Lei le esperienze culminanti in Germania?
La vita nei campi la conoscevo dall’Italia, e devo dire che ho cercato subito di andare via dall’agricoltura. Andai a lavorare in un’azienda edile dove si facevano blocchi di cemento. Anche lì il lavoro era durissimo. Si lavorava a cottimo, per ogni pezzo si pigliava un pfennig, il blocco pesava venti chili, e certi giorni ne dovevamo caricare tremila, tremilacinquecento, fino a quattromila. Immagina Lei quante tonnellate si spostavano in un giorno per prendere venti marchi? Anche lì cercavo di andare via, però da parte dell’ufficio di collocamento venivano sempre minacce: „O qua, o indietro in Italia“. Perché il permesso di soggiorno era per l’agricoltura, ed il permesso di lavoro era solo per quel lavoro, e non c’era altro da scegliere. Ma dopo un poco di tempo feci venire un mio paesano e quello mi sostituì nell’agricoltura, e così, dopo aver fatto una quindicina di domande che mi venivano sempre respinte, riuscii alla fine ad entrare in Volkswagen. E quella è stata la prima soddisfazione che ho avuto, di averla spuntata. E per fortuna, come iniziai in Volkswagen, un fiduciario mi chiese se mi volevo iscrivere al sindacato metallurgico IGMetall. Ed io m’iscrissi, e questo fu nel ‘61. E nel ‘62 la Volkswagen prese gli italiani direttamente dall’Italia tramite gli uffici dell’emigrazione di Verona e di Napoli, ed io fui liberato dal lavoro per accompagnare, spiegare ed assistere questi nuovi arrivati. E così incominciò a migliorare anche la mia situazione, e questi sono stati per me i primi passi. Una delle cose più belle della mia vita è stata essere accettato da un sindacato. Se non fosse stato per loro io non avrei mai potuto svilupparmi come poi mi sono sviluppato.
Come Le è venuta l’idea di scrivere questo libro?
Perché ho vissuto esperienze particolari, uniche. Ad esempio diventai membro della commissione interna e fui eletto già nel ‘65, quando ancora la legge aziendale non lo permetteva; però siccome per accordi fra la Volkswagen ed il Ministero del Lavoro la legge aziendale stava per venire riformata, allora ebbi il benestare a candidarmi. Infatti un anno dopo la legge aziendale fu modificata. E così ho incominciato a prendere i contatti con tante istituzioni per il lavoro che dovevo fare: con il consolato, con l’ambasciata italiana, e anche con tanti comuni, e mi ci sono dedicato non solo come membro di commissione interna, ma per dare ai nostri connazionali quello che a me era mancato: ho organizzato il tempo libero, serate danzanti, separatamente dal lavoro normale. Non era il mio compito. Io sentivo la necessità di aiutarli, perché si sentivano abbandonati soprattutto nei periodi festivi. A Natale organizzai una grandissima festa che è diventata poi una tradizione per tanti anni. Mi sono sempre impegnato, così è riuscita l’integrazione qui nella città di Wolfsburg. Siccome ero conosciuto, sono spesso stato invitato a diversi seminari per raccontare la mia storia. Al termine mi dicevano: la Sua storia è interessante, lei dovrebbe scriverci un libro. Io però non avevo le capacità di scriverlo. Ma mi hanno sempre dato la spinta a farlo, e così ci ho ripensato. Da quando sono pensionato sfruttando il tempo, ho cominciato a scrivere. E dopo avere scritto tante pagine a modo mio, mi sono messo in contatto con mio nipote Pasquale. Lui è professore in filosofia, e gli ho chiesto se mi dava una mano. Ed assieme a lui ho fatto il libro: lui ha preso tutto il materiale che io avevo, ed ogni tanto mi chiedeva per telefono di chiarirgli cose che non aveva capito, e così è nato questo libro.