Intervista a Norma Mattarei, direttrice della Akademie der Nationen della Caritas a Monaco
Sulla porta del suo ufficio una scritta-manifesto accoglie i visitatori: “München ist bunt”, Monaco è multicolore. Come a dire: “qui la discriminazione non ha casa”. Norma Mattarei, veronese di nascita, sociologa, da anni impegnata sul fronte dell’integrazione interculturale. Di seguito l’intervista che ci ha rilasciato.
Dott.ssa Mattarei, Lei è una figura di spicco tra gli italiani che vivono a Monaco, molto conosciuta e apprezzata per il suo lavoro alla Caritas. Tuttavia pochi sanno cosa è l’Akademie der Nationen. Ce ne vuole parlare?
È una struttura della Caritas che si occupa dell’integrazione degli immigrati e della convivenza tra le minoranze che vivono a Monaco. Praticamente vengono organizzate iniziative che facilitano l’integrazione, l’interscambio e il dialogo con le istituzioni locali: conferenze, dibattiti, progetti interculturali; corsi di formazione per gli operatori sociali che lavorano nei servizi di sostegno psicologico, in particolare nei centri di assistenza agli immigrati o ai rifugiati politici; corsi di tedesco per gli immigrati; corsi madrelingua, in particolare per i bambini italiani che vivono qui.
Si può dire che la Caritas è una istituzione schierata politicamente? Se sì, come?
No, La caritas non è schierata politicamente. Il suo compito primario è quello di aiutare i più deboli nella società, di proteggere le fasce più svantaggiate. In questo senso si può dire che svolge un ruolo politico a sostegno di persone praticamente escluse dalla società. Lo fa con una presenza attiva nelle strutture comunali e influenzando le politiche territoriali. La Caritas è una emanazione della Chiesa cattolica, ma l’orientamento è laico.
Ci parli di Lei. Quali sono state le Sue esperienze professionali e cosa L’ha portata in Germania?
Sono arrivata in Germania a metà degli anni ’80 con una borsa di studio in sociologia del Ministero degli Esteri. Ho iniziato con una ricerca sulle difficoltà scolastiche dei bambini stranieri in Germania. Da questa esperienza sono nate svariate collaborazioni che mi hanno portato alla Caritas. Inizialmente ho svolto attività di assistenza sociale e consulenza per gli italiani che vivono a Monaco.
Sempre più italiani si trasferiscono all’estero e molti scelgono la Germania e Monaco. Con quali aspettative?
Gli italiani che vengono a Monaco cercano un lavoro adeguato alle proprie qualifiche. Molti sono laureati o diplomati che non trovano lavoro in Italia per via della crisi economica e trasferendosi qui hanno l’aspettativa di lavorare nel loro campo professionale. Il mercato del lavoro a Monaco è molto dinamico e ricettivo grazie alle numerose aziende internazionali in cui per lavorare è sufficiente conoscere l’inglese. Chiaramente arrivano anche italiani non qualificati. Per loro è più difficile.
Negli ultimi anni nazionalismi e populismi hanno aumentato fortemente il proprio consenso in Europa, al punto da mettere a rischio la sopravvivenza dell’Euro e della stessa Unione Europea. Da sociologa, qual è il Suo parere sul successo dei partiti sovranisti e perché la sinistra arranca dappertutto nel vecchio continente?
I partiti sovranisti hanno successo perché offrono risposte semplici a problemi complessi, come quello, ad esempio, rappresentato dalla crisi economica che, a partire dal 2008, ha creato in tutta Europa molta disoccupazione. Molte lavorazioni sono state trasferite all’estero e molte persone hanno perso il lavoro o sono state assunte a tempo determinato con contratti atipici che di fatto hanno creato molta precarietà. Alla complessità di questa crisi economica le socialdemocrazie in Europa hanno risposto realizzando una serie di politiche che non sono tipiche della sinistra, come l’eliminazione quasi completa delle norme contenute nello statuto del lavoro o come alzare l’età pensionistica. Veri e propri peggioramenti sociali che hanno creato insicurezza e scontentezza.
Nel 2015 Angela Merkel con la storica frase “Wir schaffen das” (Ce la facciamo) ha consentito a un milione e 90.000 siriani, iracheni e afgani, di entrare in Germania. Come giudica quella decisione?
E’ stata una decisione necessaria, positiva e importante, che ha avuto effetti sul resto dell’Unione europea. Tutta quella gente ammassata alle frontiere rappresentava un grande problema per la sicurezza. La Merkel non poteva lasciarlo irrisolto. Tuttavia la decisione della Merkel è stata accolta criticamente e l’espressione “Wir schaffen das” risulta ancora oggi irritante e non condivisa. Molti tedeschi, soprattutto i più poveri, si sono chiesti e si chiedono perché dovrebbero essere proprio loro “a farcela”, perché dovevavo e devono farsi loro carico di un problema così grande, la cui soluzione è compito dello Stato. Sul piano politico tutto ciò ha penalizzato i partiti tradizionali a vantaggio dei partiti populisti.
La migrazione sfascerà l’Ue?
Secondo me no. Piuttosto sarà il perdurare della crisi economica a rappresentare il maggior fattore di rischio.
Il terrorismo di origine islamica ha avuto proseliti anche in Europa. Come è potuto nascere il fenomeno dei Foreign Fighters?
Ho letto alcune interviste a ragazzi olandesi rientrati dopo essere stati arruolati nell’Isis. La mia impressione è che molti dei cosiddetti Foreign Fighters sono o erano persone di buona famiglia colpite dalla crisi esistenziale che caratterizza la società consumistica. Probabilmente non hanno trovato risposte o stimoli nella politica e, complice anche la rete, hanno fatto scelte distruttive. In una certa misura tali scelte rappresentano anche una forma di avversione contro l’imperialismo occidentale. Si pensi all’attuale comportamento irresponsabile di Donald Trump. Va detto anche che altri giovani hanno fatto scelte analoghe, ma in direzioni diverse, unendosi ai curdi.
Un Suo parere sulle “Sardine”. E’ un cambiamento significativo nel modo di pensare la politica o è destinato a rivelarsi un fuoco di paglia?
Ogni fenomeno che mette in discussione un certo tipo di politica e, soprattutto, che si schiera contro ideologie razziste mi sembra positivo. Tuttavia, non avendo una chiara connotazione politica non so fino a che punto questo movimento sarà in grado di incidere e creare cambiamenti concreti.
Secondo Lei, su quali valori dovrebbe fondarsi la società nel 21esimo secolo?
Viviamo in una società in cui tutto è merce, in cui il valore principale è diventato il denaro. Invece avremmo bisogno di più solidarietà e rispetto per le persone e per l’ambiente. C’è bisogno di più giustizia sociale, democrazia e libertà quali presupposti per l’autodeterminazione degli individui, ma anche della collettività. Poi minor consumo, dunque minor produzione e commercializzazione.
Ha parlato di democrazia. Ma almeno in Europa c’è democrazia?
In Europa come in tutto il mondo occidentale la società è basata sull’economia di mercato. La democrazia serve a creare e mantenere le condizioni perché questo sistema funzioni senza interruzioni, problemi o disturbi. Ma è questa vera democrazia? Purtroppo questa democrazia non crea le condizioni per avere uguaglianza, partecipazione e giustizia sociale. Piuttosto è un’ideologia negativa che crea vincitori e perdenti.
Tra i perdenti ci sono anche le donne?
Le donne sono sempre state svantaggiate e hanno pagato il prezzo più alto perché hanno un doppio ruolo che finisce con l’essere un doppio carico, in campo professionale e nella famiglia. Culturalmente sulle donne viene buttato tutto quello che non funziona. Lo Stato deve risparmiare nelle spese sociali e sono le donne a farsi carico delle conseguenze accudendo figli e genitori. Nei fatti vediamo che le donne guadagnano di meno, fanno meno carriera ed hanno le pensioni più basse.
La povertà in Europa negli ultimi anni è notevolmente cresciuta. Cosa non sta funzionando nel nostro modello di sviluppo?
L’attuale modello di sviluppo capitalistico è basato sulla produzione e sul principio della concorrenza. Per affermarsi un’azienda deve produrre a prezzi sempre più bassi ottimizzando i processi e adottando nuove tecnologie. Questo va a scapito dei lavoratori e sempre più persone hanno difficoltà a trovare un lavoro o perdono il proprio lavoro. L’attuale crisi è intrinseca nel sistema capitalistico.
Una delle conseguenze più nefaste dell’attuale modello di sviluppo è il cambiamento climatico. Greta Thunberg salverà il pianeta?
Dobbiamo essere tutti grati a Greta Thunberg. Il movimento Fridays for Future, nato con lei, è importantissimo perché ha portato nel dibattito politico e pubblico la questione del futuro del pianeta. Tuttavia non possiamo aspettarci che la soluzione venga da coloro che hanno creato il problema. Rivolgersi ai politici che sostengono il modello capitalistico-produttivo e pensare che possano essere loro a risolvere il problema non funzionerà. Oggi più che a soddisfare bisogni primari, la produzione è finalizzata alla vendita e al profitto. Ciò sta distruggendo l’ambiente. Bisogna rivedere e ripensare questo sistema dalle fondamenta.