L’uomo del fare. La vita e le opere di Mario Fadini, un viaggio di solidarietà e sacrifici
Per l’ormai 90enne bergamasco Mario Fadini è tempo di bilanci. La sua vita è ricca di avvenimenti ed opere che portano il suo nome.
Essendo riconosciuto un po’ da tutti come “l’uomo del fare” si è sempre guardato bene che non si parlasse di lui, ma delle opere necessarie alla crescita di bambini e delle famiglie meno abbienti.
La sua vita è stata caratterizzata da un continuo peregrinare. Si potrebbe azzardare ad affermare che la sua è una ricca ed intensa storia di emigrazione iniziata all’età di 15 anni. Mario Fadini, classe 1934, è terzogenito di 10 figli di una famiglia contadina di Calcinate, una cittadina di 6 mila abitanti della Bassa Bergamasca. La prima tappa d’emigrazione è Arcore, oggi i provincia di Monza, ma allora di Milano. Li trova lavoro come garzone in un panificio e come giardiniere presso Villa Borromeo. Essendo membro di una famiglia numerosa, Mario avverte il dovere di inviare l’intero salario a suo nonno, amministratore della famiglia.
Questo suo spirito di solidarietà lo segna per l’intero percorso di vita. Assolto il servizio di leva negli Alpini, nel 1957 emigra prima a Bellinzona e poi in Germania.
“Ricordo come se fosse ieri – ci racconta con molta lucidità mentale l’ormai 90enne Mario Fadini nella sua casa di Stoccarda – Bad Cannstatt. L’allora mia ragazza e poi moglie Margot, conosciuta a Bellinzona, non potendo partorire in Svizzera, in lambretta ci recammo dai suoi genitori a Hof ai confini con la Cecoslovacchia.
Con la nascita di Roberto, che rimase dai nonni materni, ci sposammo e ritornammo a Bellinzona.
Con l’arrivo del secondo figlio, mia moglie optò per Stoccarda dove io trovai subito lavoro alla Bosch e dove si è sviluppata anche la mia vita familiare, lavorativa e sociale.”
Avete vissuto anche voi in baracca?
No. Fortunatamente abbiamo conosciuto dei tedeschi che ci hanno dato in affitto due stanzette al costo di 100 marchi mensili. Allora io guadagnavo 250 marchi al mese e per raggiungere la fabbrica dovevo prendere il tram fino ad Esslingen e poi il treno per Feuerbach, sede degli stabilimenti Bosch. Essendo però di gamba buona, mi procurai una bicicletta e tutti i giorni mi facevo 44 km da Scharnhausen a Feuerbach e ritorno. Così facendo riuscii a risparmiare 50 marchi al mese di abbonamento che servivano per la nostra famigliola. Ed ho fatto questo sacrificio per ben 2 anni.
Perché, nonostante un buon posto alla Bosch, hai sempre rincorso il sogno di lavorare in proprio?
Dopo 10 anni di fabbrica conobbi dei muratori italiani che lavoravano per il mio padrone di casa Bruno Friedemann, un imprenditore che possedeva un bella villa ed aveva bisogno di tagliare l’erba del giardino. Accettai subito e nel 1971 mi fece conoscere un architetto con cui feci una società. Dopo 5 anni però l’impresa fallì. Allora pensai di costituire la ditta “Mario Fadini – Wege- und Landschaftsbau” dando così subito lavoro a 7 operai. Dei tre figli: Roberto, Peter e Angelo, solo il secondo volle ereditare l’azienda che conduce ormai da quasi 25 anni.
Nell’ambito della nostra nutrita comunità italiana residente a Stoccarda il tuo nome è collegato ai numerosi progetti di solidarietà, realizzati soprattutto in Eritrea, Guatemala e Argentina. Come mai questo tuo spiccato senso di solidarietà concreta per il Terzo Mondo?
Io ho conosciuto la miseria e so benissimo che se qualcuno non ti aiuta, da solo raggiungi poco o niente. Ho visto con i miei occhi lo stato di povertà di tanta gente; e fai molta fatica a girarti dall’altra parte. Questa sensibilità non si manifesta a parole. Ed io sono interiormente contento di esser riuscito a rendere la vita un po’ più accettabile a famiglie e a bambini orfani o abbandonati.
Quali progetti sei riuscito a realizzare col tuo Gruppo Alpini?
Nel 1982 entrai a far parte del Gruppo Alpini di Stoccarda e qualche anno dopo, su richiesta della Missione Cattolica di Stoccarda andammo ad installare un fotovoltaico alle suore di Tesseney, in Eritrea. Successivamente riuscimmo a costruire una scuola elementare, a ferro di cavallo, con 10 aule a Ebaro, una frazione di Barentu, sempre in Eritrea. Ma non fu semplice, poiché andarono persi i container, un fuoristrada, tutti gli attrezzi e le vettovaglie per le 4 settimane di lavoro preventivate. Non si è mai capito che fine abbiano fatto. Tuttavia in qualche modo, che non sto a raccontare, riuscimmo a procurarci l’essenziale e a costruire non solo l’edificio ma anche un pozzo con pompe azionate da un generatore. Con i nostri soldi acquistammo un trattore e diverse altre attrezzature. La buona riuscita del progetto spinse i Padri Scalabriniani a chiedere al nostro Gruppo Alpini di costruire anche un asilo in Guatemala. I miei compagni di avventura furono: Fabio De Pellegrini, Nuccio Nigro, Pasquale Semeraro e Danilo Martinis. Il nostro gruppo non solo lavorò materialmente ma contribuì a raccogliere anche oltre 130 mila marchi, pari a circa 65 mila euro. Dopo queste belle esperienze, le vacanze del Gruppo Alpini furono contrassegnate dalle necessità di prestare la propria opera per la realizzazione di progetti concreti a favore di piccole comunità del Terzo Mondo. Per raccolta-fondi organizzavamo feste, incontri e tombolate, il cui ricavato serviva per l’acquisto dei materiali, necessari per le opere da realizzare. Vorrei sottolineare che tutto ciò che abbiamo fatto, l’abbiamo fatto veramente col cuore. Ora, alla soglia dei miei 90 anni, non potendo essere più operativo mi limito ad aiutare finanziariamente bambini che vanno a scuola e vogliono imparare un mestiere per essere utili un domani alla propria comunità di appartenenza.
Ti ritieni soddisfatto di ciò che sei riuscito a realizzare nella tua attivissima vita, fatta ovviamente di tanti sacrifici, rinunce ma anche ricca di soddisfazioni e riconoscimenti pubblici e privati?
Sono sicuramente contento di aver contribuito con altri miei compagni di avventura a realizzare qualcosa per chi è povero. Le somme di denaro sono state coscienziosamente impiegate tutte per aiutare chi era ed è meno fortunato, più debole ed indifeso. La riconoscenza più bella è l’aver potuto constatare la gioia di tanti bambini facenti parte di comunità veramente molto povere. Perciò, senza falsa modestia, ha fatto piacere a noi tutti l’apprezzamento dei destinatari ed anche di vescovi, suore e missionari di diverse Congregazioni religiose operanti in Eritrea, Bolivia ed Argentina.
Nonostante queste belle opere di beneficenza hai qualche rimpianto o sogno non realizzato?
Il mio sogno rimasto nel cassetto è quello di non essere riuscito ad aprire una panetteria nella mia Calcinate. Ma a quei tempi, essendo io il primo maschio di 10 figli, ho dovuto aiutare la famiglia senza poter accantonare qualcosa di soldi per aprire una mia forneria. Allora la mia famiglia lavorava a mezzadria con la parrocchia e di soldi, neanche l’ombra.
Hai ancora rapporti con i Missionari e con gli Alpini di cui sei un orgoglioso Alfiere?
Sì. Ho ancora ottimi rapporti col Vescovo Thoman Oman di Barentù (Eritrea), con Padre Aldo Pasqualotto di Baja Blanca in Argentina e poi con i miei compagni di sempre degli Alpini di Stoccarda. Purtroppo non riesco ad andare più a Calcinate, perché ho preso una brutta caduta in casa e per il momento i miei movimenti sono piuttosto ridotti. Chissà? Come si dice: finché c’è vita, c’è speranza!
Quanto orgoglio c’è dietro la tua nomina a Cavaliere del lavoro?
Non nascondo che questo bel riconoscimento mi inorgoglisce molto. Da come ho appreso, il promotore è stato Padre Gabriele Parolin, un tempo Missionario a Stoccarda e ora a Monaco di Baviera. Con questo gesto lui ha voluto che il nostro Presidente della Repubblica sapesse della nostra solidarietà concreta verso il Terzo Mondo.
Da persona impegnatissima durante una vita intera, come trascorri le tue giornate oggi?
Essendo ottimista per indole di carattere, mi sto riprendendo dalla brutta caduta. E piano piano riesco ad alzarmi, esco un po’ in giardino, osservo la natura e la domenica con mia moglie Sheny, una vera santa donna, andiamo a Messa. Cogliamo così anche l’occasione per incontrare un po’ di amici e conoscenti con cui fare due chiacchiere. L’unico rammarico di quest’anno è di non aver potuto partecipare all’Adunata degli Alpini a Vicenza. Non è detta l’ultima!