Ripercorriamo con lei 35 anni di lavoro fatto con passione, dall’avventura di una delle prime scuole dell’infanzia bilingue in Germania, alla passione politica, dall’università ai progetti futuri
Gli ultimi anni di una carriera lavorativa sono quelli che solitamente non riservano grosse sorprese. Per Lei invece gli ultimi due anni sono stati particolarmente impegnativi: prima il trasloco nel settembre 2019 nella struttura di Pinocchio rinnovata, luminosa, spaziosa, a misura di bambino, poi, pochi mesi dopo è arrivata la pandemia.
Certamente non immaginavo a un anno dal pensionamento di dover affrontare la pandemia, quindi dover gestire una situazione difficile a causa delle norme igieniche con bambini, insegnanti e genitori. Le regole sono state molto spesso cambiate e questi mutamenti sono stati a livello psicologico molto faticosi.
Difficile pensare a Marina Demaria inattiva. A che cosa si dedicherà una volta in pensione?
Vorrei dedicarmi un po’ a me stessa, stare con mia madre che è in Italia e ha una certa età e stare con mio marito. Ma vorrei anche continuare una ricerca sulle scuole d’infanzia dell’Ottocento che ho intrapreso quando ero assistente all’università di Francoforte, all’Institut für Pädagogik der Elementar- und Primarstufe. C’è poi la storia di Pinocchio da raccontare, storia che verrà ospitata nella “Biblioteca delle generazioni” del Museo storico di Francoforte. Cercherò di far partecipare più persone possibili perché vorrei che fosse non solo la storia di Marina ma la storia di tanti che insieme hanno creato Pinocchio.
A proposito della storia del Kindergarten a cui Lei ha dato il nome Pinocchio, noto in tutto il mondo, come è cominciata questa avventura? Era venuta a Francoforte per preparare la tesi di laurea sul teatro tedesco per bambini dopo gli studi di germanistica a Torino.
Ho sempre avuto interesse per l’infanzia e durante gli studi mi sono anche dedicata all’apprendimento del linguaggio nei bambini. Quasi per caso sono venuta a Francoforte, all’inizio ho lavorato alla Volkshoch-schule, tenendo corsi di italiano e preparando i testi d’esame d’italiano per la comprensione orale. Mi piaceva, ma era un lavoro precario. Parlando con un’amica le dissi “quasi, quasi vorrei tornare a lavorare coi bambini, come ho già fatto in Italia, non so se ci sono delle possibilità”. Quest’amica lo disse a don Giovanni de Florian, parroco della comunità di Francoforte. Allora c’era il cosiddetto asilo italiano gestito dalla comunità cattolica di Francoforte con le suore francescane. L’allora direttrice, Antonietta Paolucci, stava andando in maternità e cercavano una sostituta. Non conoscevo la realtà dell’emigrazione perché per motivi di studio ho sempre frequentato un ambiente tedesco. Quando entrai nell’asilo italiano rimasi scossa e anche un po’ imbarazzata perché tutti mi dissero “Ah, bene, allora, Lei può cominciare…”. Non volevo essere maleducata e quindi ho risposto “Sì, certo” ma tra me e me dicevo di no. Don Giovanni e Antonietta Paolucci cercarono di convincermi finché non potei restare indifferente alla loro richiesta e dissi “Resto finché non avrete trovato un’altra direttrice per l’asilo ma a una condizione, che mi lasciate fare” e don Giovanni “Sì, sì, faccia quello che vuole, basta che salvi questa istituzione”. Da allora lui e gli altri sacerdoti della comunità cattolica di Francoforte mi hanno sempre sostenuta e ne sono grata.
Stava nascendo la prima scuola d’infanzia bilingue a Francoforte, impensabile negli anni ’80.
L’asilo italiano è stato fondato negli anni ’70 su iniziativa di un gruppo di persone all’interno della missione perché era venuto alla luce tramite un questionario che ce n’era bisogno. Furono messe a disposizione alcune stanze della missione. Allora non si era consapevoli che questi bambini non sarebbero ritornati in Italia ma sarebbero rimasti qua o, come a volte, succedeva venivano mandati su e giù e c’erano poi dei problemi con l’inserimento nella scuola elementare. All’inizio degli anni ’80 i bambini in età scolare frequentavano le cosiddette classi italiane con prevalenza dell’insegnamento dell’italiano. In seguito a un decreto dell’Assia furono abolite e i bambini cominciarono a essere scolarizzati come i tedeschi. È stato un insieme di cose che ha portato al progetto bilingue di Pinocchio: il fatto che i bambini non potevano più andare in queste classi, e meno male; i genitori che si rendevano conto che non sarebbero più tornati così presto in Italia; infine, sempre all’inizio degli anni ‘80 le suore francescane rientrarono in Italia. Tutto questo ha messo la struttura in difficoltà e la signora Paolucci ha governato una fase di transizione. C’era poi una fluttuazione spaventosa perché non appena i genitori trovavano un posto in un asilo tedesco andavano via da quello italiano. La situazione così non poteva andare avanti, ne era consapevole don Giovanni e anche la diocesi di Limburg. Bisognava far qualcosa. A quel punto mi sono buttata, ho dovuto convincere persone, trovare il personale anche di lingua tedesca, aprire la struttura alle famiglie tedesche e a quelle bilingui. Ho trovato molte persone che hanno sostenuto questo progetto, come la consulente della Caritas, Monika Ginkel, che si diede da fare e quindi poco alla volta questo progetto prese il volo.
Chi l’avrebbe detto che un’istituzione nata per emergenza sarebbe diventata un modello sul bilinguismo.
Il fiore all’occhiello di Pinocchio è di essere stati tra i primi a capire che il passaggio dalla scuola d’infanzia alla scuola elementare, soprattutto per i bambini che non hanno il tedesco come madrelingua, può essere problematico e che i bambini vanno sostenuti tenendo presente il bagaglio linguistico e coinvolgendo le insegnanti e le famiglie. Convinti di questo già nel ’86-’87, ben prima dei risultati del Pisa-Studie, abbiamo creato una Vorschulgruppe, un gruppo prescolastico. Da allora i bambini dell’ultimo anno lavorano ogni giorno in questo gruppo con un’insegnante tedesca e un’italiana, e i nostri bambini sono di regola veramente preparati.
Il progetto di scuola d’infanzia bilingue e il gruppo prescuola vi hanno fatto insignire del premio Integrazione della città di Francoforte nel 2002. Da dove ha attinto la sua preparazione, la sua competenza?
Innanzitutto attraverso gli studi all’università di Torino ma anche per un mio interesse personale ho letto tutto quello che c’era da leggere sul bilinguismo. In seguito dall’inizio degli anni ’90 ho coltivato il contatto con l’università, loro sono venuti a vedere il progetto e ho potuto attingere a informazioni attuali e interessanti. Per cinque anni ho avuto un incarico all’università di Francoforte, tenevo un seminario per studenti di pedagogia una volta alla settimana. Poi nel 2010 l’università ha istituito una cattedra di multilingualità in contesto di migrazione e approccio alla scrittura (Einwanderungsbedingte Mehrsprachlichkeit und Lieralität) e in attesa di coprire la cattedra mi chiesero di lavorare come assistente. Mi interessava molto, chiesi al mio datore di lavoro, la diocesi di Limburgo, il permesso, sicura che non me lo avrebbero accordato. Il dott. Löhr invece mi rispose positivamente “Per noi è un onore” mi disse. Mi organizzai con Gaetana D’Augello, oggi una delle mie vice direttrici, lei avrebbe preso la direzione mentre io sarei andata da Pinocchio una volta alla settimana. Sono stata cinque anni all’università all’inizio a tempo pieno, poi arrivò un professore da Bielefeld che mi offrì un posto a mezza giornata. Feci un’altra richiesta a Limburg che fu accolta. Facevo lunedì e martedì all’università e giovedì e venerdì a Pinocchio.
Lei si è definita un Arbeitstier ma soprattutto la contraddistingue la determinazione, la tenacia e l’impegno. Anche in politica. Da dove viene la passione politica?
Vengo da una famiglia molto politicizzata, soprattutto mio padre, ma anche mia madre erano sempre molto interessati. Parlare discutere, litigare di politica era normale. Ma confesso che la passione politica si è accesa dopo qualche anno di lavoro come dirigente scolastica perché ho sentito l’esigenza di portare avanti le problematiche dei bambini e delle famiglie, era il 1992. Quindi quasi per caso, tramite un amico, Franco Succi, mi sono candidata nell’Kommunalausländervertretung (Ausländerbeirat). In seguito sono stata eletta consigliera comunale nelle liste dei Grünen. Mi sono occupata di scuola, dei senzatetto, della riforma dell’amministrazione. Dopo 19 anni di politica ho smesso quando ho cominciato il lavoro in università.
Fra poche settimane, il 1° marzo va in pensione. Che cosa augura a Pinocchio?
Confesso che un anno fa avevo paura al pensiero di andare in pensione, ora invece mi sento serena. Sarà difficile staccarmi dal lavoro, soprattutto dalle persone che vedo quotidianamente, che mi hanno sempre sostenuta e sicuramente sentirò la mancanza delle insegnanti, dei bambini e dei genitori. Ho sempre lavorato con passione e auguro a Pinocchio che questa passione possa rimanere alle persone che ci rimangono e che verranno.