La guerra stava per finire. Era il 31 marzo 1945, vigilia di Pasqua, e a Kassel, in Germania, l’atmosfera era carica di tensione e speranza. Le truppe americane erano ormai vicine, e molti prigionieri impiegati nei lavori forzati attendevano con ansia la liberazione. Tra loro c’erano anche soldati italiani, costretti a riparare i binari ferroviari della città.
Alla stazione ferroviaria di Kassel-Wilhelmshöhe, un treno merci carico di viveri destinati all’esercito tedesco era stato abbandonato su un binario morto. I civili del posto, affamati e convinti che la guerra fosse ormai finita, avevano già iniziato a saccheggiarlo. Alcuni di loro invitarono anche gli italiani a prendere qualcosa, rassicurandoli che nel giro di poche ore gli americani sarebbero arrivati.
Ma la notizia del saccheggio arrivò rapidamente alle autorità tedesche. Il comandante della polizia di sicurezza di Kassel, l’SS-Sturmbannführer Franz Marmon, ordinò un’operazione punitiva. Un reparto armato di mitragliatrici, pistole e fucili si precipitò alla stazione per catturare i responsabili.
I soldati italiani furono radunati e interrogati sommariamente da un interprete poco pratico della loro lingua. Dopo un’indagine superficiale, 78 italiani furono chiusi dentro due vagoni merci, accusati di aver rubato dai convogli della Wehrmacht. La loro sorte era segnata.
Poco dopo, vennero trascinati in piccoli gruppi verso una zona della ferrovia disseminata di crateri provocati dai bombardamenti. Lì, sull’orlo di quelle fosse, furono fucilati alle spalle dai nazisti. La carneficina seguì un’esecuzione metodica e crudele:
19 prigionieri nella prima fossa,
38 nella seconda,
12 nella terza,
9 nella quarta,
1 nell’ultima, per un totale di 79 vittime, tra cui 78 italiani e un prigioniero russo.
Pochi giorni dopo l’eccidio, agli inizi di aprile, le truppe americane entrarono a Kassel. Il 10 maggio 1945, su ordine degli Alleati, vennero aperte le fosse comuni e i corpi identificati furono sepolti nel Cimitero Wehlheiden di Kassel.
Nel 1955, su disposizione del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra, i resti delle vittime furono trasferiti nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno, insieme ad altre migliaia di soldati italiani caduti in Germania.
Per troppo tempo, questa strage è rimasta nell’ombra. Le autorità tedesche avevano poche informazioni sui caduti e per anni si sapeva solo che fossero italiani. Solo negli anni ’80, grazie a una ricerca dell’Università di Kassel, la vicenda è tornata alla luce.
Oggi, dietro la stazione ferroviaria di Wilhelmshöhe, una targa commemorativa ricorda il massacro. Su di essa sono incisi i nomi delle vittime, anche se molti risultano errati o incompleti. Negli ultimi anni, l’apertura di archivi storici ha permesso di ricostruire con precisione l’identità di molti di questi uomini.
Secondo i documenti ufficiali, le vittime furono 84, tra cui:
71 militari,
3 lavoratori civili,
10 italiani non identificati.
La strage di Kassel del 31 marzo 1945 è una delle tante tragedie vissute dagli Internati Militari Italiani (IMI), soldati che dopo l’8 settembre 1943 furono deportati in Germania e costretti ai lavori forzati. Erano uomini abbandonati dal loro Stato, dimenticati per decenni dalla memoria collettiva.
Oggi, ricordarli non è solo un atto di giustizia storica, ma un dovere morale. Perché nessun sacrificio, per quanto taciuto, merita di essere dimenticato.