Nuovo Governo, nuovi eletti all’estero, vecchio problema
In campagna elettorale, tutti i candidati all’estero hanno affermato di volersi occupare, una volta eletti, dei servizi consolari. Ora le elezioni sono finite e siamo curiosi di vedere come i nuovi eletti vorranno affrontare la questione.
Poniamoci innanzitutto la domanda: ma esiste veramente un problema nell’erogazione dei servizi consolari?
Ormai attorno ai consolati si è creata un’aria quasi ammorbata, una sorta di nebbia che rischia anche di offuscare una visione chiara del problema. Nel frattempo, le segnalazioni che giungono in redazione ormai non si contano più.
La critica più ricorrente riguarda i tempi di attesa. Oggi, per ottenere un documento di viaggio e d’identità (Passaporto o Carta d’identità) passano, dal giorno della richiesta di appuntamento alla ricezione del documento, in media tra i sei e gli otto mesi.
Altra critica ricorrente è l’obbligo dell’appuntamento. I consolati indicano a chiare lettere che l’accesso all’ufficio è vietato se si è privi di appuntamento.
Nessuno risponde al telefono! Questa affermazione la potete sentire ovunque incontriate un italiano in Germania.
Non è la prima volta che affrontiamo questo argomento e non è la prima volta che i consoli rispondono. Vediamo pertanto l’altra parte della scrivania (sarebbe meglio dire “della barricata”) come si difende, prima di illustrare i vari aspetti del “problema consolato”:
I lunghi tempi di attesa
I consoli dicono che non c’è niente da fare. Il personale è scarso. Sulla rete consolare in Germania oltre il settanta per cento dei posti disponibili per il personale che viene da Roma resta vacante. Alla richiesta di assumere più personale in loco, la risposta è simile: anche questo contingente ha un tetto massimo e le funzioni attribuibili a questi funzionari sono comunque limitate. Infatti, raramente vedrete un passaporto firmato da un impiegato locale o una procedura di rilascio carta d’identità sotto la responsabilità di un impiegato assunto dal consolato.
Obbligo di appuntamento
La cosa che sembra recare più fastidio alla gente in questa prassi è la parola “obbligo”. È fuori dubbio che qualsiasi servizio regolato con appuntamenti si svolge in maniera più fluida e con maggiori vantaggi per l’utente. Il problema è che l’appuntamento si stabilisce, solo ed esclusivamente, via internet e allora tutti quelli che non hanno accesso all’internet, soprattutto gli anziani, si sentono e con giusta ragione particolarmente frustrati. L’obbligo dell’appuntamento è, tra l’altro, percepito come imposto in maniera ottusa che non prevede cioè urgenze, emergenze, casi eccezionali.
Nessuno risponde al telefono
E anche qui siamo davanti al cane che si morde la coda. Il posto di centralinista nei consolati non esiste più da oltre dieci anni. Le informazioni sui servizi sono affidate alle pagine web delle singole sedi. E qui si ricomincia da capo con coloro che non hanno accesso all’internet, ma non solo. I siti dei singoli consolati non sono proprio dei campionari di chiarezza.
Due metri e due misure: la schizofrenia del MAECI e dei suoi uffici all’estero
La cosa che più indispone i cittadini italiani all’estero è la brutalità con la quale sono obbligati alla digitalizzazione dei propri rapporti con il consolato. Abolita praticamente ogni forma di comunicazione cartacea, telefonica, personale, il consolato obbliga i propri utenti a essere moderni, digitalizzati, informatizzati. Variazione d’indirizzo: online; iscrizione Aire: online; richiesta appuntamento: online. E siamo d’accordo! Ma il consolato è altrettanto moderno e digitalizzato?
I consolati, in realtà, soffocano nelle carte. In ogni ufficio consolare, i cui affitti salgono alle stelle, centinaia di metri quadri sono occupati dagli archivi cartacei!
L’autocertificazione, per esempio, creata oltre trent’anni fa per evitare certificati su certificati non sembra essere del tutto arrivata nei sistemi di lavoro consolari. La digitalizzazione degli archivi? Una volta se ne parlava negli ambienti ministeriali ora non se ne parla nemmeno più.
La burocrazia interna per amministrare un consolato assorbe a sua volta energie tutte sottratte al servizio al pubblico. Un esempio: in un consolato con trenta impiegati, ne troverete più di una dozzina assegnati alla cancelleria consolare che si occupa di contabilità e procedure simili, alla gestione del personale (ferie, malattie, turni ecc.), o in archivio a mettere a posto quintali di carte mentre altri si occupano della segreteria consolare (per gestire e ricordare ai consoli i numerosi impegni e appuntamenti) e altri ancora sono occupati a tempo pieno nel settore culturale per organizzare l’ennesimo assaggio di vino italiano o per ricordarci la nascita e la morte di Dante Alighieri. Oltre il trenta per cento delle risorse del personale si perde in attività di burocrazia interna e in attività che non sono di primaria necessità per i cittadini.
Il Consolato fonte formidabile di entrate all’Erario
I servizi consolari non sono gratis né concessi per cortesia. Una carta d’identità costa quasi 22 Euro, un passaporto 116 Euro, i costi degli altri certificati e carte varie oscillano tra i 5 e i quattordici Euro. Pare strano che a nessun Comites sia venuto in mente di chiedere al proprio consolato: scusate ma quanto incassate all’anno grazie ai servizi che vi chiediamo? La domanda sarebbe utile giusto per stabilire il rapporto tra cittadino e ufficio statale che pretende una sostanziosa quota per il servizio che ti rende. Ci troviamo di fronte a un brutale monopolio? Comunque puoi chiedere il servizio solo al consolato, che a sua volta stabilisce i tempi, i prezzi e le modalità per ottenerli.
Disattenzione dei cittadini e disorganizzazione dei consolati: una miscela esplosiva
Se è vero che i cittadini italiani all’estero hanno il sacrosanto diritto di ottenere un servizio statale rapido e in maniera efficiente, è altrettanto vero che gli obblighi del cittadino italiano all’estero nei confronti dello Stato, qui rappresentato dal consolato, sono spesso sconosciuti, disattesi o percepiti solo come fastidio. Chi di noi si ricorda di registrare tempestivamente il nuovo indirizzo al consolato quando si cambia casa? Eppure questo è un obbligo di legge. Chi di noi provvede in tempi ragionevoli alla registrazione del proprio matrimonio, o divorzio al consolato? Anche questo sarebbe un obbligo e chi ancora si ricorda di registrare presto la nascita di un proprio figlio? Per la stragrande maggioranza degli utenti, il rapporto con il consolato è una via a senso unico. Mi faccio vivo solo se ho bisogno di qualcosa…
I problemi sono alla porta quando ti serve poi la carta d’identità per il bambino mai registrato, quando ti serve il passaporto e l’indirizzo è cambiato da cinque anni, quando ti vuoi risposare e il tuo divorzio non è stato mai registrato in Italia.
La questione dei servizi consolari un problema politico?
Siamo convinti che sia così. La decisione di stanziare più soldi per l’assunzione di più personale non è forse una decisione politica? La decisione di modernizzare la burocrazia consolare è a sua volta compito dei responsabili politici del Maeci. Ma non si tratta solo di soldi e di aggiornamento delle procedure.
L’argomento più politico di tutti riguarda proprio il rapporto con gli italiani all’estero che andrebbe radicalmente cambiato anche per migliorare i servizi che li riguardano.
Innanzitutto va posta la domanda: ma i consolati (soprattutto sul territorio della UE) cosa sono? La risposta è stata già data dai trattati europei e una cosa è chiara: i consolati non sono più rappresentanze dello Stato italiano in territorio straniero (il Trattato di Schengen ha superato il concetto di territorio straniero nell’intera area). Le attività diplomatiche dei consolati sono effettivamente ridotte a zero.
I consolati sono piuttosto uffici amministrativi per l’erogazione di servizi a favore delle collettività italiane del posto. In maniera spasmodica (e a tratti, purtroppo, anche patetica) i consolati ritoccano la propria fotografia con una serie di autoscatti, i selfie, accanto a quelli della cultura, della “promozione del sistema Italia”, e del commercio con azioni spesso dilettantesche, le quali rientrerebbero tuttalpiù nella categoria di “occupazione del tempo libero”.
Ci troviamo davanti alla cura della propria immagine a scapito di una bella figura fatta piuttosto verso i propri connazionali?
Siamo comunque certi che lo scambio culturale, commerciale e turistico tra l’Italia e la Germania non vacillerebbe nemmeno un minuto se domani mattina atterrassero gli alieni e come prima misura contro l’umanità, chiuderebbero i consolati.
Il nuovo Governo Italiano e i Consolati.
Con molta probabilità, la nuova Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si ricorderà di Mirko Tremaglia, il primo e sinora unico Ministro per gli Italiani all’Estero.
Se non se lo ricorda è comunque chiaro che la filosofia del suo partito “Fratelli d’Italia” non dovrebbe avere molta comprensione verso il disordine, il malcontento e i disagi avvertiti dalle collettività italiane e che sorgono proprio all’ombra del Tricolore sulla facciata di un consolato o di un’ambasciata.
Se il nuovo Governo non cade nella trappola della nostalgia “dei nostri figli all’estero” e del “sacrificio italiano in terra straniera” oppure (e questa è la più bella sentita mille volte) “dei veri ambasciatori della nostra cultura e della nostra lingua oltre i confini della Patria”, insomma se mette una volta e per tutte la valigia di cartone con lo spago nel contenitore del riciclabile, allora potrà parlare piuttosto di dignità, di assistenza, di solidarietà e di efficienza nei confronti di cittadini che all’estero chiedono allo Stato semplicemente servizi che solo lo Stato può e deve rendere.
Forse il nuovo Ministro degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale Antonio Tajani (FI) si ricorderà a sua volta dei tempi in cui Silvio Berlusconi era capo del Governo e contemporaneamente Ministro degli Affari esteri. All’epoca furono chiusi diversi consolati e lasciati al loro posto gli “Sportelli Consolari” (che i successivi governi a maggioranza PD soppressero senza pietà). Parliamo della decentralizzazione dei servizi. Forse sarebbe bene riflettere se la formula “Meno consoli, più uffici consolari” sia quella vincente. Berlusconi ci aveva provato e Tajani potrebbe riprovarci con l’apertura di sedi periferiche più vicine alle collettività italiane. E, attenzione, parliamo di sedi periferiche con impiegati in carne e ossa e non certo con personaggi giacca e cravatta “honoris causa”, consoli onorari, che hanno sicuramente una ragione di essere ma non certo dove si concentrano le collettività italiane di vecchia e nuova emigrazione.
E la posizione di Comites e Cgie?
Parliamo per la Germania e con molta probabilità i Comites hanno difficoltà a passare i limiti, a rompere cioè le catene del tre per cento degli aventi diritti al voto che li hanno sistemati sulle loro poltrone.
I Comites in teoria sono “organi di rappresentanza della collettività italiana nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari; operano per l’integrazione della comunità italiana residente nel Paese straniero in cui si trovano”.
Al momento il rapporto di rappresentanza con i consolati sembra però limitarsi a qualche manifestazione in collaborazione con il console, a qualche azione di supporto per stabilire l’appuntamento online e non manca la simpaticissima partita di pallone.
Si tratta però, ed è l’impressione di tanti, di azioni semplici e del tutto apolitiche, che comunque qualsiasi associazione italiana ha già fatto e sarebbe in grado di fare in futuro.
Il giusto valore politico di questi organismi sembra pertanto ancora lontano dalla presa di coscienza dei loro stessi protagonisti.
“Rappresentanza” dovrebbe, infatti, significare altra cosa. Innanzitutto rappresentare ai consoli i bisogni, le esigenze e le aspirazioni della collettività. E qui, purtroppo, diventa doloroso ricordarsi che solo il tre per cento della collettività italiana in Germania ha sentito l’esigenza di farsi “rappresentare” da questi organismi.
Clamorosa è la lontananza dell’intellighenzia italiana in Germania, che ruota su orbite lontanissime dai Comites, i quali cercano invano tra i loro banchi personalità italiane di spicco con ruoli apicali nella società tedesca.
Per quanto riguarda la definizione “operano per l’integrazione della comunità italiana” peggio ancora. Nulla si sente e nulla si vede su rapporti diretti tra Comites e Presidenti dei Länder o Sindaci di grosse città in cui vivono gli italiani.
I tedeschi non sanno cosa siano i Comites e i Comites non sanno come attirare l’attenzione tedesca. I Consoli nemmeno ci pensano a legittimare questo organismo elettivo poiché evidentemente molto preoccupati del proprio ruolo di esclusivi rappresentanti dell’Italia.
Ma qui si parla di servizi consolari ed è pertanto legittimo chiedersi: cosa è riuscito a fare qualche Comites in Germania per migliorare la situazione presso il proprio Consolato? In qualche circoscrizione si registrano Comites che si mettono a fare appuntamenti per coloro che non ci riescono da soli. Una situazione paradossale. Invece di ottenere una minore rigidità del sistema di appuntamenti, gli eletti dagli italiani si mettono al servizio del sistema e ne confermano l’inviolabilità.
Nel frattempo, i sei eletti al Cgie residenti in Germania hanno formalizzato il proprio essere in un gruppo omogeneo, proponendo una voce sola all’interno del Cgie per rappresentare la realtà italiana della Germania.
Il Cgie Germania parte comunque claudicante. Il fatto che nessun italiano residente in Germania sia entrato in Parlamento sicuramente non dà maggiore forza agli argomenti “tedeschi” da rappresentare in sede plenaria del Cgie.
Il Cgie/Germania ha comunque annunciato che si farà sentire a Roma e evidentemente sta aspettando solo l’occasione giusta.