Doppia cittadinanza, un modo per rafforzare la democrazia
Intervista ad Aurelio Marrelli, che dopo aver vissuto oltre 45 anni in Germania ha deciso di prendere la cittadinanza tedesca
La riforma sulla cittadinanza tedesca riduce il tempo dell’iter. Difatti, per la pratica standard, si potrà fare richiesta già dopo cinque anni di residenza in Germania invece di otto. Per molti italiani che risiedono in Germania da molto tempo, questa riforma potrebbe essere un motivo in più per fare il passo verso la doppia cittadinanza. Aurelio Marrelli, che vive nei dintorni di Karlsruhe dal lontano 1977, ha finalmente deciso: “Voglio anche la cittadinanza tedesca”.
Ci racconti un po’ di Lei…
Correva l’anno 1973, quando mio padre rifiutò per motivi personali di continuare a lavorare per un cosiddetto “principale”, un proprietario terriero nella zona in cui vivevamo, a Mazzarrone, in provincia di Catania. Questo rifiuto, più o meno spontaneo e non dettato dalla ragione, fece sì che la nostra famiglia non rientrasse più in un circolo di benefici sociali, ad esempio riguardo l’assistenza medica, perché mio padre perse l’impiego. Funzionava così in Sicilia fino a quegli anni. Se non facevi parte di un giro ristretto di persone, valevi poco o nulla. Inoltre, la situazione peggiorò ulteriormente, quando entrai a far parte della FGCI. La mia decisione aggravò la situazione, perché essere dichiaratamente comunista in quegli anni in Sicilia, voleva dire far parte di una minoranza politica. Erano i tempi in cui dicevano che “i comunisti mangiavano i bambini”. E, infatti, nel 1977, quando frequentavo il quarto anno dell’Istituto tecnico commerciale di Caltagirone, i miei genitori decisero di andare a trovare mia sorella qui per capodanno. Ma fu solo un espediente per portarmi in Germania. Rimanemmo qui e io non ebbi l’opportunità di fare la maturità. Fu un trauma che mi porto dietro fino ad oggi. Le mie scarpette di calcio, i miei amici d’infanzia, i miei amori: dovetti abbandonare tutto. E dunque iniziai a lavorare in Germania come operaio nei cantieri fino ad arrivare alla posizione attuale come amministratore commerciale in un’azienda edile molto rinomata qui a Karlsruhe.
Cosa ti ha spinto a dire finalmente “sì” alla cittadinanza tedesca?
È stato un percorso lungo, una scelta maturata negli anni. All’inizio della mia permanenza in Germania, quando ero ragazzo di 17 anni, mi sentivo prettamente “italiano”, ero orgoglioso dei nostri colori, della maglia della nostra nazionale di calcio, della cultura del mio paese di origine. Era pressoché impensabile indossare una nuova identità. Credo che la stessa cosa sia successa a molti italiani. Era, se vogliamo usare una parola ormai fuori moda, una sorte di orgoglio, un orgoglio che si cristallizza e non ne puoi fare a meno. Poi passano gli anni, fai nuovi incontri, ti sposi, metti su famiglia, hai figli meravigliosi che si trovano benissimo in questo paese e inizi a riflettere. Con queste riflessioni nasce una specie di consapevolezza sociale. Poi magari, come nel mio caso, il tuo modo di essere viene apprezzato nel mondo lavorativo, fai carriera, prendi delle responsabilità, e, dunque, ti accorgi di assumere caratteristiche che non consideravi tue. Puntualità, responsabilità, lo spirito si sacrificio nel lavoro, insomma quella che prima era soltanto una questione di pancia diventa, con gli anni, una questione di testa, una forma di responsabilità sociale. E adesso, dopo tutti questi anni, non voglio essere soltanto un cittadino di serie B.
Ma cosa vuol dire cittadinanza?
Lo dico francamente: per me è soprattutto un modo pratico per prender parte alla vita politica del paese in cui vivi, in maniera concreta con la possibilità di votare e farsi votare. Non è un caso che poche settimane fa mi sono iscritto nella Spd, qui nel piccolo comune di Karlsdorf dove abito. Saranno le prossime elezioni del 9 giugno, le comunali, alle quali parteciperò attivamente come candidato.
E dove si sente a casa, in Italia o in Germania?
Io ho una grande fortuna, mi sento a casa sia in Italia che in Germania. In tutti e due i paesi ho degli affetti, e questo è un valore immenso che abbiamo noi emigrati. Però dobbiamo essere capaci a vivere entrambi le identità. Vedo, oramai, in me anche un’identità tedesca, soprattutto ne campo professionale, ad esempio nel modo di approcciarmi al lavoro: “Erst die Arbeit, dann das Vergnügen”, come dicono qui. Spero, però, di essere riuscito a mantenere delle cose tipiche italiane, come ad esempio nella professione una certa inventiva e la spontaneità, la gentilezza in ogni attimo e con tutti.
Cosa cambierà con la doppia cittadinanza?
Apparentemente poco, in sostanza molto. Avrò la responsabilità di andare a votare. Il voto è una colonna portante della democrazia. Invito tutti gli italiani a fare la stessa coca, per poter contribuire con il proprio voto ad una migliore democrazia, perché secondo me il voto che noi abbiamo in Italia influisce poco visto che viviamo in Germania. È meglio, secondo me, votare lì dove vivi, dove ti muovi, dove puoi cambiare le carte in tavola.