… la guerra in Ucraina e continua con impegno e volontà la spola per portare aiuti direttamente in Ucraina (vedi galleria fotografica. Archivio personale di don Petro) come fanno da Wolfsburg don Petro Hutsal e del suo confratello Oleksandr.
„È brutto dirlo ma tanti si sono abituati a questa guerra. Quando suona l’allarme sirena, perché stanno arrivando razzi o aerei che sganciano bombe, la gente non reagisce più e continua a fare quello che sta facendo“ (don Petro Hutsal)
Più di un milione sono i profughi ucraini che vivono in Germania dall’inizio della guerra. Le città tedesche, insieme a volontari e associazioni locali danno sostegno. Recentemente a Francoforte il centro Ukrainian Coordination Center e.V. ha ricevuto il premio di integrazione e diversità per il lavoro svolto di sostegno e accoglienza dei profughi. Ma ci sono anche i milioni di profughi interni all’Ucraina che si allontanano dai luoghi di guerra. Un paese in guerra ha bisogno di tutto (Udep).
Don Petro Hutsal, missionario della comunità cattolica italiana di Wolfsburg, per puro caso non era in Ucraina al momento dell’invasione russa (leggi: A causa di un albero non sono in Ucraina), un viaggio che aveva programmato da tempo ma che il maltempo impedì. Il suo confratello, pastor Oleksandr Lavrentiev, vice parroco della parrocchia Sankt Christophorus di Wolfsburg, invece, in visita in quei giorni nel suo Paese, ci è rimasto bloccato. Da quel fatidico 24 febbraio 2022, giorno dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni non hanno più potuto lasciare il Paese: devono essere a disposizione per una chiamata alle armi anche se sono preti o religiosi.
Di questa sorte don Petro e pastor Oleksandr hanno fatto un’opportunità per fare da spola, avanti e indietro, per portare aiuti in Ucraina. “Avevamo acquistato due furgoni abbastanza grandi per trasportare anche mobili, letti di ospedale” – racconta don Petro che con alcuni volontari porta le cose fino al confine e poi da lì pastor Oleksandr le prende in consegna e le porta a destinazione. “Oppure viene lui, carichiamo il furgone e si riparte” – prosegue don Petro.
“Pastor Oleksandr deve sempre chiedere il permesso allo Stato per uscire. Riesce a venire perché è vice parroco a Wolfsburg, ma sta più a lungo in Ucraina che in Germania”.
C’è sempre questa catena di aiuti iniziata all’indomani dell’inizio della guerra? Che cosa portate? Dove li portate? Che cosa è cambiato?
Adesso la raccolta aiuti è diminuita anche perché è diminuito il coinvolgimento emotivo rispetto all’inizio. Portavamo gli aiuti a Charkiv (vicino al confine con la Russia) città, ogni giorno sotto i bombardamenti. Oggi portiamo ancora qualcosa a Charkiv e a Cherson (nel Sud del Paese fra Odessa e la Crimea) dove c’è la guerra ma ultimamente andiamo meno lì. Cerchiamo di aiutare le persone che dalle zone di guerra si sono trasferite nella parte centrale del Paese. C’è carenza di letti di ospedale. In Germania vengono eliminati letti che non rispondono agli standard richiesti qui e li portiamo in Ucraina. Poi portiamo generatori elettrici, mobili, sedie. Siamo in tanti a collaborare: la parrocchia tedesca, la comunità italiana, i miei confratelli ucraini qui. Il coordinamento con le parrocchie in Ucraina lo fa il mio confratello rimasto là.
Quali sono i racconti che ti arrivano dall’Ucraina, da familiari e amici?
È brutto dirlo ma tanti si sono abituati a questa guerra. Quando suona l’allarme sirena perché stanno arrivando razzi o aerei, che sganciano bombe, la gente non reagisce più e continua a fare quello che sta facendo. Prima le persone scappavano nelle cantine invece adesso sono stanche e assuefatte, purtroppo, e si continua a vivere così. Poi arrivano sempre notizie di funerali, ogni famiglia ha perso qualcuno. Personalmente ho perso uno zio e un cugino, soldati caduti in guerra.
Ma la gente che cosa dice? Vuole continuare la guerra?
Penso che dal punto di vista umano nessuno voglia combattere. Si ha paura. Ma gli ucraini si sentono in dovere di continuare a combattere altrimenti l’Ucraina non esisterà più, non esisteranno più le nostre tradizioni, le nostre famiglie, le nostre città, così come sono. Altrimenti ci sarà una pace che è un silenzio di morte. L’aggressore non si ferma. Parla della pace ma ha nessuna intenzione di smettere con questa guerra e purtroppo dovremo continuare a combattere.
Questo ha un prezzo di sofferenza indicibile. Don Pedro mi mostra un video che sta girando in questi giorni sui social dove una giovane vedova incinta va al cimitero per far sapere al marito caduto combattendo che sarà femmina. I social a modo loro moltiplicano la partecipazione al lutto e fanno conoscere quello che accade ogni giorno.
Le donne con bambini piccoli mi dicono che ogni mattina sono in ansia per ricevere un messaggio del marito, per far sapere loro che è vivo. Vengono da me in tanti a cercare conforto; sono cattolici, greco-cattolici, ortodossi, indipendentemente dalla confessione di appartenenza.