La Farnesina procede con la digitalizzazione. Gli italiani all’estero fanno fatica a starci dietro
Forse è solo un problema di generazioni. Cambia la tecnologia e la gente fa fatica a tenere il passo. Sono però trascorsi quasi trent’anni da quando la Farnesina, con i suoi consolati all’estero, si affacciò sulla digitalizzazione dei servizi.
Pochi lettori ricorderanno Alfredo Mantica, sottosegretario agli esteri, quando s’inventò il “totem” che era una specie di colonnina alle entrate dei consolati, con la quale i connazionali digitavano i propri dati e le proprie richieste per un servizio.
I totem sparirono, e Alfredo Mantica pure, ma la Farnesina non si scoraggiò. Fu creato il SIFC- Sistema Integrato Funzioni Consolari-, uno strumento a disposizione dei consolati veramente utile e prezioso. Una sorta di banca dati, con cui l’operatore può accedere ai vari servizi, alle informazioni sull’utente e alla comunicazione diretta con le altre banche dati italiane.
Poi fu la volta del FAST-IT -Farnesina Servizi telematici Italiani all’Estero- con il quale il connazionale può iscriversi all’AIRE e può accedere, via internet, ai propri dati e chiederne la variazione come il nuovo indirizzo, il cambiamento dello stato civile e via dicendo.
Infine, PrenoT@ami, che è il sistema di richiesta appuntamenti con il consolato “comodamente” da casa.
Ora è la volta di Chatbot, un sistema di comunicazione che accoglie le domande degli utenti e fornisce risposte preconfezionate.
Non si può dire, pertanto, che la Farnesina stia dormendo per quanto riguarda i vari tentativi di modernizzare i suoi servizi all’estero.
Tentativi, appunto. Infatti, ciò che salta all’occhio è lo scarsissimo effetto che questa digitalizzazione dei servizi consolari ha sulla percezione di una reale facilitazione della vita dell’utente nei confronti dell’amministrazione.
In netto contrasto sono l’enfasi con la quale il nostro Ministero degli Affari Esteri annuncia le sue ultime soluzioni telematiche e lo scetticismo con il quale la comunità italiana all’estero le accoglie.
Qui c’è qualcosa che non va. Non si spiega come mai ogni nuova idea per modernizzare la burocrazia italiana all’estero sia accolta piuttosto come un ostacolo e mai con entusiasmo.
È un problema di generazione? È un problema di mentalità? È un problema di comunicazione?
Una cosa è certa e cioè che la digitalizzazione non ha raggiunto (ancora?) i suoi obiettivi che dovrebbero essere quelli di facilitare la vita dell’utente, di velocizzare i servizi e di comunicare meglio.
Dove sta, infatti, la differenza tra oggi e trent’anni fa?
Trent’anni fa mi presentavo al consolato alle otto del mattino, mi mettevo in fila con la sigaretta in mano, mi facevo la chiacchierata con l’amico incontrato per caso, riempivo un formulario con la penna a biro, e dopo due ore e mezza me ne andavo a casa per tornare dopo una settimana a ritirare il documento. Oggi le due ore e mezza le perdo spesso davanti al PC per chiedere un appuntamento che mi viene dato dopo otto mesi. Il formulario lo compilo online. Online significa che, se non capisco una domanda, davanti a me non c’è nessun essere umano che me la spiega. Ma, l’effetto peggiore è la crescente perdita di ogni riferimento personale tra soggetti che lavorano per rendere servizi e soggetti che li chiedono. E questo, sia ben inteso non è un problema che riguarda solo i consolati. Tutta l’amministrazione italiana, europea e mondiale digitalizza i suoi servizi. Così è, punto e basta. È un processo irreversibile. La risposta “Mi dispiace ma lei non è registrato nel sistema” è demoralizzante ed è possibile riceverla in ogni parte del mondo. Il che significa che, se il computer non mi riconosce, io non esisto. Gli appuntamenti online non riconoscono concetti come urgenza, emergenza, disgrazia, paura.
La digitalizzazione non ha sentimenti, sensazioni e umanità. Un filosofo tedesco, mi pare si chiamasse Heidegger, ha messo in guardia tutti contro la tecnologizzazione della società. Secondo lui, dopo che la tecnica ha invaso il nostro modo di vivere, il bosco e la foresta perdono l’incanto e diventano una semplice riserva di legna da ardere mentre i fiumi si privano del fascino della natura e sono ora semplici masse d’acqua per ricavare energia elettrica. E il consolato? Il luogo che era la “casa degli italiani” dove “il tricolore sventola con orgoglio in terra straniera” dove “mi rifugio” se sono perseguitato all’estero”?
Cosa diventa il consolato? Un posto dove farmi una bella chiacchierata con Chatbot? Speriamo di no.