Nella foto: Alberto Soldi nella scena del film: Un americano a Roma

Ovvero: breve rassegna di epiteti, offese e nomignoli vari sentiti in Germania dal 1950 ai giorni nostri.

Breve premessa: Il francese obbligatorio, il tedesco una passione.

Sono venuto in Germania all’età di tredici anni.

Avevo frequentato a Napoli la prima media, lingua straniera facoltativa inglese o francese. Scelsero per me, inguaribili romantici del mio nucleo familiare, il francese.

Poi frequentai solo una parte della seconda media, lingua straniera obbligatoria il francese e poi io a scuola non ci andai più.

Fui espulso dalla scuola media Nicola Nicolini per aver commesso un attentato all’incolumità fisica della professoressa d’Italiano.

Il piano dell’attentato era ideato in realtà proprio contro la professoressa di francese, Signora Cafiero, ma era ormai assente da mesi ed io ero impaziente come tutti gli adolescenti.

Scoprii un negozietto nel mio quartiere che vendeva fialette puzzolenti. Dovetti promettere solennemente alla negoziante (di cui ero anche un poco innamorato) di non dire a nessuno dove avessi acquistato quella tossica schifezza e ne comprai tre.

 Le piazzai tutte e tre in classe durante la lezione di italiano. Al mio comando, i miei due complici le spaccarono sotto i banchi.

Una puzza di uova marce invase l’ambiente, provocando malessere e vomito. Malessere e vomito anche dell’insegnante d’italiano, mia vittima di seconda scelta e al settimo mese di gravidanza.

Chiamarono l’ambulanza. La signora si sentì molto male. Di fronte alla minaccia di sospendere tutta la classe, mi dichiarai colpevole ed unico responsabile del misfatto. Fui sottoposto a un duro interrogatorio.

 Non volli dire dove avevo comprato le fiale che, nel frattempo, sono proibite dalla legge, aggravando così la mia posizione in quanto “omertoso” pur se reo confesso.

Le mie conoscenze del francese si interruppero così. Mi orientai allora, e con maggiore passione, verso il tedesco.

A quell’età conoscevo comunque più vocaboli tedeschi che francesi.

Negli anni Sessanta, infatti, il cinema offriva una serie di film, di solito americani, con cui erano raccontati fatti di guerra sempre con lo straordinario eroismo angloamericano e sempre con la grande cattiveria dei soldati tedeschi.

 Nello stesso tempo, circolava una serie di fumetti ambientati nei fronti della guerra mondiale. Inglesi e americani eroi al massimo. I tedeschi perfidi e spietati nel peggiore dei modi.

A un certo punto, in ogni film e in ogni fumetto, i soldati tedeschi parlavano.

 Parlavano per così dire, si limitavano piuttosto a brevi comandi urlati con la voce roca e col mitra spianato: Raus! Schnell! Feuer! Vorwärts! Komm!

Per farla breve, io venni in Germania e avevo già le basi per un buon apprendimento del tedesco.

Italiano? Badoglio!

Questa fu ovviamente un’ottimistica illusione giacché, appena giunto in Germania, il due di febbraio del 1970, ed inserito nella scuola tedesca, retrocesso, cioè, alla quarta elementare, la prima parola a me sconosciuta e che imparai fu un cognome italiano: Badoglio!

Fu Armando Esposito, napoletano e amico di mio padre, a spiegarmi cosa significasse Badoglio e perché ai tedeschi, come i miei compagni di classe, piaceva tanto titolarci così.

Badoglio Pietro fu quel Generale taliano che l’8 settembre 1943 firmò la resa con gli americani. L’armistizio non fu gradito ai tedeschi che si sentirono traditi dall’alleato italiano. Armistizio uguale tradimento, Badoglio uguale traditore.

Niente male come primo approccio all’apprendimento del tedesco. All’età di tredici anni, appena arrivato in Germania, fui ribattezzato “Badoglio”, cioè traditore ed era solo l’Inizio.

Italiano? Itaka!

Veramente la storia dell’italiano traditore, pessimo combattente e un po’ codardo e anche opportunista era già diffusa in Germania sin dai tempi della Prima guerra mondiale. A quanto pare, dal punto di vista tedesco, anche in quel periodo gli italiani avevano voltato le spalle, prima alleati e poi nemici. Furono, a quanto pare, gli austroungarici a coniare il termine di “Itaka”, liberandosi dalla pronuncia berlinese Itaker, abbreviazione militaresca di “Italienischer Kamerad”, e lamentandosi contemporaneamente delle treulose Tomaten”, i pomodori sleali, ovvero gli alleati italiani che nella Prima e Seconda guerra mondiale cambiarono fronte.

Italiano? Absätze vorne!

La ormai mitica vigliaccheria del soldato italiano era descritta anche nel suo abbigliamento, per essere precisi nella fattezza dei suoi stivali che, secondo i tedeschi, avevano i tacchi in avanti, Absätze vorne, appunto. Che significa? Significa che la direzione di marcia è sempre in direzione dei tacchi e cioè in fuga, a marcia indietro. E, a proposito di marcia indietro, durante una visita di Stato in Italia, sull’aereo con svariati giornalisti, il Cancelliere Helmut Schmidt asserì divertito che i carrarmati italiani sono muniti, come tutti i carri armati, di quattro marce, però, a differenza degli altri, con tre retromarce e una sola marcia avanti. Misteri della meccanica italiana dal punto di vista anseatico.

Italiano? Spaghettifresser! 

In tedesco con il verbo “essen”, mangiare, si esprime l’azione del cibarsi da parte dell’essere umano. Con il verbo “fressen”, però, si indica sempre l’atto del mangiare ma da parte degli animali. E qual è il cibo preferito dagli italiani? Ma gli spaghetti naturalmente! E gli italiani non sono molto simili alle bestie dal punto di vista tedesco xenofobo? E allora? E allora: Spaghettifresser! Un animale, cioè, che si ciba solo di spaghetti, al sugo, carbonara o aglio e olio che sia, ma sempre e solo spaghetti. Dalla mattina alla sera, a colazione e a cena.  

Ora voi non ci crederete ma quando venimmo in Germania nel 1970, mica si poteva andare al supermercato e comprare un pacco di pasta, che so… spaghetti, rigatoni o fusilli? Macché! Tutta roba esotica. Tuttalpiù si trovavano delle confezioni di pasta all’uovo, cioè di Spätzle, un tipo di pasta tedesca completamente diversa da quella nostra.

 Come sopravvivere dunque? La salvezza si trovava in Francia, subito dopo la frontiera con il Saarland. L’oasi incantata nel deserto alimentare si chiamava Forbach, un paesino di minatori in cui prosperava Rocchi! Rocchi il negozio italiano che vendeva addirittura la pasta sfusa in grossi contenitori di legno sistemati negli scaffali.

Secondo me, il fondatore della ditta Rocchi si è meritato un posto in Paradiso Honoris Causa e per acclamazione di tre generazioni di emigranti italiani residenti in Saarland, Lorena e forse anche in Alsazia.

Italiano? Spatzenfresser!

Rimaniamo alle consuetudini alimentari. Spaghettifresser sì, ma non solo. Questi si mangiano pure i passerotti… Spatzenfresser, appunto!

Polenta e osei, questo è il problema. Polenta e osei è una ricetta tipica del Veneto a base di polenta e uccellini, in particolare beccafichi, allodole, tordi o pettirossi, cotti allo spiedo sul fuoco del camino o in padella, e insaporiti con lardo, burro e salvia. Insomma, mettiamoci nei panni dei nostri amici tedeschi notoriamente amanti degli animali, del bosco e della natura. La notizia che nel nord Italia esiste una tradizionale ricetta con la quale sono serviti i pettirossi, ha nell’animo tedesco lo stesso effetto di quando si vede il documentario alla televisione che mostra come in Tailandia sono servite le cavallette fritte. Che schifo! L’avversione dei tedeschi verso l’uccisione degli uccelli, e non solo a scopo alimentare, raggiunse il culmine negli anni 70 quando il quotidiano Bild lanciò una campagna dal titolo “Non fate vacanze nel Paese dove assassinano gli uccelli”. La caccia sfrenata e disordinata in Italia, a scapito degli uccelli migratori che dalla Germania partivano per le zone calde dell’Africa settentrionale, scandalizzò i tedeschi. Il dramma in tutto ciò? Io non ho mai mangiato un uccellino in vita mia!

In Germania emigrarono negli anni 50-60 prevalentemente siciliani, calabresi e campani che sulla loro tavola non mettevano né polenta né uccellini. Eppure, noi meridionali ci siamo beccati tutta la discriminazione e titoli offensivi per una consuetudine alimentare che riguardava solo quelli del Nord. Io penso che la “Lega Nord”, partito storicamente separazionista, dovrebbe risarcirci i danni morali subiti all’estero… a noi tutti italiani emigrati da Roma in giù.   

Italiano? Zitroenenschüttler!

Ovvero non solo sei un forestiero ma sei anche un campagnolo rozzo e ignorante! Eppure, Goethe scriveva, pieno di entusiasmo: “Kennst du das Land, wo die Zitronen blühen?” Conosci il Paese dove fioriscono i limoni… ora la fantasia tedesca, xenofoba come non mai, pensò di associare questo pensiero sublime ad un nuovo epiteto: “Zitroenenschüttler”, cioè, scuoti i limoni. Che significa? Significa che nella fantasia tedesca l’italiano medio, prima di emigrare nella grande e industrializzata Germania, era occupato dalla mattina alla sera con lo scuotere alberelli di limone per farne cadere i frutti dai rami e raccoglierli. Cosa c’è dietro questo epiteto, tra l’altro uno dei più simpatici tra i nomignoli appioppati agli italiani? C’è un dramma vero. L’emigrazione italiana verso il centro Europa fu un’emigrazione in doppio senso e cioè non solo da un Paese, una Nazione all’altra ma anche dalle campagne alle città. La sofferenza fu duplicata, considerato che la prevalenza degli immigrati proveniva da centri agricoli per essere catapultati in una brutale realtà fatta d’industria pesante, in cui tutte le esperienze accumulate, tutto il sapere antico attorno alla lavorazione della terra non valevano più nulla. In un colpo, gente con decenni di esperienza lavorativa in agricoltura era retrocessa al grado di analfabetismo professionale giacché sino ad ora semplicemente e stupidamente occupati con lo scuotere alberelli di limone…

Italiano? Mausfallenhändler!

Venditore di trappole per topi! E pare che questo epiteto sia antichissimo ed abbia una sua spiegazione storica giacché dopo la Guerra dei trent’anni, 1618 -1648, effettivamente in Germania giunsero anche dall’Italia settentrionale moltissimi uomini dediti alla vendita di articoli più svariati. La specializzazione nella costruzione di trappole per ratti e topi coincideva con una richiesta molto alta in un periodo in cui il centro Europa era flagellato da un’infestazione di ratti e soprattutto i commercianti provenienti dall’Ungheria e altri Paesi dell’Est si erano specializzati nella lavorazione rudimentale di piccole lamiere. Però il termine di Mausfallenhändler vuole esprimere un concetto più ampio che è quello di venditore di merce infima e di scarso valore artigianale.

Secoli dopo, negli anni Cinquanta, l’Europa centrale fu effettivamente invasa da un esercito di commercianti di merce di scarsa qualità e ben contraffatta, solitamente pellame e maglieria, con il Quartier Generale in Campania. Era l’inizio dell’invasione dei “Magliari”, l’inizio dei pacchetti, l’inizio del termine “fare il pacco” come sinonimo di truffa.  

Italiano? Mafia!

Anni Settanta. Al cinema esce “Il Padrino”. I tedeschi hanno modo di vedere, dal buco della serratura, come una famiglia italiana emigrata in America si specializza, perfettamente organizzata, in omicidi a scopo di lucro e potere.

Ovviamente, la parola Mafia è ricorrente anche nella cronaca di tutti i giorni di quegli anni. I tedeschi associano il termine “mafioso” all’essere italiano e il tutto torna a galla con la strage di Duisburg nel 2007. La brutalità italiana era già parte dell’immaginario tedesco quando negli anni Sessanta in Germania l’una o altra rissa finiva a coltellate. I tedeschi coniano il termine di “Italiener Messerstecher”, italiano pugnalatore, per indicare quel nostro paesano che terminava una semplice e schietta scazzottata tirando fuori il coltello.

 È triste costatarlo ma l’unico termine che all’orecchio italiano costituiva meno offesa degli altri, e percepito anzi come una sorta di complimento velato, era proprio il termine “mafioso”. E perché? Forse perché è meglio essere temuto che disprezzato. E se il disprezzo razzista è accompagnato da un sentimento di paura da parte di chi lo esterna, ebbene allora è meglio sopportato.  

Italiano? Tricko-Tracko in baracco!

E la sessualità? La sessualità ha svolto un ruolo cardine nel tentativo xenofobo di bollare il maschio l’italiano che, nell’imaginario tedesco, essendo di bassa statura, è dotato di un pene di minuscole dimensioni, esercita l’atto sessuale in maniera sbrigativa e poco raffinata ed è campione del mondo di eiaculatio precox.

“Tricko-Tracko” sta per l’atto sessuale, “in baracco” poiché è lì che, prevalentemente, si svolgeva il servizio… nelle baracche degli emigranti.

Ho trattato il tema nella mia poesia “Im Bordell” e nella mia novella “Giovanni e la domanda”. 

Invito a notare che, mentre sono state scritte cataste di libri sulla cultura, lingua e sociologia d’emigrazione, mai è stata sottoposta a uno studio serio e scientifico la sessualità in emigrazione.

 Considerate quel è stata la vita sessuale degli emigrati anni Cinquanta- Sessanta, quel è stato il processo di fondazione delle famiglie nell’ambito degli emigrati, come ci si conosceva, come ci si sposava, come si viveva, soprattutto da parte delle ragazze, la sessualità a cavallo tra due culture, quella di origine (bigotta e repressiva) e quella di accoglimento (apparentemente libera e aperta).  

Italiano? Bunga, Bunga!

A me non è mai capitato di essere presentato a una persona in Germania che mi abbia individuato come italiano e che mi abbia accolto con un “Ahh… Italiano? Dante Alighieri!”, oppure “Ahh… italiano? Leonardo Da Vinci!”. Mi è capitato però di sentire: “Ahh. Italiano? Bunga, Bunga!”.

Con “Bunga, Bunga” erano descritte le cosiddette “cene eleganti” organizzate dal Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Sembra che a queste cene partecipassero anche giovani donne che con balli e atteggiamenti, più o meno erotici, si intrattenevano e intrattenevano ospiti illustri e meno illustri.

Quando saltò fuori che una di queste ragazze era minorenne, la questione passò dal dubbio sulla correttezza morale delle feste al dubbio sulla legalità dello svolgimento dei banchetti.

La magistratura indagò e nel corso degli interrogatori emerse che gli inviti a questo tipo di incontri conviviali era descritto come invito al “Bunga, Bunga”.

Apriti cielo! In Germania tutti i pregiudizi nei confronti degli italiani maschilisti, praticanti il sesso a pagamento, spregiudicati e amorali trovarono la più simpatica delle etichette: “Bunga Bunga”, appunto.

Riassumiamo, infine, tutti i pregiudizi tedeschi che anticipavano ogni incontro con gli italiani.

Gli Italiani sono:

  1. Pessimi soldati, traditori, opportunisti;
  2. Retrogradi, poiché provenienti da una società non industrializzata;
  3. Dediti ad abitudini alimentari barbare e bizzarre;
  4. Scarsamente dotati sotto l’aspetto sessuale;
  5. Delinquenti senza scrupoli e ben organizzati.

Concludo: la xenofobia ha un suo linguaggio ed ha bisogno di termini precisi.

Sigmund Freud parla di Xenofobia come processo di identificazione dell’individuo in un gruppo, che si accompagna al pregiudizio negativo nei confronti degli altri gruppi e dei loro membri.

Identificazione dell’individuo, dello straniero.  E come identifico lo straniero? Gli do un nome, gli appiccico un’etichetta (tristemente nota la stella di David cucita sui cappotti) che lo distingue, gli metto un marchio e mi scarico da ogni responsabilità e fatica necessari per conoscerlo meglio, per capire le sue realtà.

Freud collega lo spirito di gruppo e l’avversione per lo straniero all’ostilità, generata da un sentimento di minaccia e di abbandono, con cui il bambino accoglie i fratelli che sembrano sottrargli l’affetto e le cure dei genitori.

Si parla anche di crisi dell’ottavo mese, età in cui i bambini cominciano a mostrare segni di insofferenza nei confronti degli estranei, dei non appartenenti al suo gruppo primordiale.

Che vi devo dire? Cerchiamo di crescere, di superare la crisi dell’ottavo mese perché restare fermi a quella fase di crescita, come alla fase anale, a quella orale o genitale sarebbe, a dir poco, fatale e comunque sintomo di una pessima crescita, di una pessima riuscita sulla via per diventare persone adulte, ragionevoli e coscienti. In poche parole, sulla via per diventare umani nel senso universale della parola. 

 Spero che i nostri figli s’incontrino oggi, diversamente a quello che è capitato a me e a molti di noi, con la domanda: italiano? Oh… raccontami di te!