Festival del cinema italiano a Francoforte, bilancio positivo
Malgrado la concorrenza da parte del campionato mondiale di calcio, il festival del cinema italiano che torna per la 28ma volta al Filmmuseum di Francoforte (DFF) ha segnato pieno successo di pubblico dimostrando la sua perenne vitalità. Anche quest’anno si è svolto sotto il patronato del Consolato Generale di Francoforte in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia, della società Made in Italy di Roma e la Casa di Cultura di Francoforte. Il console di Francoforte Andrea Samà e il dr. Andreas Beilharz del DFF hanno tenuto i discorsi inaugurali in assenza della direttrice dell’IIC di Colonia.
Welcome Venice che ha inaugurato la rassegna, è un dramma familiare che sfiora la tragedia, ed è connesso con lo spopolamento progressivo e inarrestibile di Venezia. Non è un problema solo della città lagunare: dovunque i centri storici si stanno svuotando di residenti, però a Venezia questo fenomeno è particolarmente evidente anche per l’estrema discontinuità fra il centro storico e la terraferma: se l’EUR è ancora Roma, Mestre non è più Venezia. Il povero pescatore Pietro (Paolo Pierobon), che vive dei granchi della laguna rivendendoli al mercato, vuole ad ogni costo continuare a vivere nella vecchia casa a fior d’acqua che ha ereditato dal padre, mentre il fratello e coerede Alvise (Andrea Pennacchi) vuole farlo sloggiare per trasformare quegli spazi squallidetti in un lussuoso cottage per turisti stranieri. Il contrasto fra i due diventa sempre più acceso, ma il regista Andrea Segre evita il fratricidio finale per modulare a sorpresa su un tono satirico.
Il film più atteso s’intitola semplicemente Nostalgia, ma non ha nulla a che vedere con l’omonimo film di Tarkovskij. Il protagonista di nome Felice, superbamente interpretato da Pierfrancesco Favino, soggiace passivamente a questa illusione sentimentale ritornando dopo 40 anni di assenza nel napoletanissimo Rione Sanità. Quindicenne, era dovuto fuggire all’estero per sottrarsi alla giustizia, e quivi aveva fatto fortuna quale imprenditore edile. Guidato dai suoi ricordi di gioventù, Felice cerca di ritrovare la vita passata, ma subisce una delusione dopo l’altra. Il suo bell’appartamento è stato venduto a sconosciuti e sua madre, ridotta a una povera e vecchia vedova, vive in uno squallido basso e muore poco dopo averlo riabbracciato. Il suo amico del cuore Oreste, è diventato un terribile e inavvicinabile boss della camorra soprannominato Malòmm. Tutti gli consigliano di andarsene, di tagliare la corda, di tornarsene al più presto da dove era venuto, ma Felice resta legato alla sua nostalgia, fino a comprarsi casa sul posto, a fare comunella con un parroco antimafia ed a voler incontrare di persona Oreste-Malòmm. Che colloquio squallido fra i due! Lo spettatore trascorre gli ultimi dieci minuti della proiezione nell’attesa che Felice venga assassinato dalla camorra; cosa che si verifica puntualmente nell’ultima sequenza. Benché questo film per la sua eccellenza artistica sia candidato all’Oscar, dubitiamo molto che lo vincerà, perché gli americani non lo capiranno.
Un altro film ambientato a Napoli e che parla di una relazione tossica è Lacci di Daniele Lucchetti; anche qui i personaggi sono incapaci di sciogliere dei vincoli affettivi ridotti a fossili viventi. Ancora a Napoli, nei quartieri spagnoli, è ambientato Il bambino nascosto di Roberto Andò, con Silvio Orlando nei panni di un anziano e solitario insegnante di pianoforte che deve vedersela con la camorra.
Il legionario è l’opera prima di un giovane regista di origine bielorussa Hleb Papou, immigrato in Italia nel 2003, e si può considerare una rilettura in chiave multietnica del film „ACAB“ di Stefano Sollima, ma ha in più da offrire una descrizione realistica dei rapporti sociali all’interno di un edificio occupato a Roma senza schierarsi ideologicamente né per il buonismo di sinistra né per la xenofobia di destra. Buona anche la scelta degli attori, tutti sconosciuti, fra cui il protagonista Germano Gentile, un ex-buttafuori da discoteca.
Freaks out di Gabriele Mainetti è un’avventura semiseria nella Roma sotto l’occupazione nazista nel 1943, i cui protagonisti sono artisti di un circo simili a pagliacci felliniani immersi in situazioni degne del farsesco film francese Tre uomini in fuga con Louis de Funès (1966). Innumerevoli le citazioni che lo arricchiscono come abbellimenti barocchi, da Roma città aperta a Guerre stellari, a Schindler’s List, a 007 Octopussy ecc. ecc, ecc. Anche i perversi nazisti sono stilizzati come figurine fumettistiche, così che tutta la pellicola, della durata di 2 ore e mezza, è un susseguirsi di „numeri da circo“ non sempre ben concatenati fra loro. Notevoli gli effetti speciali (Minetti ha studiato regìa in America) e la bravura degli attori, fra cui letteralmente brilla la giovane Aurora Giovinazzo.
Di film che si svolgono nell’interno degli istituti di pena ne sono stati girati tanti, ciò malgrado Leonardo Di Costanzo inquadra una vicenda originale nel suo ultimo film Ariaferma avvalendosi di due attori di prima classe come Silvio Orlando e Toni Servillo. Tratta dei rapporti fra i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria in un carcere di sicurezza isolato fra le montagne della Barbagia dove, per l’inettitudine delle autorità ministeriali, a un certo punto si crea una situazione di emergenza che costringe i detenuti ed i loro sorveglianti a una collaborazione sempre più stretta in una continua atmosfera di diffidenza e di tensione in cui ci si aspetta in ogni istante lo scoppio di qualche rivolta cruenta. Che invece non scoppia, poiché anche i detenuti, malgrado tutto, sono essi pure degli esseri umani, e perciò i loro primi piani non sono meno autentici di quelli dei secondini. Il film è ispirato agli ideali illuministi di Beccaria: ma purtroppo è una storia inventata.
Michelangelo Frammartino è un regista molto speciale, con una spiccata vena contemplativa con cui sa evocare atmosfere misticheggianti, ma il suo è un misticismo della natura che non perde mai il contatto con la realtà materiale. Il suo film Il buco riesce così ad essere il contributo più originale a questa rassegna. È tutto un susseguirsi con lentezza ieratica di stupende riprese del Parco Naturale del Pollino attorno all’Abisso del Bifurto, a cui allude il titolo. Si tratta di un inghiottitoio naturale che sprofonda per quasi 700 m. verso il centro della terra e che viene esplorato da un gruppo di speleologi nessuno dei quali assume una presenza eroica, anzi nelle loro tute appaiono spersonalizzati quando s’immergono in seno alla natura primordiale, Gli unici primi piani inquadrano un vecchio che sta a guardia della sua mandria. Manca ogni narrazione fuori campo e la colonna sonora è fatta esclusivamente da suoni naturali: le campane delle mucche, l’eco dei sassi che precipitano nell’abisso, il fruscìo delle tute degli speleologi, voci lontane.
Ennio di Giuseppe Tornatore è un documentario biografico che finisce per essere un monumento al grande compositore di colonne sonore Ennio Morricone, a cui Tornatore è stato legato da amicizia per oltre 30 anni.
Allievo nella leggendaria classe di composizione di Goffredo Petrassi presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, da cui ottenne una formazione vastissima e solidissima nel campo della musica classica, Morricone si diplomò con il voto di 9,5/10. Ciò malgrado si adattò a lavori molto inferiori alla sua preparazione, suonando in orchestrine del varietà e a fare arrangiamenti di canzonette, tutte attività che il severo Petrassi considerava artisticamente indegne e riprovevoli. Però fu proprio grazie alla sua superiore preparazione, che il giovane Morricone azzeccò degli arrangiamenti originali che ebbero molto successo. Il primo film degli oltre 500 di cui compose le musiche fu Il federale con Ugo Tognazzi, un grande attore di cui nell’anno in corso ricorre il centenario della nascita. Quindi compose la musica per i capolavori di Gillo Pontecorvo. Il successo internazionale gli venne grazie agli italo-western di Sergio Leone, e da allora fu una salita continua verso l’Oscar. Il film è arricchito dagli interventi di pesi massimi del cinema come Quentin Tarantino, Clint Eastwood, Oliver Stone, Bernardo Bertolucci, Lina Wertmüller, e di stelle della musica come Shirley Bassey, Bruce Springsteen, Hans Zimmer, che riconoscono tutti al loro Ennio la capacità di comporre di volta in volta ogni film in modo proprio, fino al punto che è stata la sua musica a condizionare il regista. Grazie a lui comporre le colonne sonore oggi non viene più considerato artisticamente inferiore. Quasi come accompagnamento, sono stati proiettati due film musicali italiani, Italo disco di Alessandro Melazzini (2021) e l’introvabile White Pop Jesus di Luigi Petrini (1980), la vivacissima risposta italiana a Jesus Christ Superstar.
Verso Sud 2022 ha offerto un’ampia restrospettiva di Monica Vitti, recentemente scomparsa, con film classici come Deserto rosso, La notte, L’eclisse, ma pure con titoli irreperibili perfino su Amazon come La Tosca e Polvere di stelle.