Un film di Lucia Chiarla sui tormenti del precariato
Ecco un film che dovrebbero vedere in tanti, soprattutto quei giovani italiani che si avventurano verso Berlino, Monaco, Francoforte o altre città della Germania convinti di trovarvi un Eldorado luccicante dove ottenere in poco tempo lavoro e felicità. È un film tedesco, con attori tedeschi, girato a Berlino; ma l’ha prodotto la Kess Film di Giulio Baraldi, un produttore italiano, e soprattutto l’ha girato una bravissima regista italo-berlinese, quella Lucia Chiarla che anni fa fu interprete del surreale Bye Bye Berlusconi, una pellicola grottesca e irridente sull’allora presidente del Consiglio, che venne presentata alla Berlinale ma non trovò mai un distributore coraggioso che la facesse circolare nelle sale.
Nelle sale (per ora tedesche, ma si spera presto anche italiane) circola invece questo nuovo film che s’intitola Reise nach Jerusalem. Dismessi i panni dell’attrice (anche teatrale) Lucia Chiarla indossa quelli della regista utilizzando come suo alter ego sulla scena Eva Löbau, che interpreta Alice, donna single prossima ai quarant’anni, disoccupata cronica e alla ricerca affannata di un’occupazione. La vicenda è incentrata interamente sulla quotidianità dell’esistenza di Alice, un’esistenza decisamente non felice, che costringe la protagonista a girare da un’agenzia per il lavoro all’altra, a sottoporsi a umilianti colloqui, a frequentare inutili corsi di riqualificazione professionale per non perdere il sussidio, a spedire curriculum a casaccio e ad affrontare dei genitori anziani che neppure si rendono conto del disagio esistenziale della figlia.
La protagonista è troppo giovane per la pensione e troppo vecchia per permettersi di non lavorare. Un impiego stabile si rivela un miraggio irraggiungibile, ma anche un lavoretto accettabile sembra non essere tanto semplice da trovare nonostante la buona volontà che ci mette. La cinepresa di Lucia Chiarla segue la protagonista nelle sue peripezie, senza preconcetti ideologici, senza giudicare, senza condannare, ma semplicemente facendo luce sulle angosce che la precarietà produce in chi la vive con la conseguenza di sentirsi non sono non realizzati, ma neppure accettati nel mondo in cui si vive, esclusi dalla civiltà consumistica. L’emarginazione sociale produce poi, inevitabilmente, la sensazione del decadimento fisico e morale, un decadimento che sembra irrimediabile, e l’unica via di uscita, prima di essere completamente fagocitata dal sistema, pare essere la fuga dalla realtà.
Ci voleva l’occhio di una regista italiana per smontare il mito di una Germania felix dove l’occupazione e il successo professionale sono garantiti per tutti. Lucia Chiarla in questo suo primo lungometraggio mostra l’altra faccia della medaglia: la dura battaglia per la sopravvivenza quotidiana che tanti giovani e meno giovani devono ingaggiare per pagare l’affitto e fare la spesa, anche nella ricca Germania, anche a Berlino, città che fa da sfondo alla vicenda con bellissime inquadrature che la tratteggiano nella penombra dell’inverno.
Il titolo del film non allude a un vero “viaggio a Gerusalemme”, bensì ad un gioco di società (in italiano è il “gioco delle sedie”) nel quale a un certo punto i partecipanti devono occupare una sedia, ma uno è destinato ad restare in piedi e dunque ad essere eliminato. È la metafora di una società in cui c’è sempre meno posto per quelli come Alice. Ma in fondo il “viaggio” evocato nel titolo si compie davvero: è il viaggio nell’interiorità che la protagonista compie attraverso le sue traversie fino a scoprire la propria identità e ad accettare se stessa con le proprie fragilità e dubbi. La “liberazione” consiste nel prendere coscienza che è meglio fuggire, sottrarsi dai meccanismi perversi di un sistema che tritura le personalità trasformando tutti in produttori-consumatori. Il tutto raccontato con delicatezza, con il giusto disincanto e con un ritmo che non perde mai un colpo.