Le condotte immorali ed il giro della prostituzione più o meno organizzato, da che mondo è mondo, hanno sempre accompagnato gli eserciti. L’invasione di migliaia di giovani uomini non portava solo danni materiali. Le conseguenze negative sui comportamenti sociali, sulla moralità civica erano quasi inevitabili. Soprattutto nelle città. Difficile arginare il fenomeno in tempi in cui la guerra sembrava imporre la sospensione delle regole e la facoltà di approfittare di possibilità fino ad allora proibite. La rilassatezza, la licenziosità cominciavano ad invadere diversi ambienti, da quelli altolocati a quelli popolari e Treviso, uno dei più importanti centri di smistamento delle retrovie, era diventata una delle città più “immorali”.
In particolare nel quartiere di San Nicolò, fin dal 1915, aveva preso piede la prostituzione. A pochi metri dalla piazza centrale, imboccando qualche viuzza, raccontano i quotidiani ed i testimoni del tempo, si poteva essere avvicinati da qualcuna di quelle donne “discinte, spettinate, insonnolite” o apostrofati da “ragazze dagli alti stivali, gialli come i loro capelli… che ridevano provocanti”. In certe “vie proibite”, alle finestre di alcuni “casini variopinti”, si affacciavano donne “disgraziate… discinte… insonnolite… spettinate” che attiravano “un nuovo popolo in divisa che cercava di annegare nel vino e nelle compagnie femminili la propria disperazione amara e plebea”.
Non erano più prostitute relegate in un ghetto, ma “sgualdrinelle disinvolte e sguaiate, che con mezza gamba fuor della gonna parevano sperimentare come si provocasse l’amore a passo di marcia”.
Nei centri più grandi i liberi amori, le unioni extraconiugali, la prostituzione ebbero un rapido sviluppo. E naturalmente il tutto era non solo tollerato, ma favorito ed incentivato dai Comandi. Tra i militari, affermano le cronache del tempo, “troppi sembravano, dai nuovi sacrifici, dalla stessa idea della morte incombente, sentirsi spinti vieppiù verso il triste piacere”.
Le conseguenze erano il dilagare della sifilide, “una piaga cancrenosa e stomachevole”, come la definiva mons. Zangrando, Commissario Prefettizio per l’Ospedale, ed il frequente ricovero di queste donne, con un seguito di aborti e di infanticidi, divenuti “uno scandalo quotidiano”. Ma per i Comandi militari l’infezione diventava sempre più pericolosa soprattutto perché poteva pregiudicare l’efficienza di tanti soldati. Perciò, allo scopo di esercitare un controllo sanitario su donne e militari, cercavano di istituire case di tolleranza nei centri più abitati, visto che a Treviso l’offerta era già abbondante.
Il Vescovo ed i Parroci contro l’apertura dei “velenosi funghi”
L’opposizione del vescovo Longhin fu netta e sdegnata: “Essendovi stata seria minaccia di aprire da parte di certi ufficiali una casa di tolleranza, scrissi una dignitosa protesta e una supplica a sua altezza reale il Duca d’Aosta per scongiurare tale bruttura ed ebbi fortuna; la casa non si aprirà”, scriveva alla Segreteria di Stato vaticana. Ma non sempre ebbe successo l’azione del Vescovo: “Sono amareggiato al sommo”, confidava al Vescovo di Vicenza, “perché in questi giorni mi si impiantano qua e là case di tolleranza in paesi di campagna… una fioritura di questi velenosi funghi. Parroci e popolani sono desolati”.
E case di prostituzione per ufficiali furono aperte anche nei centri meno importanti della provincia di Treviso, a Castagnole, Postioma, Paderno. Il 20 maggio 1918, a nemmeno un mese dalla decisiva battaglia del Montello, toccò a Montebelluna. L’indignazione di don Dal Colle, giovane cappellano, andò alle stelle, come si legge nel suo diario:
“Oggi sono arrivate a Montebelluna due vacche, vulgo donne, in automobile, accompagnate da un maggiore dei carabinieri per ordine del Comando della 2ª Armata, con autorizzazione del Comando Supremo di metter su bottega qui, cioè di aprire una o anche due case di tolleranza, dice il mondo, di vaccheria, cagnaria, porcelleria, dico io…. Mentre la patria è in pericolo e una terribile offensiva ci minaccia, il Comando Supremo si occupa di far aprire luoghi d’infamia e proprio qui dove più terribili sono le conseguenze della guerra…. Eppure Caporetto avrebbe dovuto insegnare qualcosa… colle cagnerie non si salva la patria, né si tiene alto il morale… Per le vacche del governo automobili, benzina, permessi, per una povera madre che desidera baciare il figlio morente in zona di operazioni… non ci sarà alcun permesso. Mentre tuo figlio muore sospirando il tuo volto, lì accanto le porche, le vacche del governo tripudiano in orge infami coll’elegante ufficiale d’Italia”.
Ma non c’era verso di impedire l’apertura dei “casini”, nonostante l’indignazione delle parrocchie. A Castelfranco l’accordo tra autorità religiose e Sindaco era riuscito per un po’ ad impedire l’apertura di un “casino” pubblico. Ma il 13 settembre 1918 il postribolo fu aperto ugualmente, per diretto intervento dell’autorità militare, suscitando le proteste degli abitanti di borgo Cittadella, dove fu insediato “in una strada di passaggio frequente, di fronte a due trattorie, con il cortile in comune con la casa adibita ad uso della scuola”. E solo dopo tante insistenze e diffide fu possibile ottenerne la chiusura, ma solo nel 1922.
Puntuale e sferzante la riflessione di don Dal Colle: “I porci trionfarono e le porche furono messe in stalla, a dispetto della povera gente che si avvilisce vedendo i propri figli morti o nel pericolo, mentre agli ufficiali resta il tempo di sprecare le pingue paghe nelle mandrie porcine. È uno scandalo intollerabile, è il colmo del disfattismo. Tutto per una più porca Italia”.
Solo i piccoli paesi di campagna si salvarono
Ma non fu così dappertutto. Nei piccoli paesi, dove il controllo del Parroco era più attento ed efficace, fu possibile contrastare l’andazzo. Ad Ospedaletto di Istrana (Treviso), il parroco don Giovanni Bacchion, reo di aver fatto allontanare da casa una ragazza verso la quale il Maresciallo dei Carabinieri dimostrava fin troppo interesse, rischiò di essere incriminato per certe accuse che il militare tentò di metter in bocca ad alcune donne. Ma il Parroco si fece firmare da loro dichiarazioni di accusa contro il Maresciallo e le presentò al Vescovo. “Dopo due giorni il Maresciallo si partì per ordine superiore per altra destinazione”.
Ad Istrana fu il guardiano ferroviario Illarione Scipione che, rilasciando una testimonianza scritta, denunciò al Sindaco il comportamento di una signorina, che era solita accompagnare un soldato, verso le 20, per la strada che conduceva ad Ospedaletto e tornare verso le 24 od anche più tardi. E l’informazione su questa “frequentatrice di stradelle”era confermata anche da altri. Il Sindaco emise subito un’ordinanza di allontanamento dal territorio comunale entro 24 ore della sig.ra F. R., di anni 23, di Abbiategrasso, dimorante temporaneamente in paese, che, “in momenti di grave ansia per le sorti della nostra patria, nei quali dovrebbe regnare la massima serietà, la massima attività nel lavoro e la massima moralità”, viveva invece “passando il giorno in esercizio pubblico e altrove, in completo ozio ed in balìa di sé stessa e la notte in giro per i campi, in compagnia di uomini dai quali la patria richiede attività, serietà e forza”.
A confermare, ancora una volta, il contrasto evidente tra una certa borghesia lussuriosa e le classi subalterne più morigerate, tra la corruzione dilagante nei centri più grossi ed i contegni più virtuosi seguiti nelle campagne.