Nella foto: Nicolas Tenerani. Foto di ©Elisa Cutullè

„Rock of Ages“ è un musical che celebra la musica rock degli anni ’80, portando in scena brani iconici di band leggendarie come Journey, Bon Jovi, Def Leppard e molti altri. Ambientato nel famoso Sunset Strip di Los Angeles, il musical racconta la storia di un giovane aspirante musicista e di una ragazza di provincia che tentano di realizzare i loro sogni nella città del rock. La narrazione è arricchita da performance energiche, coreografie spettacolari e un’atmosfera che trasporta il pubblico direttamente nel cuore degli anni ’80.

Abbiamo incontrato Nicolas Tenerani, un talentuoso artista che ha conquistato il pubblico con le sue interpretazioni emozionanti e versatili. Tenerani porta il suo talento e la sua passione sul palco di „Rock of Ages“, dimostrando la sua abilità di adattarsi a diversi ruoli e stili musicali. Con una carriera che spazia dai musical alle produzioni teatrali, Nicolas continua a illuminare la scena con la sua presenza carismatica e la sua voce potente.

Nicolas, ora sei Dennis Dupree a Rock of Ages: com’è stato il passaggio dalla corale ANA a Rock of Ages?

È il bello del mio mestiere. Ti dà la possibilità di esplorare più e più percorsi, e tu, da artista, hai naturalmente questa sensibilità e questa curiosità. Quindi, una volta ti capita di essere un ebreo vampiro, un’altra volta ti capita di essere il vecchio rocchettaro come in Rock of Ages. Questa è la magia del nostro mestiere: essere sensibili e curiosi aiuta a rendere migliore questo lavoro.

Quando hai deciso di intraprendere la carriera del musical, quale musical avresti voluto interpretare e ci sei riuscito?

Da piccolo, il mio sogno era „Cantando sotto la pioggia“, che è stato uno dei primi musical che ho visto, avevo quattro o cinque anni. Non essendo un ballerino, quel musical non l’ho ancora fatto. Però, tra i tanti film che ho visto, „Sister Act“ è uno che ho amato, e poi ho avuto la possibilità di interpretarlo nella produzione italiana. Ed è stato il primo lavoro che mi ha permesso di andare in Germania; quindi, „Sister Act“ è in assoluto uno dei miei musical preferiti, che potrei interpretare a vita. Sono molto legato a quel musical perché è stato veramente il trampolino di lancio per questa avventura tedesca che ormai dura da dodici anni.

Cosa ti ha portato a cambiare dal canto in una corale a un mondo completamente diverso come quello del musical?

Il canto nella corale è stato veramente un caso, perché comunque io avevo un background da cantante, che è sempre stata la mia passione. Poi, nei primi giorni di militare, è arrivata la notizia che cercavano gente per il coro della Brigata Alpina. E allora ho detto: „Beh, proviamo“. E quella è stata in assoluto la prima audizione della mia vita. Ricordo questo corridoio nella caserma pieno di gente, saremmo stati credo centocinquanta, duecento persone, e cercavano tre persone per… erano credo due baritoni e un tenore. E quella è stata la prima audizione, e da lì mi sono appassionato anche a questo tipo di canto, per dieci mesi. E poi il musical era già scritto nel mio percorso, era quello che avrei dovuto fare nella vita.

Hai detto che è stato il biglietto d’ingresso per arrivare in Germania. Com’è stato l’incontro-scontro con la lingua tedesca?

È stato appunto con „Sister Act“. L’incontro-scontro è stato molto difficile, perché io non conoscevo, non padroneggiavo la lingua, proprio zero. Ho fatto un’audizione imparando tutto a memoria. E naturalmente l’istinto artistico mi ha aiutato poi ad avere il ruolo. I primi tempi non sono stati facili. Mi ricordo anche quando facevo la spesa e guardavo le verdure, i cartelli sopra, e non riuscivo a capire cos’era BIRNE e cos’era TRAUBEN. È stato molto difficile. Adesso, insomma, dopo dodici anni, il tedesco e adesso l’austriaco, è diventata una lingua che padroneggio, e queste sono insomma le piccole soddisfazioni che si hanno nella carriera.

Rock of Ages non è di norma nel tuo range, come mai hai deciso di farlo?

No, per niente, per niente. Io quando dico ai musicisti: „Signori, io canto Sinatra. Frank Sinatra è la mia passione“. Però le canzoni sono così belle, e naturalmente appena inizi a cantare questo tipo di canzone, la voce in automatico mi… mi… mi arriva questo raschio, mi arriva questa roba, e io devo dire che mi diverto, mi diverto un sacco. E come detto, fa parte del nostro mestiere essere a servizio del personaggio. Se il personaggio è un vecchio rocchettaro, allora devi anche, insomma, capire con le tecniche vocali come riuscire a interpretarlo. Poi in „Catch Me If You Can“ ero il papà del protagonista, che aveva dei pezzi swing, quindi anche lì la voce era completamente diversa. „Mamma Mia!“ era… quindi è il lavoro da fare prima di salire in scena, e fa parte della mia preparazione.

Qual è il fascino di questo rocchettaro, Dennis Dupree?

L’essere completamente all’opposto di me, veramente. Io sono molto preciso, molto pragmatico, molto bilanciato, sono una Bilancia, appunto, quindi insomma l’armonia è molto importante. Dennis arriva dagli anni ’70, sesso, droga, rock’n’roll. Quindi è completamente fuori dalle mie corde. Ma è divertente, perché comunque con certi ruoli hai anche la libertà di poter fare un po‘ quello che vuoi, essere molto rilassato in scena. Perché comunque è un ruolo molto, molto hippy.

E com’è il rapporto con il resto del cast? Siete un cast abbastanza internazionale.

Siamo un cast internazionale e molto unito. È una piccola compagnia, che sta anche lei cercando di entrare nel mondo del musical tedesco, offrendo i tour che prima non c’erano in Germania. Quindi abbiamo una squadra che lavora con un obiettivo. Tutti insieme lavoriamo per portare in scena lo spettacolo più bello del mondo, anche non avendo i mezzi che la Stage Entertainment ha. E questo crea armonia nel gruppo. Questo è il terzo anno dello spettacolo, il cast è all’ottanta per cento nuovo. Abbiamo avuto solo tre settimane di prove e il regista ha detto: „No, creiamo qualcosa di nuovo“. E questo ha veramente aiutato a creare questo bellissimo clima, che spero insomma si respiri anche dalla platea.

Come vedi dal palco il pubblico? Perché comunque ricordate brani degli anni ’80, brani con cui noi siamo cresciuti. Certo, si vede che il pubblico arriva con un altro tipo di aspettativa e di voglia, hanno voglia di fare un tuffo nel passato, chiudersi in teatro per due ore, non avere problemi. Ed è questo il bello del nostro mestiere: poter regalare per due ore o due ore e mezza una pausa da tutto quello che ci circonda intorno. Dove fai un salto nel passato, ascolti bellissima musica, e la gente che arriva sono anche vecchi rocchettari che di solito si divertono parecchio.“