In occasione del Zeltik 2020 a Dudelange (Lussemburgo) abbiamo incontrato Franco D’Aniello, membro storico dei Modena City Ramblers, che suona il tin whistle, il flauto traverso, la tromba e il sassofono
Come è che un gruppo italiano arriva in Lussemburgo per partecipare ad un Festival di Musica celtica?
Noi siamo nati come gruppo che faceva musica irlandese: quasi 30 anni fa, abbiamo scoperto la musica irlandese da battaglia, da fare baldoria. Ci siamo messi a suonare nei pub nelle osterie di Modena, da cui abbiamo preso il nome, ispirandoci ai Dublin City Ramblers. I festival celtici sono i nostri luoghi naturali.
Musica celtica e Romagna: come vanno d’accordo?
La musica irlandese è internazionale e la nostra musica folk è fatta di mazurche, di balli di 6/8. Sono due stili musicali molto simili: c’è una somiglianza di DNA tra gli emiliano-romagnoli e i celti. In quel periodo c’era molta voglia di ascoltare musica di questo genere, per cui noi abbiamo colto l’attimo.
Però non fate solo musica celtica, ma anche altro. Come è questa varietà di stili?
Noi siamo molto curiosi e la musica ci piace a 360 gradi. La musica irlandese e quella folk in generale ci accomuna, da lì a mettere assieme anche con la musica zigana, spagnoleggiante o sudamericana il passo è breve. Nei nostri dischi si sentono influenze di tutti i generi perché ci piace la musica folk nella sua totalità. Noi veniamo dal rock e, avendo una certa età, abbiamo vissuto tutte le fasi del punk e del rock e li abbiamo mescolati. Il nostro atteggiamento, nel prendere la musica folk e farla a pezzi, è molto punk e dissacrante.
30 anni di musica. Come si mantiene vivo l’interesse facendo in modo che la musica non diventi noia?
Noi abbiamo messo nella nostra musica molto impegno, anche dal punto di vista della comunicazione, inserendo le nostre idee e la nostra visione della vita. Ci piace raccontare storie di resistenza di guerra, delle nostre città, delle persone che lottano contro la mafia. Da questo punto di vista è molto facile trovare degli elementi per non stancare, anzi. La noia la trasmetti se sei annoiato e fai le cose che non ti piacciono. Se ami quello che fai trasmettere la noia non esiste
30 anni significa anche molti cambiamenti a livello di membri del gruppo. Evoluzione naturale? Come è stato questo per il gruppo. Ha modificato la dinamica del gruppo e/o ha arricchito il gruppo stesso?
È sempre stato un nostro marchio di fabbrica l’essere gruppo, e non dipendenti da una persona in particolare la cui mancanza avrebbe messo in crisi il gruppo. I Modena City Ramblers sono, per dirla alla sempliciotta, come una squadra di calcio fatta da grandi campioni. È più importante il messaggio del gruppo per quello che dice, che gli elementi singoli. È chiaro che le persone fanno il gruppo, ma si tratta di cambiare, mantenendo sempre i valori di fondo gli stessi ideali. Se entra una persona che ha gli stessi valori di fondo e che ci mette la stessa passione, le piace la stessa musica, c’è un cambiamento e positivo. Il gruppo non è solo una somma di singoli. Ma molto di più.
I Modena City Ramblers vengono spesso definiti come un gruppo di «combat folk». Ti ritrovi con questa definizione?
Assolutamente sì. Ce lo siamo quasi coniato addosso, prendendolo dal combat rock. Se si ascoltano i Modena City Ramblers non si sente solo musica, bensì un messaggio arricchito da uno spunto di riflessione «combat». Le tematiche che affrontiamo vanno al di là del semplice stare assieme e di una birra, perché c’è qualcosa di più battagliero: ci sono canzoni che, a volte, fanno anche male ad ascoltare perché affrontano tematiche pesanti.
Come nascono queste storie? Essendo un gruppo come lavorate a un album?
A volte qualcuno ha un’idea, se la sviluppa a casa la propone e dopo si lavora su. Può anche succedere che tre di noi vedono una cosa e scrivono sul tema e ad un’altra persona viene idea di inserire una frase. È un lavoro di gruppo, dal tono, quasi, casuale. I dischi li elaboriamo assieme (anche se possono esservi persone che contribuiscono più di altre) perché chi scrive per i Modena City Ramblers scrive un «noi» e comunica che siamo «noi» a sentire o pensare una determinata cosa.
Parlando dell’ultimo album: quanto tempo ci avete messo dalla prima idea fino a quando non siate stati contenti del risultato?
Noi siamo sempre stati abbastanza veloci nel fare i dischi. Parlando prima della noia, per esempio, ti potrebbe venire noia pensando a come scrive una canzone o trovare una frase. Noi non siamo per la ricerca fine a sé stessa: le cose ci vengono di getto. Poi, chiaramente, ti volti indietro e rifaresti tutto dall’inizio alla fine.
In questi 30 anni qualche pubblico/concerto ostico?
Suonando in Chiapas in Messico in una comunità zapatista (in cui avevano bel altri problemi che ascoltare ed applaudire un gruppo che veniva dall’Italia). Fu una sensazione stranissima, perché si vedeva che non capivano che cosa dicessimo. Però capivano che gli volevamo trasmettere qualcosa. Loro a noi hanno trasmesso molto, tanto che, dopo essere rientrati in Italia, ci abbiamo scritto un disco intero. Emozionati dal quel viaggio a volte non è detto non è detto che il pubblico ostico non ti trasmetta qualcosa più profondo.
In 30 anni tanti concerti, tanti palchi. Ce ne è stato uno che era, per così dire, sulla vostra lista da sempre?
Ma il palco del primo maggio a Roma è stata un’emozione grandissima, forse il momento clou della nostra carriera. In quegli anni non era facile perché erano tempi in cui non nascevano tanti gruppi non c’era X-Factor e non era semplice che da quasi insistenti arrivavi e dal mese modo suonavi sul palco del primo maggio. Se ti chiamavano era perché veramente te lo meritavi, avevi vinto qualcosa perché avevi da dire. Quello è stato un palco molto emozionante.
30 anni di carriera significa anche una discografia immensa tra cui scegliere per i concerti. Ci sono brani che non devono mancare mai? C’è un brano vostro che a te sta particolarmente a cuore?
Iniziano ad essere tanti, nel senso che, comunque, abbiamo una bella varietà di tipologia di canzoni da cui scegliere. Non può mancare, per esempio, qualcosa come «1 100 passi», «In un giorno di pioggia», «Bella ciao». Ci sono dei punti fermi. Sono canzoni che sicuramente ci rappresentano e a cui la gente è più affezionata. Non saprei dire quale brano mi sta più a cuore. Forse «Bella ciao». (anche se non è proprio una canzone nostra) perché è una canzone di tutti. la prima volta che abbiamo suonato «Bella ciao». è stato tanto emozionante, perché è la canzone di tutti quelli che amano la libertà.
È questo, secondo te, il motivo, per cui questa canzone rimane attuale anche dopo tantissimi anni?
Il mondo non è fatto di persone libere. Possono essere libere apparentemente, ma il mondo è pieno di costrizioni, di gente che non è libera, libera di pensare di essere sé stessa, bensì come il mondo globalizzato economico vuole che tu sia.