Ricordo che avevo appena finito il mio ciclo di Laurea: “ all’Università Statale degli Studi di Milano”, con Giulio Giorello docente di filosofia della scienza, e Corrado Sinigaglia docente di Epistemologia. Mi ero iscritto al mio primo Congresso di Filosofia e Scrittura, seguendo il consiglio dei due Mentori della mia Laurea. Lessi in facoltà del suicidio di Luis Althusser, della sua morte, della sua follia. La lucidità mentale del filosofo francese, che ripropone nella rilettura di Marx in “Leggere il Capitale”, si era infine tradotto in un urlo disperato, verso il rifiuto dell’esistenza, un percorso solitario verso il nulla. Fin dai primi mesi “Post-Laurea” in filosofia, feci un ampia dissertazione sullo statuto di una nuova filosofia della liberazione, cercando di capire il ruolo dell’epistemologia nello statuto delle scienze primarie, analizzando i fenomeni storici della scienza ed epistemologia come il “Verificazionismo” cominciato con Carnap e il “Circolo di Vienna, fino alla sua massima espressione con il Filosofo di origine ebree, “Ludwig Wittgenstein”, passando naturalmente presso il Falsificazionismo inaugurato in maniera aurorale da K.Popper. Da molto tempo ero alla ricerca di fondare uno statuto epistemologico della psicoanalisi, severamente messo in causa da K.Popper. Secondo l’epistemologo austriaco, la psicoanalisi e il marxismo non possono essere considerate scienze, ma bensì pseudo scienze, perché non risultano falsificabili. Mi iscrissi al Congresso di Filosofia, sulla scrittura e autobiografie dell’abisso, per tentare di comprendere la tragedia umana accaduta a Luis Althusser, il filosofo francese era stato una delle figure di maggior spicco della cultura parigina, assieme a Foucault e Lacan. Althusser però rispetto a Foucault e Lacan era politicamente impegnato, iscritto nel 1948 al P.C.F. (partito comunista francese).
Luis Althusser diventa assistente presso l’Ecolè Normale di Parigi, dal (1948-1980), dovette interrompere più volte la sua carriera professionale a causa di una serie di ricoveri in clinica psichiatrica, essendo affetto da gravi disturbi mentali. In seguito all’uxoricidio, da lui compiuto nel 1980, Althusser uccise , strangolandola con le sue mani, la moglie Helene Rytmann. Il processo però non ebbe mai luogo, l’autorità giudiziaria francese, dichiarò il “non luogo a procedere”, ritenendo il filosofo francese incapace di intendere e di volere al momento del fatto. E come se egli avesse condotto una “doppia” esistenza; da un lato il filosofo e maestro apprezzato docente all’”Ecole Normale Superieure” di Parigi, dall’altro un grave malato di mente, affetto da una psicosi “atipica” (come diagnosticato dal suo terapeuta Rene Diatkine), caratterizzata da fasi melanconiche che lasciavano posto a quell’euforia morbosa e incontenibile, che gli psichiatri chiamavano mania; manifestazioni che si accompagnano per sua stessa ammissione, a deliri e allucinazioni non precisate, verosimilmente responsabili dell’atipicità del quadro morboso. I due scritti autobiografici che ho analizzato nel corso del post- congresso, sono stati il frutto di una ricerca meticolosa, e rinvenuti fra le carte del filosofo francese, dopo la sua morte. Secondo le fonti ufficiali, (media, stampa francese) il filosofo sarebbe morto dopo una lunga malattia a 72 anni, presso Istituto geriatrico dove era ricoverato, ma fonti non ufficiali forse per tenere salda la reputazione dell’Istituto Ospedaliero francese dove era ricoverato Althusser , affermerebbero che il filosofo francese sia morto suicida.
Gli scritti verranno pubblicati postumi sia a Parigi, che in Italia nel 1992 a cura di Olivier Corpet, e Yann Moulier Boutang. L’avvenire dura a lungo (1985) è stato redatto circa tre mesi e a distanza di cinque anni dall’uxoricidio del fatidico 16 Novembre del 1980. Già il discorso autobiografico, si mostrava come una palese profonda malattia dello spirito, alternandola con la capacità di comprensione dell’autore, e l’ordine della sua narrazione. L’opera che mi ha interessato “L’avvenire dura a lungo” è ancora oggi da considerarsi un documento umano enigmatico nella sua ambiguità, un intensità psicologica e psicopatologica, pagine conturbanti, che conducono il filosofo in una spirale della livida narrazione. Senza dubbio questa lettura come poche opere letterarie e filosofiche, lasciano il segno durevole nel lettore. Il risultato al quale il filosofo francese prende di mira, nell’avvenire dura a lungo, è un apologia a posteriori, finalizzato alla conduzione “alle soglie della sopravvivenza e della vita stessa”.
La sua autobiografia apre una testimonianza dolente, a tratti correlati da una tristezza patibolare. Scrivendo l’autobiografia, l’autore tenta di emergere da un abisso nel quale era precipitato da un’altezza esaltata e temeraria, scarsamente consapevole e per nulla padroneggiabile. Althusser non era nuovo a precipizi, a partire dall’esperienza della prigionia in Germania, era solito cadere in gravi “depressioni” abissali. Se la legge lo ha “annichilito”, lo ha posto nel nulla, nella posizione del “disperso” del “Desaparecido” né morto , né vivo. Dopo tante peripezie tragiche, un lieto fine, una guarigione , una commedia drammatica o di un “dramma lirico”. Alla fine uno spiraglio di consapevolezza d’eccezione. Egli dichiara di aver imparato ad amare, il che significa evitare “esagerazioni” morbose della follia. Scrive Althusser: Ho sessantasette anni, ma mi sento finalmente -io- che non ho mai avuto giovinezza perché non sono mai stato amato per me stesso, giovane come non mai.
“Si in questo modo L’avvenire dura a Lungo”.