Nella foto: Alessandro Barbero. Foto di ©Daniele Messina

Speciale Fiera del Libro Francoforte 2024 – Intervista ad Alessandro Barbero

Abbiamo avuto il piacere di incontrare il professor Alessandro Barbero alla Fiera del Libro, dove ci ha onorati con una conversazione esclusiva e una preziosa intervista per il nostro giornale.

Leggendo libri di storia, si ha l’impressione che ci siano due tendenze metodologiche: una classica, che si occupa soltanto dei documenti scritti, e un’altra i cui storici tengono conto anche dei risultati di ricerche in altri campi, come ad esempio l’archeologia. Lei che tipo di storico è?

Lei ha definito molto giustamente il problema, ma non è che ci siano due scuole, il problema è questo, che tutti noi storici siamo addestrati innanzitutto a lavorare sulle fonti scritte, che sono comunque in ogni caso la maggioranza delle fonti disponibili, e sono soprattutto imprescindibili: se ci sono fonti scritte non puoi ignorarle. Ora, già imparare a usare le fonti scritte comporta certe cose: molto banalmente per chi come me è medievista, bisogna sapere il latino, se vuoi studiare l’impero bizantino bisogna sapere il greco, anche per studiare l’impero romano devi sapere il greco, devi sapere la paleografia, decifrare le pergamene, tu t’impadronisci delle tecniche ed è già un’apprendistato abbastanza complesso, per cui molti storici si fermano lì, non perché disprezzino altri tipi di fonti, ma semplicemente perché è abbastanza impegnativo fare questo. Oggi siamo tutti d’accordo che è importantissimo il contributo che l’archeologia o la storia dell’arte possono dare al nostro lavoro. Ma non tutti gli storici sono in grado di praticare queste discipline personalmente. Quando uno trova che per la cosa che sta studiando l’apporto degli archeologi sia indispensabile, poi alla fine quello che fa è leggere quello che hanno trovato gli archeologi e accettare la loro parola. Io ho lavorato per anni con una grande storica italiana, Chiara Frugoni, da cui ho imparato tantissimo. Chiara Frugoni si era specializzata nell’analisi delle immagini, delle fonti iconografiche, ed aveva acquisito a quel punto una competenza specifica. Chi non lo fa, non è perché pensi che quelle altre fonti non siano importanti, ma solo perché la nostra capacità di praticare tecniche diverse ha dei limiti.

Per esempio, alcuni archeologi hanno le prove che la fondazione di Roma risalga all’ottavo secolo avanti Cristo, mentre molti storici, soprattutto inglesi, basandosi sulle sole fonti scritte, la fanno risalire al quinto…

Ah, certo, queste sono controversie fra archeologi… Ce n’è un’altra, ancora più virulenta, riguardante il grande regno d’Israele al tempo di David e Salomone, che gli archeologi israeliani avevano l’impressione che non ci fossero prove della sua esistenza, mille anni prima di Cristo; poi altre ricerche sembra che abbiano dimostrato che invece qualcosa c’era. Ma Lei capisce che c’è un tale velo ideologico su queste cose…

Interesse politico…

Eh, sì. Nel caso di Roma è un po’ meno diretta oggi, la cosa. Però rimane vero che gli archeologi italiani hanno piacere… Un grande capostipite dell’archeologia della Roma antica, Andrea Carandini si è proprio sforzato di dire: io ho trovato le tracce di Romolo e Remo. Sono questioni che le fonti scritte non possono certamente risolvere.

Oggi c’è anche una polemica fra storia e pseudostoria, perché ci sono molti autori interessati a ricostruzioni distorte e unilaterali. Per esempio, leggevo che nelle università americane è tabù insegnare che la schiavitù esisteva in Africa già prima dell’arrivo dei bianchi. Ciò è possibile anche con la manipolazione delle fonti scritte.

Qui si scava un abisso, oramai, fra la ricerca storica seria, onesta, scientifica, e quelle che sono le richieste della società e della politica. Per carità, è sempre stato così: gli storici dell’800 erano sotto pressione da una politica che chiedeva le radici della Nazione, la Patria, le glorie della Patria, che chiedeva agli storici italiani di narrare come siamo stati bravi a sconfiggere il Barbarossa, mentre agli storici e agli archeologi tedeschi si chiedeva di dimostrare che l’Europa orientale apparteneva alla Germania. Oggi i condizionamenti sono di un’altro tipo. Nascono da ottime intenzioni; il problema è che le intenzioni sono sempre ottime. Oggi ci sono ottime intenzioni di rivalutare la storia delle minoranze, di chi è stato oppresso, e così via. Il guaio è che, siccome la realtà umana è complicata, non si divide mai fra buoni e cattivi, e se invece l’esigenza è moralistica, allora agli storici si chiede purtroppo di amputare o di falsificare la realtà.

La stessa critica che Lei fa ai neoborbonici.

È la stessa cosa in questo senso, che la storia diventa un campo di battaglia per interessi contemporanei. Ora, è chiaro perfino a me, che con i neoborbonici ho discusso ferocemente, che ci può essere anche un’intenzione positiva nel dire che l’Italia meridionale ha bisogno di ritrovare l’orgoglio del proprio passato, ed è stato eccessivo lo schiacciamento della storia patria sul dominio borbonico come cosa tutta negativa; in questo c’è qualcosa di accettabile, naturalmente. Il problema è che anche in questo caso, quando le migliori intenzioni usano poi come mezzo la menzogna, cioè il falsificare la storia o addirittura l’inventare di sana pianta, secondo me le migliori intenzioni creano qualcosa che diventa invece ignobile, perché una volta che s’inganna la gente dicendole „questo è vero“ e invece è falso, allora quella è una cosa comunque ignobile, anche se lo fai per la migliore delle cause. Ed è ignobile perché non aiuta la gente a capire, ad aprire la propria testa alla complessità, ma invita la gente a semplificare di nuovo, a dividere il mondo fra buoni e cattivi. Ieri i borboni erano i cattivi e i Savoia i buoni? E allora adesso diremo che i Borboni erano buoni, e i Savoia cattivi. Così non si fanno passi avanti.

Chi ha una coscienza storica come la Sua, che sensazione prova a vivere in questo momento storico?

La mia sensazione primaria è questa: io faccio lo storico perché fare lo storico significa studiare il passato. Intanto tu sai come le cose sono andate a finire, e quindi nei confronti del passato il tuo atteggiamento è del tutto diverso. Se io analizzo la corruzione politica nel Comune di Firenze nel quindicesimo secolo, incontro le stesse manovre ignobili, gli stessi personaggi disgustosi, che vivono nel nostro mondo di oggi. Però incontrandoli nel passato mi diverto. Invece, sapendo che ci sono pure nel mondo in cui tocca a me vivere, non mi diverto per niente.