: Locandina de La Napoli di mio padre. Il documentario sarà visibile sulla piattatoforma mymovie dal 4 al 19 marzo

Intervista alla regista Alessia Bottone

Da un viaggio a Napoli con il padre e il fratello su un treno di notte, alla ricerca delle proprie alle radici collettive negli archivi, Alessia Bottone ha realizzato un documentario che è un omaggio al padre e alla dimensione esistenziale del migrante. Il corto è visibile dal 9 al 14 marzo sulla piattaforma Mymovie. La registrazione è gratuita.

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“…ero un po’ indietro e osservavo. Mi ha colpito questa immagine, mio fratello alto, mio papà più piccolo, lui che racconta la storia della sua Napoli a mio fratello che non sa niente”. Era il 2015, allora Alessia Bottone faceva la giornalista per la carta stampata.

Come ti è venuta l’idea del documentario La Napoli di mio padre?

Stavo cercando materiale per un progetto sulla conciliazione fra lavoro e famiglia quando vedo sul sito il bando del Premio nazionale Cesare Zavattini. Era il 2018 e mancavano due giorni alla scadenza del bando. In quel momento l’immagine di mio padre a Napoli è affiorata alla memoria ed è nato il progetto “la Napoli di mio padre.” Da lì è stato un effetto domino. Non ho vinto, sono arrivata finalista ma sono andata avanti lo stesso perché mettevano a disposizione gli archivi. Ho trovato una casa di produzione veronese, Cappa e studio. Ci abbiamo messo un paio d’anni, hai girato quattro archivi.

Siete stati al Luce Cinecittà, all’Aamod, all’Home Movies e alla Cineteca di Bologna. È molto interessante sapere che comunque in questi archivi c’è tanta storia da raccontare, è come aprire un tesoro.

Mi è piaciuto tantissimo. Gli archivi sono in generale indietro con la digitalizzazione quindi devi andare proprio lì. Il materiale fotografico e diaristico è immenso.

Le immagini che ha trovato e messo insieme sono molto significative come pure i tuoi testi che le accompagnano. Ma torniamo a quel viaggio a Napoli con tuo padre e tuo fratello che ha ispirato il tuo lavoro.

Mi trovavo a bordo di questo treno notturno con mio padre e mio fratello. Il treno notturno impiega quattro volte il tempo che impiegherebbe un Freccia ma a mio papà piace molto e piace molto anche e me. Mi ricordava i viaggi in treno che facevo con la mia famiglia per tornare a Napoli per Pasqua o per Natale. Mi piaceva molto, ero piccola, mio padre aveva una trentina d’anni e gironzolava nei vagoni, si trovava con i coetanei. Li vedevo parlare e raccontare i loro viaggi mentre fumavano. All’epoca, credo che si potesse ancora fumare sui treni.  Tornando a Napoli nel 2015 su quel terno notturno mio papà ci raccontava la sua vita a Napoli. Una volta arrivati a Napoli, invece che prendere un taxi o una metro per andare dai miei nonni, ha voluto passeggiare e camminando siamo passati nel suo quartiere “Ahm guarda qui è dove abitavo, qui c’era il bambino con cui giocavo… “. Stavo un po’ indietro e osservavo. Mi ha colpito questa immagine, mio fratello alto, mio papà più piccolo che racconta la storia della sua Napoli a mio fratello che non sa niente

C’è dentro molto nel documentario e a più livelli. C’è dentro la Napoli di tuo padre, c’è però l’esperienza esistenziale nomade dell’essere umano, c’è l’aggancio all’attualità, i barconi, i salvataggi in mare dei migranti; c’è anche lo sguardo tuo, di figlia, quindi delle generazioni successive che hanno una prospettiva diversa sui paesi di origine dei propri genitori o dei propri nonni. Come vedi tu queste tue origini?

Sono nata a Verona, ho un accento del nord, ma il mio cognome è Bottone, e spesso e volentieri mi dicono che non sono di qua. Eppure ci sono nata. Quando sono a Napoli, mi dicono che non sono di Napoli. È evidente che non sono di Napoli, non parlo il dialetto, mi perdo in città. Allora non sono di nessun posto? Sono una specie di apolide. Avevo bisogno del sentimento forte di attaccamento che sentivo in mio papà verso la sua città. Quando mettiamo una distanza fra noi e un luogo, sentiamo maggiormente l’appartenenza. L’ho provato anch’io: quando ho vissuto cinque anni all’estero mi sentivo più italiana che non vivendo in Italia. Si sente il bisogno di appartenere a qualche cosa. Che cosa provano i figli di migranti in Italia, con i genitori che vogliono portare avanti le loro tradizioni? Mi sono chiesta se anche loro sentono questo scollamento, se anche loro si sentono di appartenere a due culture? È un sentimento condiviso fra i figli nati da genitori che si sono spostati da una città all’altra. La risposta è che si è di entrambi i posti. Non è vero che sono apolide, sono di entrambi i posti e per me questa condizione mi arricchisce perché mi dà il punto di vista del Veneto, ma anche il punto di vista campano. Da lì è partito tutto il concetto delle origini. Quando cominceremo a vedere che essere di un posto a livello di origini e vivere in un altro è qualche cosa di arricchente e non di svilente, forse riusciremmo a risolvere molti problemi.

Il tuo documentario è un contributo alla storia dell’emigrazione italiana, una storia che però sembra non riguardare l’Italia?

Sì, certo, anche se si prende in considerazione il flusso attuale, perché sono tantissimi i miei coetanei che negli ultimi quindici anni sono andati via e non perché amassero l’estero ma per una situazione di assenza di meritocrazia, di mancanza di possibilità, il tirocinio non pagato oppure il gap fra uomo e donna. Continuiamo a rappresentare l’Italia come un paese che accoglie, ma non come un paese da cui si parte. L’Italia ha goduto del fatto che italiani sono partiti nel primo Novecento, negli anni Sessanta perché è anche grazie alle rimesse degli italiani che se ne sono andati che quelli che sono rimasti sono potuti andare avanti; l’emigrazione ha fatto diminuire il numero dei disoccupati e decrescere la pressione sul welfare. Ci siamo dimenticati una bella fetta di storia e sarebbe interessante cominciare a parlarne.

Si diceva prima che La Napoli di mio padre è molto di più di omaggio a tuo padre Giuseppe che è anche voce narrante nel documentario insieme a Valentina Bellé che dà voce alle tue parole di figlia. C’è anche l’attualità e poi cos’altro?

In realtà ho voluto parlare di libertà, libertà dal pregiudizio, e di volontà di essere se stessi. Questo significa a volte liberarsi da quello che pensano gli altri, che è un po’ quello che racconta Giuseppe nel momento in cui cambia quartiere. Lì nel nuovo quartiere è un diverso. La parola diverso non è negativa. È chi vuole andare per vuole vedere altro. Credo che le persone che abbiano vissuto la stessa esperienze siano in qualche modo connesse, riescono a comunicare fra di loro anche non parlando. Questa è la telepatia dei viandanti di cui parlavo nel documentario.

La Napoli di mio padre non è la tua prima esperienza di regia. Hai realizzato per esempio un progetto video sulle barriere architettoniche nel 2017 e uno sulla violenza psicologica nel 2019. Quali sono i tuoi interessi e i tuoi progetti futuri?

Tutto il mio percorso è sempre stato un’evoluzione, non ho abbandonato niente, ma ho inglobato e anche in questo documentario è rimasto qualche cosa della scrittura e del giornalismo. È vero che sentivo il bisogno di imparare anche per essere al passo coi tempi per questo nel 2016 fatto un master di sceneggiatura a Padova. Intanto cominciavo a fare documentari miei con delle riprese, delle interviste. Mi piace affrontare i temi sociali. Sono laureata in istituzioni politiche per i diritti e la pace. Se in futuro mi occuperò di fiction, mi piacerebbe che ci fosse un tema sociale all’interno, perché mi interessa, c’è bisogno di riflettere. Se il covid me lo permetterà dovrei cominciare un’accademia di regia fiction a Roma.

Il cortometraggio sta girando in Italia e all’estero. Dove La mia Napoli è attualmente in concorso?

Siamo stati selezionati al Palladium Filmfestival, organizzato dall’università Roma Tre e saremo visibili sulla piattaforma Mymovies dal 9 al 14 marzo. Siamo stati selezionati in alcuni festival per il 2021 ma tutto è spostato in primavera estate. Sarò contenta quando ci si potrà incontrare, parlare di progetti e idee nuove per fare altri lavori interessanti.

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