Il caso de “La Pace di Aristofane e l’interpretazione di Lion Feuchtwanger
L’attuale messa in scena di una commedia minore di Aristofane nel tempio moderno del Teatro Greco di Siracusa – La pace – non solo ci interpella sul tema tragicamente in voga qual’è la guerra russo-ucraina; ma ci ricorda come un altrettanto poco conosciuto come commediografo – Lion Feuchtwanger – ebreo di Monaco e esule negli Stati Uniti, ma prima in Francia e anche in URSS – ne diede una singolare rilettura che merita di essere richiamata in un momento di disagio morale dove la letteratura come azione appare in declino. Partiamo per ora dalla trama della commedia, peraltro fonte primaria della guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta durata per buona parte della prima metà del quinto secolo a.c. (in ispecie dal 431 al 404, come ci è stato impartito nelle scuole primarie, senza contare quanto Platen e Leopardi sudarono per comprenderne le ragioni culturali, con la conseguenza che Nietzsche introdusse nella filosofia greca l’interpretazione apollinea e quella dionisiaca (si veda la sua famosissima nascita della tragedia).
Della trama si può appena dire che è un classico apologo ironico su un piccolo proprietario terriero che sale fino all’Olimpo per liberare la dea Pace dalla prigionia in cui l’aveva rinchiusa Zeus, tediato dalla ottusità degli uomini a combattersi fra loro, lasciando al Dio della guerra Polemo di pestare con un mortaio i poveri cittadini delle campagne attiche e doriche, finché il protagonista Trigeo la libera e la porta a casa per poi sposarla e ritornare a vivere in pace. Restano esilaranti le scenette che intercalano le forti componenti liriche del Coro, notoriamente il vero protagonista della commedia classica del V° secolo, presente in tutte le operette ben più note di Aristofane, dagli Acarnesi e dalla Lisistrata – ancora sulla pace – fino agli Uccelli, Le vespe e Le rane, nonché I cavalieri e Le donne al parlamento, veri gioielli della satira politica.
Ora questa Pace delinea figure sceniche di non scarso rilievo. Primo fra tutte, Trigeo, il classico borghese agrario che non crede più nel politico che lo aveva rappresentato nel Parlamento, cioè l’assemblea politica della democrazia ateniese. La data di composizione è il 421 a.c.: alla fine della prima parte della guerra con Sparta il promotore Pericle è morto di peste causata dal tradizionale afflusso di sfollati che vediamo intasare la città in ogni evento legato a guerre. Gli spartani di Archidamo sono alle porte e il contado è in fiamme. Il poveretto ha figlie e dipendenti da sfamare . Il raccolto d uva è perduto. Gioie e dolori di un imprenditore sull’orlo del fallimento e che solo in pace potrà sopravvivere. Ma quando bussa alla porta degli Dei, il politico servitore dello Stato Ermes gli comunica la impossibilità dell’appoggio governativo. Come quei politici di oggi, che di giorno sono solidali col popolo aggredito, ma che di notte vanno a pranzo con l’aggressore. Polemo, altro ambiguo personaggio, sfila a guardia della caverna dove la Pace è rinchiusa, finché il nostro contadino, di scarpe grosse, ma di cervello fino, aiutato dal Coro per ora pacifista, lo libera con le sue ancelle Idea e Opora, dee del raccolto maturato e pronto alla distribuzione commerciale.
Quindi si va a nozze, dopo un ritorno con uno scarabeo volante che per mantenerlo occorreva una intera mietitura….. Metafora sublime delle spese forzate per mantenere le forze armate in guerra, dove i soliti amici del Potere offrivano rifornimenti alimentari al ribasso del prezzo d’appalto, con un ritorno occulto ampiamente compensato dall’appoggio politico nelle assemblee democratiche. E che dire di Ierocle, il sacerdote pronto a benedire le truppe in cambio di robuste offerte alla sua chiesa? Oppure di un povero mietitore, triste per il futuro della sua famiglia, sterminata dalla fame e dalla frecce nemiche (e noi pensiamo ai poveri contadini fanti del sud nelle trincee sull’Isonzo nel 1917)? Anche un cultore di stemmi e medaglie viene sferzato da Aristofane, perché aspira a una onorificienza e che non si vergogna di tale richiesta a Trigeo, dimenticando i caduti di quel primo tempo di guerra, Cleone d’Atene e Brasida di Sparta, entrambi uccisi in quella guerra lontana combattuta in Tracia, come tanti italiani e tedeschi caduti nella campagna di Russia del 1941-1942.
E poi la pletora di mercanti d’armi, allarmati dalla notizia della fine della guerra, i fabbricanti di trombe, di timoni, di lance che assediano la casa di Trigeo, al pari di quei piccoli borghesi – come i pescecani di Brecht – che portarono in trionfo Nicia e Alcibiade giovane nel 421 a.c., che complotteranno dopo una breve pace a riprendere le armi contro Sparta e la lega del Peloponneso, mentre Argo e Tebe cominciavano a crescere all’ombra delle due Superpotenze (come sta avvenendo oggi con la Cina e l’India). Nella parte finale della commedia il coro plaude al matrimonio fra Trigeo e Vendemmia (Opora), cantato da giovani desiderosi di vivere in pace, intriso di un intenso lirismo – E ricordatevi, o gente, l’antica vita che la Pace a sua volta ci largiva, e quella dolce frutta secca, i fichi e i mirti e il dolce mosto che imbevevano di pane (guarda caso il pane e il vino di chiara reminiscenza evangelica) di cui oggi abbiamo desiderio…. In cambio di tanti doni, ora qui salutate la Dea! – (traduzione di Raffaele Cantarella) – che nasconde il pessimismo dell’autore, scettico sul destino dell’uomo, dove la Pace è solo un attimo di gioia, fra una guerra continua fra sessi e popoli, fra idee e fedi, fra politici e governanti, e chi più ne ha più ne metta.
Apparentemente un’opera minore, ma dotata di un senso della vita che scorre fra battute sarcastiche e momenti di nostalgia. Una commedia riscoperta e rappresentata nel 1540 al Trinity College di Cambridge, quando la pace religiosa è a rischio fra nell’Inghilterra di Enrico VIII, separatosi dalla Chiesa Romana per avere sposato prima Anna di Cleves principessa tedesca e dopo aver poco dopo annullato il matrimonio senza consenso del Papa per sposare Catherine Howard, nipote del Lord Tesoriere e primo Ministro del Re. Un tassello verso la guerra con le potenze cattoliche imperiali e foriero di quelle guerre religiose fra Protestanti e Cattolici per il prossimo secolo.
Nondimeno, all’inizio del diciassettesimo secolo, ricompare ad Amburgo nella scuola di San Giovanni come testo scolastico, col dichiarato intento di allineare alla solidarietà e all’amicizia le collaudate situazioni di rischio bellico nel Mare del Nord, in cui i conflitti religiosi intrecciavano coi conflitti economici commerciali che riaffiorarono nel Baltico proprio nel 1913 fra Germania imperiale, Russia zarista e franco-inglesi, Grandi Potenze desiderose di incrementare la loro espansione economica sul Continente. Circostanza che causerà la Prima Guerra Mondiale, alla quale nel 1917 farà letteralmente il verso un campione del pacifismo, Lion Feuchtwanger, all’epoca soldato semplice nella riserva dell’esercito tedesco, esentato dal fronte perché pacifista.
Lion quando ha per le mani due commedie di Aristofane – Gli Acarnesi e appunto La pace – decide di indirizzare in senso inverso la cultura e la società tedesca militarista, invasata che il giovane Thomas Mann, nelle sue Considerazioni di un impolitico esaltò con evidente spirito identitario germanico creduto circondato dalla barbarie democratiche occidentali, propagandato da una èlite conservatrice che pose fine alla Repubblica di Weimar appena quindici anni dopo. Chiare saranno le linee guida del libretto di Lion, peraltro significativamente intitolato una commedia burlesca tratta dagli Acarnesi e dalla Pace di Aristofane. Regno della metafora e della satira dunque. Qui l’eroe comico delle due commedie, il buon borghese Trigeo, viene visto come contrapposto a quello classico delle tragedie, per esempio Edipo, già messo in berlina dal Platen come simbolo dei romantici nazionalisti nel 1829. Un eroe che soffre per il suo essere uomo e che per i suoi limiti cede al Dio-destino e al Dio-guerra. Non è un aristocratico, ma è un pover’uomo vittima della politica alta, ragiona con la pancia e gli piace far godere le fanciulle in fiore. E’ un diverso che sale in cattedra e dialoga con i servi che lo guardano straniti. Ha speranza nel cambio fra destino e volontà, ma non intende lottare, quanto vivere appunto in Pace.
Il secondo pilastro del nuovo modo di commediare è allora per Trigeo – alias Lion Feuchwanger – la fantasia della comicità, il contrario dell’essere che è l’esistenza alla rovescia, vale a dire la trasgressione, la satira e la polemica, la licenza poetica e morale, la scelta di un mondo irreale. Solo così il mondo vincerà il male della guerra e della violenza, la libertà riacquisita dalla autenticità dell’uomo. Questa è la vittoria di Trigeo, ma anche del Pubblico, che da assente, si fa prima sorridente e poi sarà impressionato amante di quell’assurdo che guiderà il teatro moderno da Brecht a Pirandello, fino a Ionesco e Beckett.
Naturalmente, l’operazione di scrittura di Lion non fu accettata. L’utopia del mondo al contrario, della comicità della parola ambigua se non proprio sconcia, non riuscì nella Germania borghese e bigotta a scuotere le menti che durante Weimar e con la presa del potere di Hitler impose nelle Arti il c.d. ritorno all’ordine e la fine dell’Espressionismo, salvo a ricostituirsi nella Francia di Breton in forme d’arte di surrealismo e nel doloroso e sognante realismo magico di Chaplin nelle vesti del melanconico Charlot. Invero, neppure nella Potsdam del 1954, all’Hans Otto Theater, di tradizione libertaria, la riduzione in operetta della Pace ebbe successo, anche perché i dettami del realismo socialista della DDR respinsero con sdegno l’eroe comico che chiede al pubblico di cambiare le relazioni umane. Chissà che quasi settanta anni dopo la riproposizione di questa attualissima opera di Aristofane non riapra questa discussione a favore della Pace. L’utopia da sempre agognata e mai veramente conseguita.