Ospite d’onore dell’undicesima edizione del Festival della Poesia Europea di Francoforte sul Meno che si svolgerà dal 25 al 27 maggio 2018 nella metropoli tedesca, sarà Giuseppe Conte
Esponente di spicco del panorama culturale italiano e internazionale, rappresenterà l’Italia al Festival della Poesia. I suoi testi hanno determinato una fondamentale spinta al rinnovamento della poesia italiana. Le immagini che legano le pagine della maggior parte dei suoi lavori sono il mito, il mare e il sole. La sua poesia riesce a coniugare il mondo occidentale con quello orientale e a guardare dentro di noi.
Giuseppe Conte Imperia (Italia) nel 1945. Si è laureato in Lettere presso l’Università Statale di Milano, è stato collaboratore di riviste letterarie e redattore della rivista Il Verri diretta da Luciano Anceschi. Ha esordito nel 1972 con un volume come “La metafora barocca” (Mursia editore) e nel 1979 con “L’Ultimo aprile bianco” (Guanda, Società di Poesia), cui seguirà nel 1983 “L’Oceano e il Ragazzo”. In seguito, ha pubblicato altre raccolte di poesia, romanzi, saggi, libri di viaggio, libretti d’opera, testi teatrali. I suoi libri sono tradotti in Francia, Russia, Stati Uniti. Col romanzo storico “L’adultera” vinse il premio «Alessandro Manzoni-Città di Lecco 2008». Ultime opere: Viaggio sentimentale in Liguria (2010) e Il male veniva dal mare (2013). Nel 2015 la Mondadori ha pubblicato in un Oscar la sua intera produzione poetica (1983-2015).
Ci faccia partecipe del momento in cui ha capito che il suo ruolo nella società era quello di esprimersi attraverso i versi?
La mia passione per la poesia, e in genere per la letteratura e ogni suo genere, compreso il romanzo e l’opera teatrale, è nata sui banchi di scuola, al ginnasio, leggendo i classici. Italiani e stranieri. Prima ero stato appassionato di astronomia e di musica. La poesia mi sedusse forse perché era una sintesi delle mie passioni precedenti: aveva a che fare con lontananze cosmiche, parlava con la luna, il sole, le galassie, e aveva una musica segreta, silenziosa, non meno ritmica e dolce dentro di sé. Fatto sta che ho scritto qualche sonetto carducciano verso i 14 anni, ho letto tutto Shakespeare, poi l’incontro personale, fuori dalla scuola, con Baudelaire e i poeti maledetti francesi: da lì il desiderio di votarmi del tutto alla poesia, all’arte dello scrivere. Da lì il desiderio di una vita “poetica”, che non mi ha mai abbandonato.
Molte delle sue poesie hanno un carattere introspettivo. Come avviene, per Lei, la creazione poetica?
La creazione poetica è un mistero. Certe volte penso che avvenga davvero per quella prolungata esitazione tra suono e senso di cui parla magistralmente Paul Valéry. Spesso vengo percosso da una immagine o anche da un termine evocativo, intorno al quale costruisco poi il testo vero e proprio. Non sono di quelli che pensano di dover esprimere soltanto il proprio ego. Io aspetto di essere sollecitato da fuori, da lontano, per me sono importanti i flussi delle immagini, i movimenti, i viaggi. In genere annoto le prime parole su un taccuino minuscolo di quelli che stanno in tasca (scrivo quasi sempre in viaggio), poi le ricopio su un quaderno più grande e le correggo, poi le trascrivo sul computer, le stampo, e correggo ancora prima a matita, poi con la biro nera, poi con quella rossa. Poi riporto tutto sul computer e la poesia è pronta. Diciamo che l’ispirazione, folgorante, spesso tanto da far male alla nuca, deve per me sposarsi con il lavoro: l’assurdo e meraviglioso lavoro sulla parola perché abbia stile.
Che cosa significa essere poeta oggi? E qual è la sua funzione nella società contemporanea?
Il poeta è emarginato dalla società, non parliamo di quella italiana, dove le classi dirigenti sono digiune di cultura umanistica e di poesia in maniera spaventosa, e completamente succubi all’economia. Il poeta non ha più un ruolo sociale: però può esercitare un ruolo di ribelle, di contro accusatore, di portatore della bandiera del primato dello spirito. Così almeno la vedo io.
Quali sono gli autori che hanno contribuito alla sua formazione letteraria?
Come ho già detto, la mia formazione è avvenuta sui classici, dai 14 ai 18 anni non ho letto altro. I miei prediletti sono stati e rimangono Goethe, Foscolo, Shelley (che poi ho tradotto in italiano). Ma leggevo anche romanzi e soprattutto teatro, quello greco, quello elisabettiano e quello moderno sino a Beckett e Ionesco. Poi l’influenza totale di Baudelaire. Poi la scoperta del gigantesco Whitman (che ho tradotto in italiano). Ho sentito anche il legame con i miei conterranei liguri, Camillo Sbarbaro e Eugenio Montale, e poi con Ungaretti. La mia formazione è avvenuta anche su testi critici della grande tradizione occidentali, su testi filosofici, su studiosi come Mircea Eliade, James Hillman, Josph Campbell, e su autori come D.H. Lawrence e Henry Miller. Nel tempo, ho maturato un vero culto per Kavafis e Borges.
Nella sua poesia ha una grande rilevanza l’immagine del mito, del mare e del sole. Come questi tre elementi s’intrecciano nella sua poetica?
Il mito è stato il fondamento della mia poetica per anni: la mia riscoperta del mito è stata la riscoperta di un sapere delle origini che rispondeva alla domanda non del “come”, ma del “perché”, totalmente emarginate in una società dove prevale l’analisi e che ha espunto da sé il sacro e il mistero. Il mito mi ha permesso di rileggere la natura, di vederla abitata da energie divine, e di cogliere in ogni essere umano la persistenza di quel soffio originario, il soffio dell’anima, che lo muove verso il compimento del proprio destino. Attraverso il mito si rileggono i sentimenti, sottraendoli a ogni sdolcinatezza, e la natura, senza abbassarla a paesaggio, ma riscoprendone le forze primigenie attraverso le quali superare le condizioni di crisi, avvelenamento, spegnimento in cui la civiltà l’ha ridotta. Il mare è l’elemento fondamentale della natura, il serbatoio e l’origine della vita, il custode della comparsa di esseri viventi sul pianeta, un orizzonte di mutevolezza e di infinito verso cui guardare. Un mare fatto morire dalle grandi isole di plastica-spazzatura è il segno di una crisi planetaria da scongiurare, anche attraverso l’invenzione letteraria. Il sole è la fonte della luce, e io ho sempre pensato, seguendo un precetto di Victor Hugo, che, provenendo dal buio, era bello camminare su un sentiero di luce.
La sua opera “L’oceano e il ragazzo” (1983) venne salutata da Italo Calvino come un libro di svolta nella poesia italiana. Ci parli della Sua poesia.
L’Oceano e il Ragazzo uscì nel 1983, contenendo anche parti dell’Ultimo aprile bianco, del 1979. Uscì per volontà di Pietro Citati direttamente in tascabile e ricevette le lodi di Italo Calvino: il suo scritto divenne poi la prefazione all’edizione francese (che vinse il premio Nelly Sachs per la migliore traduzione dell’anno) e a quella americana. E’ il mio libro che ha avuto più irradiazione.
Per far conoscere i suoi testi ha scelto di essere presente su Internet. Il suo è un modo per avvicinare il mondo magico della poesia ai giovani?
Non demonizzo internet. Su internet si legge ottima poesia e poesia da quattro soldi, in una babele senza fine. Credo che come veicolo vada bene. I contenuti non cambiano. La poesia, lo dicevo in video ai partecipanti del concorso su internet di Self-poetry promosso dall’Ariston di Sanremo parla sempre delle stesso cose: l’amore, la vita e, anche se sembra paradossale, la morte. Facendo prevalere le ragioni del canto e della bellezza