I protagonisti della letteratura italiana: Ugo Foscolo
È noto che Ugo Foscolo aveva manifestato in più occasioni un animo refrattario ad ogni forma di compromesso con il governo reazionario austriaco, subentrato al governo napoleonico altrettanto tirannico, a sua volta elusivo delle secolari libertà della storica Repubblica Veneta ormai divenuta provincia dell’Impero Asburgico. Ugo, invece restava sempre ribelle, mai domo, fra lutti familiari, amori interrotti, delusioni per Napoleone e la nuova classe dirigente milanese non troppo diversa da quella abbandonata a Venezia, altrettanto mercantile e affarista ben integrata con la burocrazia austro/ungarica.
Nel 1804 è a Parigi, dove incontra il giovane Manzoni e dove amerà la donna della sua vita, Fanny Hamilton. Poi ritorna nel 1806 a Milano, dove insegnerà Letteratura Italiana. Scriverà “Aiace” contro Napoleone imperatore, poi si scalderà contro il poeta fautore del nuovo regime monarchico, Vincenzo Monti, circostanze che lo porteranno ancora una volta a tornare a Firenze. Qui tradurrà il “viaggio sentimentale” dell’inglese Laurence Sterne, suo modello intellettuale che lo convincerà a trasferirsi a Londra.
Nel 1813, tornerà a Milano, quando ormai l’odiato Napoleone abbandonerà l’Italia e gli Austriaci arriveranno per la gioia libertaria di un Foscolo diverso nella sua relazione con il mondo germanico, ma sempre in fuga, un viaggiatore ormai eterno per sanare la sua infelicità interiore. Quindi nel 1815 un breve soggiorno in Svizzera a Coppet da Madame de Staël e poi finalmente a Londra nel 1816, accolto dalla cultura inglese con benevolenza, docente di italianistica e saggistica letteraria, apprezzato portatore della storia d’Italia, da Dante a Petrarca, da Boccaccio ai classici latini. Solo che il carattere introverso, astioso, stravagante e pieno di rancore contro la nuova borghesia conformista lo renderà presto un isolato, anche perché la sua notoria passione per “Bacco, Venere e gioco”, lo porterà prima in prigione per debiti (1824); poi alla povertà negli “slums” portuali e infine alla morte per tubercolosi nel 1827.
È nota anche l’attenzione del Foscolo per la “Commedia”, che assunse risonanza nella cultura anglosassone nel decennio fra il 1816 e il 1827 durante gli anni d’esilio a Londra . Tuttavia gli studi giovanili sull’Alfieri e sul Vico gli furono molto utili in merito. Già nell’Ode “A Dante”, nel 1795, aveva espresso un canone interpretativo non solo di lode per il poeta fiorentino. Qualche anno dopo infatti, nel 1803, all’interno di una sua ballata, “La chioma di Berenice”, formulò un principio che estese per sé e per Dante, cioè che la poesia era uno strumento magistrale della relazione fra gli uomini e che perciò i poeti primitivi, nonché gli storici e i teologi, avevano sempre vissuto eroicamente, in età spesso particolarmente aperte alle innovazioni politiche ed estetiche. Convincimento vichiano, ma anche derivato dalla lettura comparata di Omero e di Shakespeare. Era stata la religione greca – e anche quella celtica anglosassone – a dare a Ugo un sentimento metafisico, lontano dalle elucubrazioni moderne posteriori alla ragione cartesiana. Come aveva notato il Goethe, solo il Tasso aveva scelto la strada di una religione epica, fuori da ideologie di una ragione metafisica, confronti che per Foscolo sono più di una contraddizione teorica. Nondimeno, in quella prima considerazione critica proprio sul greco Callimaco, Foscolo rompeva un tradizionale criterio illuministico contrario alla tempestiva irruenza, maturata piuttosto nel giovanile tumulto passionale che emergeva dalle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, poema ormai romantico a tutti gli effetti, dove il rigetto delle idee meschine e rassegnate al ritorno dell’ordine legittimista, gli aveva fatto riscoprire il “Werther” tedesco, esemplare nell’identificare la morale nell’estetica. Soprattutto, il chiaro intento del Foscolo di dipingere Dante a sua immagine e somiglianza, emergeva fin dal 1807, quando aveva pubblicato un celeberrimo verso dei “Sepolcri”, dove appunto la qualificazione di Dante come “Ghibellin fuggiasco”, non solo indicava la natura escapista del fiorentino, non solo la relazione storica della alleanza fra gli esuli bianchi e quelli Ghibellini allo scopo di ritornare a Firenze; ma anche la peculiare natura democratica e libertaria in cui era pervenuto. Dante gli era sembrato il nemico assoluto della oppressione papale, avara e traditrice dell’originaria fede cristiana. Senza contare il fatto – dichiarato più volte agli amici favorevoli all’Impero – che il volontario esilio e il rifiuto di rientrare di Dante, gli era familiare proprio perché il risentimento gli sembrava il modo migliore per giustificare l’inspiegabile e borghese ritorno all’ordine, che per Foscolo era una resistenza passiva vacua e una resa incomprensibile. Del resto, i carteggi del Foscolo con amanti e amici fra il 1809 e il 1816 si erano limitati ai profili unicamente estetici e solo nel 1817 si rifece alla situazione di Dante. Per esempio, discutendo a Pavia nel suo primo e breve incarico universitario, della moglie Gemma di Dante; e chiedendosi del perché non lo avesse mai raggiunto.
Foscolo, pensando ai tanti amori intrapresi, ma poi abbandonati, tentò di giustificarla per i rischi dei figli. Ma Ugo però ribadiva che sarebbe stato altamente etico bere lo stesso calice, come Giulietta farà di Romeo e in armonia alla figura di Piccarda Donati, che seguì la triste sorte del marito Corso (vd. Paradiso canto III, vv. 48 e ss.). Ma che Dante fosse diventato per Foscolo, nei suoi lunghi anni di pellegrinaggio nel Continente e poi esule più stabile in Inghilterra, un modello ideale di “grande Uomo” – si badi che questa qualificazione e ammirazione la si ritroverà in Thomas Carlyle quasi 30 anni dopo! – lo si rileva da due famosi articoli sull’”Edinburgh Review”, nel febbraio e nel settembre del 1818, tradotti dai primi suoi amici scozzesi, James McIntosh e F. Jeffrey, guarda caso due giornalisti letterari letti dal giovane Carlyle. Il tema era quello di Dante, espressione della cultura del Medioevo, in contrasto con la Chiesa e quasi un precursore di Lutero (si vedano anche gli interessanti dialoghi di Dante e Bonifacio VIII nella “docufiction” di Giorgio Prosperi nello sceneggiato “Vita di Dante “, prodotto dalla Rai nel 1966, a 700 anni dalla nascita di Dante, ora visibile su Raiplay, con un ottimo Albertazzi nei panni del poeta).
Orbene, Foscolo fissa alcuni punti della sua originale critica: 1) il poema di Dante è una foresta inesplorata e i primi viaggiatori non ne hanno capito e individuato le strade per percorrerla; 2) i viandanti del secolo postillumista hanno di fronte mappe razionali troppo pretenziose e dimenticano lo spirito religioso che lo pervade; 3) le immagini forti, i dirupi, i mostri e le masse di persone, ovvero i singoli spiriti hanno un fuoco sacro o profano a seconda dei gironi che li espone a passioni che l’età illuminista aveva disilluso; 4) Dante è visto come un eroe che in diversi momenti vive le esperienze che l’uomo subisce nel corso della vita: l’inferno, ovvero l’ardore giovanile, il purgatorio come tentativo di rassegnazione e di lotta finale; il paradiso, l’utopia dell’uomo nell’empireo accanto a Dio. In una parola, la compresenza del modello omerico barbarico e primitivo e del modello virgiliano, uno stile estetico che Foscolo apprende dallo Shakespeare e che tende a ritrovare nel Vate fiorentino.
Nei due lunghi articoli inoltre predomina la storia medievale e polemizza con il critico conservatore romano F. Cancellieri, che nel 1814 aveva opposto alle sue teorie romantiche una interpretazione prettamente tomista e filo papista. Foscolo nei due articoli insiste poi nella vocazione storica del poeta fiorentino e nel suo desiderio di libertà e di indipendenza, mentre appare sfocata e superficiale all’altro poeta di quell’epoca il Petrarca, interpretato, forse ingiustamente, come un Poeta chiuso nella torre d’avorio, dall’estetica ancora legata al mondo cavalleresco, alla tradizione dello stilnovo, che Dante tenderebbe a metabolizzare, salvo lo splendido affresco dell’episodio di Paolo e Francesca. In altri termini; Foscolo nel 1823, in un suo successivo saggio comparativo fra Dante e Petrarca, non trova alcun merito nel secondo, che egli giudica un bravo rimatore, ma un pessimo storico. Rispondendo a un giudizio quasi positivo dello Schlegel, caposcuola dei romanticisti tedeschi, però il Foscolo non abbandonava la sponda classica, che il Goethe gli aveva comunque riconosciuto. Il Petrarca rimaneva un grande poeta della stessa epoca; che il suo silenzio sulla famiglia e su Gemma era un segno di pietà e non di disinteresse.
Insomma, le bruttezze e le lordure dell’inferno – già segnalate criticamente da Goethe – andavano storicizzate per la natura e lo spirito violento dell’epoca, come il Boccaccio e il Villani, primi commentatori della “Commedia”, avevano in seguito rilevato. Foscolo non fa che mediare “il political correct” della critica anglosassone che guardava a linguaggio classicheggiante; all’asprezza dei toni e delle figure fuori da quegli schemi. Una sostanza forte e una forma spesso non lieve, adattando la storia terribile dell’età medievale allo spirito gentile e psicologico episodio per episodio, fino ad arrivare alle versificazioni sublimi del paradiso. Allegorie e realtà, contrappasso e disegno concreto, durezza e semplicità: questa era la critica foscoliana,che già preludeva all’analisi che negli anni ‘60 del’800 si vedrà emergere nell’interpretazione del De Sanctis, storicisticamente legata a figure storiche presenti nelle trame del fiorentino, sia pure farcite di fantasia. Foscolo certamente fu influenzato dai quadri orridi del pittore svizzero Heinrich Füssli,che dipinse la battaglia di Campaldino nel 1289, dove Dante partecipò e dove morì il nobile Conte Bonconte da Montefeltro, capo dei Ghibellini. Nel canto V del purgatorio, immaginò la famosa scena del pentimento del Conte in punto di morte, dove questi invocò Maria e morì “forato nella gola”, ma mettendo le mani in forma di croce. Un atto di pentimento alla fine di una vita lussuriosa e violenta, ma tale da convincere l’angelo della morte a portare l’anima non più all’inferno, ma al purgatorio. Di qui, una tremenda tempesta scatenata dal diavolo che produrrà l’esondazione dell’Arno e la dispersione del cadavere. Proprio nel 1825, Foscolo espone a Londra l’opera critica di Dante più famosa, “Il discorso storico sulla Commedia di Dante“.
Forte delle impressioni drammatiche di quel quadro, Ugo ripropose, stavolta direttamente in inglese, sia le predette conclusioni critiche di stampo storico; ma anche un pensiero nuovo e alternativo sulla “Commedia”. Questa avrebbe proclamato la nuova cristianità, uno spirito rinnovatore della cultura tradizionale, con Dante novello Gioacchino da Fiore e con Lui stesso profeta del Nuovo Cristianesimo e sacerdote del cattolicesimo. Un inno alla religione cristiana – in armonia ad una certa lettura dei “Sepolcri” dove però rimane protettore della Fede e fiero avversario del potere temporale della chiesa. Anzi, il viaggio di Dante nell’oltremondo sarebbe stata una visione vera, come l’Apocalisse, non un viaggio fantastico, né allegorico, né orrido. Un viaggio che Dante avrebbe intrapreso da eroe antipapale, quasi un Savonarola “ante litteram”. Era un messaggio di rinnovamento che Foscolo aveva finalmente rielaborato salendo “le scale altrui”, mangiando il sale della solitudine e morendo povero in terra straniera, travolto da debiti e non certo nella pace dei sensi. “Il discorso storico” sarà nel 1842 raccolto dal Mazzini e fatto pubblicare a Livorno, il cui originale è lì depositato in quella città che amò Ugo esule. Di questo superbo complesso di critiche al Nostro maggiore poeta, il Carlyle ne farà attenta lettura e ci consentirà di capire finalmente le linee ideali troppo superficialmente confinate nell’estetismo di quel secolo e in quel Paese ormai indirizzato al mero materialismo economico.