Veronica Vitale I-VEE è pianista, imprenditrice per l’industria discografica statunitense, attivista per i diritti dell’infanzia, per l’emancipazione femminile e per lo sviluppo sostenibile, socialmente impegnata nella lotta contro il bullismo e l’abuso di potere
Il desiderio di cantare in Italia che si ha quando si nasce all’estero: Come nasce questa direzione “contraria”?
Il mio primo contratto discografico è stato firmato a Frankfurt am Main, e dal 2010 al 2011 ho scalato le classifiche delle vendite di Amazon proprio in Germania, Svizzera ed Austria, cantando in italiano, reinventando lo stile del pop italiano ed elevandolo alla pari dell’inglese in soli tre mesi dalla firma. L’Italia era concentrata sui talent show in quegli anni, il resto non esisteva. In tutto quello che ho fatto, ho sempre gridato a voce alta “Anche io sono Italiana. Io esisto”. L’Italia nel mio caso deve essere una conseguenza. Sono italiana e la mia storia appartiene alla mia nazione. Sono stanca di sentirmi, una persona senza terra. Tutti hanno “casa”… lì dove sono nati, io mi sento spesso come Rufio in Hook, sono stata adottata dall’isola che non c’è.
Cos’è per te la glitch art?
La glitch art utilizza degli errori digitali o analogici a fini estetici. La glitch art può far riferimento ad un video o un’immagine in cui vengono lasciati integri i difetti visivi. Chi fa glitch art “cattura” l’immagine distorta durante la riproduzione di un filmato o manipolano la figura aggiungendo quei determinati difetti. Vista sotto questo punto di vista, devo dire che io mi sono sempre sentita un piccolo glitch, niente di più che un difetto di sistema. Per qualcuno io non dovevo nemmeno esistere.
Come la integri nelle tue composizioni artistiche?
Nelle mie composizioni la glitch art è presente in fini, quasi impercettibili stridii, distorsioni, e sonorità atonali. I miei arrangiamenti (più che le mie composizioni che al contrario nascono direttamente al pianoforte) trovano radici nell’arte del rumore, spesso costituiti dai suoni del paesaggio urbano. Dal 2016 vado a catturare i suoni dell’ambiente in cui mi trovo, il suono puro, con la sua velocità e energia frenetiche in cui si trova. Tanto “Soundscape” e “Noisescape”, è una fotografia dinamica della città, una memoria interdimensionale di un posto.
Hai anche tre lauree con il massimo dei voti: come hai scelto la direzione di studi, perché così tante e quanto impegno ti sono costate?
Ho sete di sapere e conoscenza. Voglio essere “awake” e “presente”, sapere e capire il mondo in cui vivo, il passato che mi ha portato ad essere qui dove sono ed abbracciare al meglio l’iper futuro verso il quale siamo diretti. Innanzitutto io credo che un artista debba essere anche una persona di cultura e di scienza, sono stanca dei media che mostrano l’immagine di artisti ignoranti e senza argomenti. Inoltre una donna deve dimostrare sempre il triplo del suo valore per essere presa in considerazione. Infine, sono cresciuta all’ultimo banco, tra gli ultimi, mi dissero che nella vita non avrei fatto mai nulla di buono, ma quando all’università sono stata libera di scegliere il “metodo” ed il ritmo della mia educazione, presentavo anche 7 o 8 esami a trimestre, finendo con lode ad ogni esame, il successo di una donna deve sempre essere giustificato, almeno per ora, la cultura è la mia terra ferma, dove posso combattere con gli squali della calunnia e dell’invidia.
Che importanza ha la Germania nella tua carriera musicale? Come mai non hai deciso di restarci?
Tutto ciò che sono e che ho, è partito dalla Germania non dall’Italia. Ho avuto tanto dalla Germania, tutto quello che non ho mai ricevuto dall’Italia. La Germania è stato il mio inizio, ma è stata una scalata su una cima ghiacciata. Ricordo proprio lì anche gli anni della più grande solitudine artistica che abbia mai vissuto. Dopo due anni a Francoforte, è arrivato il momento di andare all’appuntamento con la vera me stessa. Sono andata a prendermi, e per farlo mi sono spinta fino ad Oahu, nel Pacifico. Ci tengo a dire che la precisione tedesca, l’impeccabilità del dettaglio, mi hanno resa leader nel mio settore, ma solo negli Stati Uniti ho trovato la libertà creativa ed espressiva che cercavo. In Germania sono decollata, ma è solo nel resto del mondo che ho finalmente capito cosa significava “volare”.
Sei anche impegnata socialmente: perché?
Perché l’artista è un messaggero. Non un prodotto. La mia arte è una chiamata verso l’umanità, la tenerezza ed il cambiamento.
Durante il Lock-down hai composto “HYMN to HUMANITY”. Ritieni che il messaggio trasmesso sia stato recepito?
Laddove la mia preghiera per l’umanità è arrivata, ho visto cose straordinarie accadere e fiorire. Anche nel mio dimenticato dei deserti.
Cosa rappresenta per te il tuo ultimo lavoro “TRANSPARENT” per la tua carriera?
L’affermazione pubblica ed internazionale del mio stile artistico definito. Senza punti di domanda o esitazioni. Ogni dettaglio è curato ed affrontato esattamente come volevo. “TRANSPARENT”, proprio come ogni produzione in arrivo, ha caratteri decisi e delineati a chiare lettere. Inoltre, amo i concept di quello che io ed il mio team stiamo realizzando. In “TRANSPARENT” divento trasparente tra i fotogrammi dell’intero video musicale ed è un inno contro l’odio, il bullismo, il cyber-bullismo e la discriminazione.
Altri progetti in cantiere?
Lavorando 365 giorni, 24/7, sempre in studio di registrazione, puoi immaginare quanti brani ho composto e quanti sono “scheduled for release” (programmati per il lancio)? Ad un mese dal lancio di “TRANSPARENT” abbiamo pubblicato “NOBODY IS PERFECT” (Nessuno è perfetto), un brano che ho integralmente composto io, in duetto con la star del funk americano Bootsy Collins. Siamo entrambi stati ospiti al MusikMesse nel 2011. Indimenticabili, quegli anni. Grazie per avermi accolto. È una cosa che rifarei, per quanto difficile, un milione di altre volte. Perché ne è valsa la pena.