Festival Verso Sud, dicembre 2017. Al Museo del Cinema incontro Franco Montini, il giornalista che stabilisce i film italiani per il pubblico di Francoforte. Dopo un caloroso abbraccio, mi presenta Marco Danieli, un giovane regista con diverse esperienze televisive, documentariste, cortometraggi. Danieli parla con difficoltà. Ha un brutto raffreddore rimediato a Mosca, dove era stato a far conoscere il suo primo lungometraggio “La ragazza del mondo” il film che vedremo stasera. È un anno ormai che Danieli, con grande soddisfazione, si confronta col pubblico in giro per il mondo. “Beh! Sì. Non mi aspettavo che il film partecipasse a così tanti festival sia in Italia che all’estero. All’inizio è stato scelto a Venezia, vetrina che ha un po’ lanciato il film. Ha avuto tanti riconoscimenti non solo in Italia ma anche all’estero e quindi è stata una sorpresa”.
Prima di parlare del film scopro con piacere l’atteggiamento positivo che Danieli ha nei confronti dell’Italia. È uno dei pochi a non colpevolizzare la politica. Il suo è un atteggiamento da seguire perché se uno vuole può arrivare a raggiungere la meta anche in Italia
Non mi piace parlar male del mio Paese. Ho sempre dato la responsabilità a me stesso più che al mio Paese per una serie di limiti che ho oppure di insuccessi o di mancati obiettivi della mia carriera, delle mie passioni. È vero comunque che non è facile per un talento affermarsi. Parlo di tutti i campi, quindi, sicuramente, se ne sprecano tanti di talenti. Magari ci sono delle persone anche molto talentuose che non hanno quell’ostinazione che ci vuole per poter emergere in un Paese dove appunto non vieni molto accompagnato. Però, detto ciò, io posso dire pure che ho frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia. Per me è stata una grandissima opportunità. La scuola Nazionale di Cinema, c’erano sei posti…L’Italia è un Paese complesso, ma poi abbiamo delle cose che magari all’estero non ci sono perché per es. le scuole di cinema all’estero spesso si pagano, anche quelle nazionali.
Le nostre scuole di cinema sono gratuite?
Io non l’ho pagata perché era una scuola statale. Adesso ci sono delle tasse universitarie che però sono molto basse rispetto al costo esagerato di quelle all’estero.
Torniamo indietro nel tempo. Hai trascorso parte della tua vita a Perugia. Devi qualcosa a questa città?
Beh! Se non fossi arrivato a Perugia probabilmente non farei questo lavoro, cioè il mio interesse per il cinema è arrivato da un precedente interesse per il teatro che si è attivato proprio a Perugia, al ‘Teatro di Sacco’ di Roberto Biselli. Sono arrivato a Perugia che avevo 11 anni. Mio padre lavorava in carcere, faceva l’educatore. Da Tivoli, passando per l’Emilia Romagna, siamo arrivati a Perugia dove i miei genitori sono rimasti a vivere. Sicuramente Perugia era una città che offriva abbastanza. C’era un’offerta culturale importante anche per i bambini, per i ragazzi. Oggi credo che sia cambiato. La cosa principale che è cambiata è che una volta tutto era legato al partito comunista e poi dopo alla sinistra moderata, diciamo al PDS. Tutta l’espressione culturale della città veniva da lì. Adesso credo che la cosa sia diversa nel senso che ci sono delle attività che vedo vivaci, indipendenti dalla politica.
Quanto sono importanti gli attori per un regista?
Gli attori per noi sono metà del film. Ci puoi avere una storia straordinaria ma se poi sbagli gli attori e il cast spesso rischi di rovinare tutto. Un attore bravo spesso non si limita ad interpretare pedissequamente il copione ma dialoga col regista, aggiunge delle cose. Michele Riondino è un attore molto bravo. È un attore raro in Italia perché ha un approccio, mi verrebbe da dire americano, cioè lui è un attore molto trasformista, non si lascia semplicemente plasmare dal regista o usare. Lui è uno che proprio si cala, costruisce un personaggio. Lui è lontanissimo dal personaggio che ha interpretato nel mio film. Non è neanche romano per dire, è pugliese. Anche Sara Serraiocco ha una grande capacità, è un’attrice che continua ad avere una grande naturalezza. Il naturalismo che io cercavo. È bastato un provino ed è stata confermata subito.
Veniamo ora al film “La ragazza del mondo”, con il quale Danieli ha vinto il premio Donatello come migliore regista esordiente. È un film ispirato alla realtà. Una sua amica aveva avuto un’esperienza simile. Non è un film di denuncia, ma una storia di emancipazione. Il film porta alla luce il severissimo mondo del Movimento religioso nato nel 1870 in Pennsylvania e oggi presente in ogni dove.
Giulia, la protagonista femminile, ligia al dovere, incontra Libero, che dopo aver frequentato il mondo della droga, vuol mettere la testa a posto e comincia a lavorare. Sono due mondi lontani che si attraggono, che vorrebbero qualcosa di diverso.
La storia d’amore permette a Giulia, di mettere in discussione la sua credenza religiosa e, dopo varie vicende, riesce a liberarsi dal pesante disagio che la soffoca. Col tempo però si allontana anche da Libero, nel frattempo ricaduto nel mondo della droga e, finalmente, riuscirà a decidere autonomamente.
Il nostro regista per farsi un’idea, per poter capire la comunità dei Testimoni di Geova, ha partecipato alle loro adunanze, ha frequentato per mesi quella realtà. Non solo Danieli ma anche Sara Serraiocco, la protagonista femminile. Danieli ha intervistato ex-testimoni di Geova perché l’idea iniziale era fare un documentario su quel mondo.
Cosa significa “La ragazza del mondo”?
“La ragazza del mondo” prende spunto da un’espressione usata dai Testimoni di Geova per indicare tutte le persone che non appartengono al loro movimento religioso. Il mio film ha come protagonista una ragazza che proviene da quel contesto culturale religioso e s’innamora di un ragazzo “del mondo” perché vengono chiamati così… perché il mondo viene da loro continuamente stigmatizzato.
Anche qui in Germania, tra gli Italiani per es., ci sono molti testimoni di Geova.
La prima comunità al mondo è quella negli Stati Uniti con ca. 3 milioni. Quella italiana è la più grande comunità d’Europa. Sono circa 300/350mila credo, che però sono numeri importanti considerando che sono persone che non sono come i Cattolici che magari sono battezzati e non praticano. Loro di solito praticano. Il Testimone di Geova è osservante fino in fondo. Tutti fanno proselitismo, parte integrante.
Perché si diventa Testimoni di Geova? Forse la Chiesa cattolica non è presente come dovrebbe? In certe zone, ragazzi cattolici frequentano gli Horte, luoghi di ritrovo pomeridiani, che spesso sono gestiti da evangelici
Si è insoddisfatti del Cattolicesimo. Persone che hanno bisogno di qualcosa di più forte in un Paese sempre più laico politicamente. È anche una risposta alla solitudine, vuol dire avere un amico per dividere il pomeriggio.
Cosa succede alla persona che lascia la Comunità?
Alcuni aspetti controversi dei Testimoni di Geova sono legati a delle pressioni di natura psicologica. Cosa fanno? Niente. Ti ignorano. Loro distinguono tra una persona che si è battezzata e una persona che non si è battezzata. Se tu sei battezzato e lasci, a quel punto tutte le persone che ti conoscono ti tolgono il saluto. I familiari in teoria no, dovrebbero continuare ad avere un rapporto sentimentale con te, non più spirituale. Però poi tutto si complica, la famiglia si spacca, ecc. ecc.
Siamo così negative noi “persone del mondo”?
Assolutamente. Il mondo è un luogo di perdizione e solo il movimento dei testimoni di Geova, movimento religioso radicale, possiede la verità. Bisogna tenersi lontani dal mondo. Ovviamente loro stanno nel mondo perché ci vivono però cercano il meno possibile di mischiarsi con le persone del mondo quindi magari fanno un lavoro, ci lavorano perché ovviamente hanno bisogno di lavorare e vanno a scuola però poi le amicizie cercano di non farle troppo approfondire. I Testimoni di Geova sono in guerra col mondo, luogo di perdizione. Pure secondo noi. Anche noi pensiamo che sia facile perdersi, ma anche ritrovarsi. Bisogna confrontarsi con questo mondaccio ed è per questo che Sara non ritorna indietro.