Un convegno organizzato da cinque università italiane dedicato a Monte Sant’Angelo, cittadina in provincia di Foggia, da secoli meta di pellegrinaggio da tutta l’Europa. Ora è candidata a diventare Capitale della cultura nel 2025
«Vi sono luoghi, come il Gargano, naturalmente eletti per favorire l’incontro fra l’uomo e il divino. Per millenni generazioni e generazioni ascesero alla montagna sacra e terribile, per raggiungere le vette e gli anfratti segreti “abitati” dalle divinità. A partire dal V secolo per tutto l’arco del Medioevo e oltre, potente polo di attrazione, sulla vetta del monte, fu la spelonca sacra all’Arcangelo Michele: un celebre luogo di culto pagano trasformato in fulgido centro di religiosità cristiana; oggi, dopo mille e cinquecento anni, incluso dal Comitato UNESCO nel novero dei siti Patrimonio mondiale dell’umanità». Queste parole, suggestive nella loro liricità, rappresentano l’incipit di un saggio su Monte Sant’Angelo, scritto alcuni anni fa dalla prof.ssa Maria Stella Calò Mariani, stimata storica dell’arte che ha dedicato gran parte dei suoi studi e delle sue ricerche alla Puglia. I cammini che, nel corso dei secoli, hanno condotto moltitudini di pellegrini a Monte Sant’Angelo hanno svolto non solo la funzione, fondamentale, di permettere di raggiungere il luogo di culto dell’Arcangelo Michele, ma anche quella, forse più importante, di creare negli individui la consapevolezza del valore della partecipazione e della condivisione. Senza nulla togliere al culto dell’Arcangelo, il vero scopo del pellegrinaggio era l’atto stesso del percorrere la strada. Ovvero il percorso stesso. Ma quali erano le strade percorse dai pellegrini?
Di vie micaeliche si è parlato, sabato 20 agosto, a Molinara, minuscolo paesino in provincia di Benevento, in un convegno organizzato da diverse Università (Milano, Bologna, Foggia, Bari, Lecce), dal Centro studi storico-archeologici del Gargano, dalle associazioni culturali Benevento Longobarda e Italia Longobardorum, e con il supporto dell’amministrazione comunale rappresentata dal Sindaco Giuseppe Addabbo. Titolo del convegno, “La via micaelica: il cammino, il culto, i Longobardi”. Gli interventi sono stati tutti interessanti. Tra essi vogliamo menzionare quelli del prof. Gabriele Archetti e del dott. Giuseppe Sommario (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e del prof. Renzo Infante (docente di Storia del Cristianesimo all’Università di Foggia).
Archetti ha sottolineato l’importanza della memoria storica, del suo recupero e della sua salvaguardia. Ha affermato che essa “ha senso soltanto se collegata alla vita di tutti i giorni”, il che significa promuoverne le ricadute in modo intelligente sul turismo e sull’economia dei territori. “Per farlo”, ha aggiunto il professore, “non dobbiamo inventarci nulla: bisogna soltanto mettersi a studiare. Se conosciamo le nostre radici le possiamo vendere, altrimenti le perdiamo. La cultura, dal latino colere (coltivare), è qualcosa che resta nel terreno, che lo feconda, che lo trasforma lentamente, che ne fa crescere i frutti”.
Nel suo intervento “Da Benevento a Monte sant’Angelo. La via Francigena del Sud”, Renzo Infante ha parlato della relazione tra percorsi e ospizi, questi ultimi intesi (e documentati) come luoghi, di sosta e di accoglienza, ubicati lungo le vie di comunicazione. “Ma ciò non basta”, ha puntualizzato Infante, “ci vogliono anche e soprattutto i racconti delle persone che sono passate da quei luoghi e lungo quelle strade. Togliamoci dalla testa l’idea che si trattassero di strade percorse unicamente dai pellegrini. Erano le stesse strade che percorrevano tutti, eserciti, commercianti e anche i pellegrini. Se vogliamo rilanciare il presente in modo serio dobbiamo studiare il passato partendo dalle fonti”. Infante ha poi fornito alcune precisazioni sulle origini del culto dell’Arcangelo Michele (che santo non è) riconducibili al VII o forse al V secolo, probabilmente in epoca bizantina, o anche prima. “Il culto fu portato a Monte Sant’Angelo da monaci provenienti dall’oriente dove era diffuso tra gli ebrei e i cristiani. Approdando in occidente trovò nel monte Gargano la sede geografica ideale per il suo sviluppo (un monte, un bosco, una grotta, l’acqua). Raggiunse l’apice durante l’epoca crociata con l’arrivo di pellegrini dall’Europa del Nord inclusa l’Islanda. Quando, nel XIV secolo, le crociate terminarono, il culto diventò di tipo regionale e tale è rimasto fino alla fine del secolo scorso. Ebbe nuovo impulso grazie a Padre Pio, con i pellegrini diretti a San Giovanni Rotondo che facevano la deviazione a Monte Sant’Angelo”.
Concludendo il suo intervento il prof. Infante ha sottolineato che le vie dei pellegrinaggi rimasero le stesse per secoli, nonostante i cambiamenti nell’intensità dei flussi e nella provenienza dei pellegrini. Le vie più importanti erano da nord la litoranea, da ovest la Traiana. Seguendo la Traiana, da Benevento si arrivava a Troia e poi di qui due “bretelle” (una da sud che passava da Herdonia, l’altra da nord che attraversava Lucera e Arpi) conducevano alle pendici del Monte Gargano. Una terza bretella da Troia raggiungeva Foggia. Di qui si arrivava a San Leonardo presso Siponto, poi a Macchia e a Monte Sant’Angelo. Grazie alla centralità della sua posizione geografica, Foggia era “crocevia di pellegrini” (espressione questa usata da Infante quale titolo di una relazione presentata in un altro convegno nel 2018).
Molto interessante è stato anche l’intervento del dott. Giuseppe Sommario riguardante “il turismo delle radici e il rilancio delle aree interne”. Il turismo delle radici è il turismo che punta a far ritornare nei loro paesi di origine i figli dei migranti italiani di seconda, terza e quarta generazione. Sta avendo il sostegno dello Stato italiano tanto che il Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ha destinato dei finanziamenti ad hoc per questa forma di turismo. Riguarda le aree interne “perché si tratta di aree in sofferenza, aree riguardanti i piccoli comuni maggiormente colpite dall’emigrazione”. In esse il turismo delle radici può diventare, ha sottolineato il dott. Sommario, un elemento “trainante e trainato, un’occasione di rilancio e di rinascita per i circa 5.000 comuni del Sud Italia che sono a rischio chiusura. Paradossalmente possiamo dire che più un comune è stato colpito dall’emigrazione, più il turismo delle radici può essere un occasione per rinascere”. Sommario ha poi fornito le cifre: negli ultimi 150 anni dall’Italia sono partiti 30 milioni di italiani ed oggi si stima che gli “italo-discendenti” siano 80 milioni. Quasi 6 milioni sono gli iscritti all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero).
“Una cifra equivalente alla seconda regione dopo la Lombardia, l’unica che cresce demograficamente. Le storie di questi italiani non sono state raccontate. C’è stata una negazione di queste storie. L’Italia viene descritta come un paese invaso e non come un paese della diaspora. Anche attualmente le cifre sono impressionanti, l’anno scorso in piena pandemia dall’Italia sono andati via oltre 150.000 italiani e non parlo dei cosiddetti cervelli in fuga. Nessun partito o schieramento politico ha nella sua agenda politica il problema degli italiani all’estero, cosa che contribuisce a non averne consapevolezza. Il turismo delle radici certamente non risolverà il problema dello spopolamento. È però un’occasione per creare interesse verso le aree interne a patto che da qui al 2024, anno che il Ministero degli Esteri ha proclamato «Anno del Turismo delle radici», quelle stesse aree si attrezzino per diventare competitive”.
Altro elemento che potrà contribuire a far rinascere l’interesse sarà quello delle relazioni tra chi è partito e chi è rimasto e la capacità di comunicazione intergenerazionale. E qui si apre l’altra questione, anch’essa problematica e controversa, quella della lingua italiana che in molti casi è andata perduta (ma anche molto amata e studiata all’estero) e il cui recupero potrebbe rappresentare un ulteriore elemento motivante per il turismo delle radici in una prospettiva culturale di più ampio respiro, non legato solo al borgo di provenienza, alla visita al cimitero e ai parenti rimasti, ma orientato all’Italia come sistema-paese nel suo insieme.
Ma torniamo all’Arcangelo Michele e a Monte Sant’angelo. La cittadina è candidata Capitale italiana della Cultura del 2025 insieme ad Agrigento, Aosta, Assisi, Asti, Bagnoregio, Reggio Calabria, Enna, Lanciano, Orvieto, Otranto, Peccioli, Pescina, Roccasecca, Spoleto e Sulmona.
Entro il 13 settembre le città candidate dovranno presentare il proprio progetto culturale, della durata di un anno, con un crono-programma delle attività previste. La procedura di selezione si concluderà il 17 gennaio 2023.