Ho conosciuto Michele al Sit’n’breakfast, un piccolo e pittoresco bar-libreria nel centro di Firenze1, un pomeriggio estivo: era seduto a un tavolino nel cortiletto, sotto l’ombrellone. Stava parlando ad un paio di ragazze del suo corso di scrittura, che avrebbe tenuto come insegnante, in quel locale. Il corso mi aveva incuriosito, così mi sedetti anch’io al tavolo – dietro suo invito – e mi unii alla conversazione.
Classe 1980, palermitano d’origine greca, residente a Prato, laurea in Ingegneria Aerospaziale, insegnante di scrittura, matematica e scienze (il rigore scientifico è infatti evidente nelle sue opere): ha pubblicato al momento tre volumi “in solitaria” oltre a molti racconti sparsi su antologie. Solo racconti. Niente romanzi o poesie. Ho avuto modo poi di leggere un suo testo pubblicato nell’antologia di una passata edizione del corso2 e subito ho sentito un’affinità artistica, ho capito che era un autore da approfondire. Ho avuto questa occasione di recente, trovando un suo libro nello scaffale del libero scambio della già ricordata libreria, dove tiene i suoi corsi. L’ho preso e la lettura mi ha subito rapito, tanto che l’ho finito in un paio di giorni e me lo sono poi fatto prontamente autografare dall’autore, il quale mi ha voluto regalare anche un altro suo libro, Seventeen, di tutt’altro genere: uscito nel 2017, come suggerisce il sottotitolo (17 storie senza eroi di ordinaria meschinità) raccoglie diciassette racconti ispirati ai dieci comandamenti più i sette peccati capitali, prende la religione a pretesto per trattare di tematiche sociali ed è un vero pugno nello stomaco, perfino eccessivo per un lettore come me.
Il primo libro in questione invece è uscito nel 2013 ed è l’opera di esordio di Michele Protopapas: I racconti del Behcet. Il titolo fa riferimento alla malattia rara di cui soffre che, come racconta lo stesso autore nella premessa, ha fatto sì che si dedicasse alla scrittura. Si compone di sette racconti di genere fantastico, tra l’horror e la fantascienza. Lo stile è avvincente, semplice, piano, senza fronzoli ma non piatto o banale; si sente lo stile dello scrittore, i personaggi sono vivi, tridimensionali.
Cominciamo con I Mendicanti di Breslavia che, dopo un inizio “normale” (una donna d’affari deve tornare a Parigi dalla Polonia per una riunione di lavoro) siamo presto catapultati dapprima in un’atmosfera inquietante (la strana agenzia di viaggi dove la protagonista riesce a trovare un biglietto per il treno, con un criptico riferimento alla trappola del ragno) e successivamente in una vicenda ai confini della realtà, con la povera Sylvie prigioniera in un luogo fuori dallo spazio e dal tempo, in un incubo senza via d’uscita con la compagnia di altri viaggiatori sfortunati come lei, presi anch’essi nella trappola di un “ragno” avvolto nel mistero ma che intuiamo essere potentissimo e malvagio. Il crescendo di angoscia e di orrore è magistrale.
Non meno raccapricciante, e in qualche modo legato al primo per la tematica dell’entità “superiore” che gioca con la vita degli umani, è Il tempo del raccolto. Qui si parla di alieni che “coltivano” esseri umani su vari pianeti a scopo alimentare e periodicamente tornano per il macabro “raccolto”. Qui lo sterminio riguarda sì molta più gente che nel primo racconto, ma in compenso il metodo di uccisione è indolore e le vittime sono in qualche modo messe al corrente dei loro “diritti” riconosciuti da una lega aliena per «i diritti del bestiame». Una chiara favola nera animalista che non mi sento di condividere in toto ma che fa riflettere.
Il pulitore ha per protagonista un tipo particolare di serial killer: ossessionato dai messaggi che inconsciamente trova nelle sue letture, è spinto a uccidere la vittima designata per far cessare questo supplizio.
Si tratta per lo più di persone emarginate che in buona parte si meritano di morire; tutti tranne una, la sua ultima vittima mancata; una giovane prostituta che gli racconta la sua tragica vita, facendolo commuovere. Come va a finire non lo rivelerò, ma aspettatevi un finale sorprendente.
Le Cronache di Pickaway parla di uno strano cristallo con cui è meglio non avere a che fare. L’appuntamento è il racconto più breve della raccolta e secondo me il meno interessante, comunque vale la pena leggerlo.
I due racconti finali sono quelli più lunghi, più complessi e a mio parere anche più notevoli per i molti spunti di riflessione che offrono. La generatrice di mostri, recentemente rivisto profondamente (come gli altri racconti) in vista di una prossima ripubblicazione, è quasi un romanzo breve sotto forma di lettere, diari e appunti, di genere horror in cui si mescola superstizione, genetica ed esotismo, e ricorda per lo stile e la tematica i migliori racconti di H.P. Lovecraft. La vicenda si svolge in Siberia dove una misteriosa «Sposa di Satana» mette al mondo una prole mostruosa che fornisce materia di studio a un gruppo si scienziati sopra le righe; il lettore non può fare a meno di interrogarsi sul concetto di “mostro” e su chi sia il vero mostro.
Il racconto finale, La strana storia di Luis Chaperon, è il mio preferito, anche perché tratta tematiche che ho frequentato anch’io spesso nella mia scrittura: quella del viaggio nel tempo e dell’utopia futura. A differenza di Carlo Menzinger, scrittore ucronico e apocalittico su cui sto scrivendo un saggio, Protopapas ha una visione molto più ottimista.
Nel 2140 gli Ambientalisti saranno arrivati al potere e avranno creato una società avanzata tecnologicamente ma al tempo stesso saggia e stabile. Sulla Terra regna il benessere e la giustizia sociale: non c’è più criminalità, non ci sono carestie, niente povertà, vengono premiati la curiosità scientifica e il pensiero, viene applicato un efficace controllo delle nascite, il sesso ha raggiunto la completa liberazione, tutti sono felici.
Ma, conclude sconsolato il protagonista – giunto dal 2008 in seguito a un incidente con l’LHC3 – questo paradiso non potrà durare: unica nota amara in un racconto altrimenti perfetto. Tra l’altro questa visione rosea del futuro dell’Umanità è presente anche in diversi miei racconti e in un romanzo breve, ancora inedito, intitolato Lettere da uno strano mondo: a mio parere l’Uomo, oggi a un bivio, imboccherà la strada giusta e costruirà davvero in futuro un mondo oggi solo nella mente dei sognatori, e sarà a mio parere destinato a durare almeno fin quanto durerà la specie umana.
Ci sarà un punto di non ritorno che l’Uomo dovrà raggiungere in un futuro che non saprei quantificare (ma che sicuramente non vedrò).